venerdì 4 agosto 2023

Se Donald Trump non fosse nato negli Stati Uniti

 


Donald Trump è ancora vivo e lotta insieme a noi perché è nato nel Queens, New York. O se si preferisce negli Stati Uniti. Se fosse nato a Mosca, a parità di ricchezza, a quest’ora sarebbe già morto, avvelenato o crivellato di proiettili, fin dai giorni successivi al 6 gennaio 2021: data fatale dell’assalto fallito dei suoi squadristi a Capitol Hill. Oppure nella migliore delle ipotesi in galera con un ergastolo sulle spalle in qualche prigione speciale, “riattata”, del famigerato Arcipelago Gulag.

Se viene invece considerato un normale cittadino, nonostante la sua passione per i colpi di stato, è perché gli Stati Uniti sono una liberal-democrazia, che lo vuole giustamente processare, rispettando le stesse regole che Trump non ha mai tenuto in alcun conto, se non per usarle contro i suoi avversari, imbrogliare le acque, ingannare la gente, diffondere odio.

Dalle destre, in particolare le estreme, di tutto il mondo, incluse le populiste, Trump viene dipinto come un eroe che lotta contro il “politicamente corretto”. Ma i sostenitori del “politicamente corretto” non hanno mai favorito l’ invasione e il danneggiamento della Casa Bianca. Un’azione eversiva che non è finita nel peggiore del modi grazie al comportamento fin troppo legalitario delle forze dell’ordine. Sono differenze di non poco conto che corrono tra il comportamento golpista del miliardario reazionario e i liberal che, comunque sia, rispettano le leggi.

Purtroppo in Occidente, ci si è così abituati alle regole della democrazia rappresentativa al punto di definirle inutili. Forse si avverte noia… Su questa area elettorale – parliamo di gente che non capisce la differenza tra autocrazia e democrazia liberale – personaggi come Trump hanno costruito la loro fortuna politica. Una carriera edificata sull’odio sociale verso ciò che invece può essere definito il sale della liberal-democrazia, quel che le dà sapore: la capacità di mediazione, il senso di responsabilità, il rispetto della legge, la pazienza di accettare il verdetto elettorale, anche se sfavorevole. Insomma, l’accettazione dello stato di diritto.

Ovviamente, nessun sistema è perfetto. Come del resto non vanno difesi certi aspetti ridicoli, e persino oppressivi, del “politicamente corretto”. Però tra un potenziale autocrate e lo stato di diritto non dovrebbe esserci partita. Non dovrebbe, perché purtroppo, come detto, c’è chi in Europa e negli Stati Uniti, per non parlare dei nemici dell’Occidente, difende Trump, dipingendolo come un perseguitato politico.

Una specie di vittima, di quei poteri oscuri, evocati furbamente dallo stesso Trump per rianimare e conquistare gli spiriti animali di un fascismo in versione Usa, che riporta gli Stati Uniti ai tempi di Huey Long, un democratico, governatore della Louisiana. E che probabilmente gli americani hanno dimenticato.

Huey Long fu ucciso nel 1935. Non si è capito mai bene, se da un proiettile vagante, esploso dalle sue guardie del corpo armate di mitragliatori, o dal suo attentatore, un medico, dagli ideali progressisti. Mai dimenticare che gli Stati Uniti hanno un lato oscuro e violento. Gli omicidi dei Kennedy sono lì a provarlo. Però crediamo non sia un problema né americano né di altri, ma di natura umana. Però, ecco la differenza tra una democrazia e un’ autocrazia: non si tratta mai – parliamo delle democrazia americana – di una metodologia sistematica  dell’omicidio politico o della condanna posta addirittura sotto il riparo della legge, come salmodiano magistrati servili verso l’autocrazia, perché così prevedono i codici. 

Trump, da quasi tre anni, sputa veleno su tutto e tutti. Conduce una vita da uomo libero. Le perquisizioni, di cui si lamenta, tra l’altro su mandato dei giudici, sono una granatina al limone rispetto a quello che succede altrove.

I veri perseguitati politici, tanto per fare nomi, sono a Mosca. Quelli ancora vivi ovviamente. Possibile che non si capisca la differenza tra un golpista, come Trump, nemico della liberal-democrazia e i 25 giornalisti russi uccisi negli ultimi vent’anni (*)?

Per inciso, la “palma d’oro” dei giornalisti incarcerati spetta alla Cina . Altro paradiso della libertà. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.rainews.it/articoli/2022/12/reporter-senza-frontiere-nel-2022-incarcerati-433-giornalisti-40-in-pi-rispetto-al-2021-c90f25b0-0b3d-468c-92b3-9de14a865071.html . Ma si veda anche qui (per le fonti): https://rsf.org/fr/classement .

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