sabato 26 agosto 2023

Generali, sindacalisti e individualismo protetto

 



La destra è una cultura dell’autorità che sfocia regolarmente nell’autoritarismo, la sinistra rinvia  invece a  una cultura dell’uguaglianza che si tramuta inevitabilmente in ugualitarismo.

A destra si evocano i generali, capaci di tramutarsi in dittatori, a sinistra il sindacalisti, pronti a trasformarsi in burocrati (o i burocrati in sindacalisti) .

Ed è quel che sta avvenendo. Vannacci, il generale dalle idee reazionarie, sembra voglia scendere in politica. A sinistra, Schlein, Conte e Landini si battono per il salario minimo: il mondo “non in senso contrario” e il “salario minimo” incarnano rispettivamente i brutti volti dell’autoritarismo e dell’ugualitarismo contemporanei.

Però, in realtà, nonostante queste e altre dichiarazione di principio, i governi, ieri di sinistra oggi di destra, si somigliano tutti: welfare e buone intenzioni, “buone” in base alla cultura di riferimento (autoritarismo e ugualitarismo).

La sensazione che prova l’elettore medio è di impotenza. Un’epidemia morale che in particolare infierisce su imprese e libere professioni. La sensazione provata è quella di non riuscire a farcela: di perdersi nell’intrigo di leggi, leggine, regolamenti, cavilli, schiacciati dalla forza di gravità di una pressione fiscale insostenibile. Parliamo di sei sette milioni di elettori che annaspano, tra regole e regolette inquisitorie. Che sopravvivono, e male, a se stessi.

Il resto dell’elettorato, pensionati, dipendenti pubblici, sindacalizzati o meno dei vari settori, e altri soggetti inerziali, parliamo di alcune decine milioni di elettori, subisce, dando per scontato il do ut des con i poteri pubblici (dal governo alle amministrazioni locali).

Il che si risolve di fatto nella passiva accettazione del mix welfare-buone intenzioni. Una cultura sostanzialmente contro il mercato. Sicché, la battaglia politica (si fa per dire), si restringe al rifiuto (destra) o all’ estensione (sinistra) ai migranti una zuppa sempre più allungata e insapore, quasi una brodaglia. Invece di lasciare che il mercato crei posti di lavoro per tutti, migranti e non.

Insomma, ai magniloquenti conflitti di principio tra cultura dell’uguaglianza e cultura dell’autorità si sovrappone una routine, distinta dal crescente debito pubblico al quale tiene dietro una altrettanto crescente pressione fiscale. Un oceano  di  mediocrità economica che alla lunga rischia di inghiottire  tutto e   tutti.

In definitiva, l’economia italiana e di riflesso la politica si reggono su questo perverso equilibrio tra un dare e un avere di tipo assistenzialistico.

Si rifletta su un punto. La cultura dell’autoritarismo e la cultura dell’ugualitarismo non sono culture liberali. Opprimono l’individuo. Che nel caso italiano, come detto, resta passivo, e in molti casi persino felice che altri pensino per lui. Si chiama, individualismo protetto o di stato, come abbiamo più volte scritto. Un combinato disposto, di cattivi servizi pubblici e di buchi nei controlli,  che lascia all’individuo l’illusione di poter scappare dalle maglie del welfare state.

Come uscire da questa situazione? Scorgiamo tre possibilità.

La prima più remota, quella di una rivoluzione liberale, vista però come il fumo negli occhi dalla maggioranza dell’elettorato, cloroformizzata dall’individualismo protetto. Si dovrebbe tornare all’individualismo vero, dei corsari, dei commercianti per mare, degli imprenditori e degli inventori, degli edificatori di imperi coloniali, dei grandi politici liberali del XIX secolo (e alcuni del XX). Tutti attori storici non consapevoli di creare ciò che i suoi nemici avrebbero chiamato capitalismo. Ma lasciamo perdere i sogni. Oggi l’Occidente euro-americano si vergogna delle sue grandi conquiste liberali.

La seconda ipotesi, più concreta, consiste nel fatto che le culture dell’autoritarismo e dell’ugualitarismo, a prescindere dal vincitore, puntano entrambe, anche se per ragioni culturali differenti, ad accrescere i controlli. Però in questo modo, piaccia o meno, i margini di libertà dello stesso individualismo protetto ne risentirebbero.

Semplificando il concetto : “più welfare” ma anche “più controlli”. Ciò però significa che il “più welfare”, stante un debito pubblico enorme e crescente, resterebbe sulla carta, mentre il “più controlli” in nome dell’autoritarismo o dell’ugualitarismo potrebbe essere esteso fino a soffocare ogni residua libertà. Una catastrofe per l’individualismo protetto.

La terza ipotesi, più realistica, rimanda alla prosecuzione del tran tran attuale fino alla crisi fiscale dello stato. Che si tradurrebbe nell’ impossibilità di versare bonus a cittadini e imprese, come pure di pagare le pensioni. Ma anche, per ricaduta, nell’ inflazione da costi, non più fiscalizzati, nonché in stagnazione produttiva per il calo di consumi non più finanziati via bonus sociali. Un’ altra catastrofe per l’individualismo protetto.

Riteniamo che quest’ultima ipotesi sia la più probabile. Di una cosa però siamo sicuri: l’individualismo protetto, con la complicità dei governi di destra e sinistra, sta segando, il ramo che lo sorregge.

Carlo Gambescia

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