giovedì 3 agosto 2023

La strage di Bologna e i cavalieri che andavano combattendo ed erano morti

 


Partiamo dalla sinistra. Vuole lo scontro. Sulla strage di Bologna l’ultima sentenza asserisce che fu strage neofascista, e così deve essere per tutti, anche per Fratelli d’Italia, gli eredi del partito, il Movimento Sociale, dal quale erano passati gli attentatori.

La destra come reagisce? Non reagisce allo specifico (la sentenza), però parla di “desecretazione” degli atti, come per dire che si vuole vedere chiaro. Insomma non ci si allinea alla tesi della strage fascista condivisa dai giudici, dalla sinistra e da Mattarella.

Crediamo che il vero problema sia un altro è che riguardi la destra e la sinistra insieme. Quello dei conti con il fascismo. Che non sono mai stati fatti realmente. Se il fascismo fosse un fatto passato in giudicato nel 1945, proprio come la sentenza di Bologna, non se ne dovrebbe parlare più. Ma se fosse così non dovrebbe esistere neppure una destra che si è richiamata al fascismo e che tuttora nicchia sulla natura profondamente illiberale del Ventennio.

Di più: la destra prima missina, poi aennina, oggi meloniana, si è creata negli anni una ideologia della discriminazione politica e giudiziaria, alla quale è tuttora fedele e alla prima occasione, soprattutto ora che è al governo, vuole vendicarsi. La visione della storia d’Italia condivisa dalla destra dopo Mussolini ( fino a Giorgia Meloni) è quella di una Repubblica che ha condannato il fascismo e marginalizzato il partito che vi si richiamava. Diciamo, usando un eufemismo, che la destra postfascista non ha un atteggiamento sereno. Per dirla tutta è piena di rancore. Giorgia Meloni dissimula, ma è solo questione di tecnica politica. La destra odia profondamente la “Repubblica antifascista”.

E qui veniamo alla sinistra, in particolare quella comunista, che sulla retorica della “Repubblica antifascista”  costruì  le sue fortune politiche  impedendo  la normalizzazione del sistema. Attenzione però: normalizzazione non nel senso di accettare i neofascisti per quello che erano, all’insegna del dimentichiamoci il passato, siamo tutti italiani, ogni combattente in fondo difendeva una causa, giusta o ingiusta che fosse, eccetera, eccetera.

Normalizzazione, invece, nel senso di evitare accuratamente di usare il fascismo come risorsa politica. Per un verso, da parte della destra si doveva prendere atto che del fascismo non c’era nulla da salvare e che si doveva ripartire da zero, sposando la causa della libertà, del progresso e della modernità. Per l’altro verso, da parte della sinistra impedire che si usasse l’antifascismo come uno spauracchio per coprire le magagne, diciamo così, del comunismo, e aggredire gli avversari, trasformandoli in nemici politici perché, come sosteneva il partito comunista, in ogni anticomunista (anche liberale, democristiano, socialdemocratico, repubblicano), si nascondeva un fascista.

Per farla breve che si doveva fare? Da una parte ripudiare il fascismo, dall’altra il comunismo. Va detto che De Gasperi, fino alla sua caduta, cercò di mantenere una certa equidistanza. Ma dopo di lui fu il diluvio del fascismo e dell’antifascismo, come boomerang politico contro una Repubblica che non riuscì mai più ad essere al di sopra della parti. Non ci si meravigli dell’atteggiamento di un Mattarella. La democrazia cristiana di sinistra, nelle pagine di un suo storico non banale,  Pietro Scoppola, ancora alla fine degli anni Ottanta, rivendicava, fin dal titolo,  la “Repubblica dei partiti”, ovviamente antifascista e con i comunisti antidemocratici dentro.  Come dall’altra parte si è  sempre rivendicato,  senza alcuna vergogna, il valore della Repubblica fantoccio e antisemita di Salò.

Su queste basi, politicamente instabili, ma si potrebbe dire “marce”, si è sviluppata la storia d’Italia degli ultimi ottant’anni. Pertanto, inevitabilmente, per la sinistra, anche quella postcomunista  la sentenza su Bologna è vangelo così come  per la destra, che si dice postfascista,  una menzogna.

Inutile, come fa la sinistra, appellarsi al legalismo della  sentenza definitiva, predicando però al tempo stesso l’antifascismo, che è un valore politico. 

I valori si affermano, anche con la forza, altrimenti non sarebbero tali, mentre  le sentenze   rifuggono dalla forza,  perché sono  frutto della  ragion giuridica. C'è perciò contraddizione in termini.

E comunque sia,  si tratta di una scelta pericolosa: perché si fa un regalo alla destra, che così può continuare a considerarsi, dal suo punto di vista, discriminata e vittima.

Purtroppo, il danno ormai è fatto, e risale, a una guerra fascista, anzi nazifascista, che ha provocato una guerra civile, che non è mai finita, perché sfruttata, in un lunghissimo dopoguerra che giunge fino a oggi, come risorsa politica dai fascisti e dagli antifascisti.

Nell’ anormale dialettica politica italiana, dopo ottant’anni – compiuti il luglio scorso – gli uni sembrano essere funzionali agli altri.

Ironie della storia. Che però si pagano. Il comunismo è defunto, il fascismo è polvere, ma i due cavalieri del fascismo e dell’antifascismo, come nei versi del Berni, “andavano combattendo ed erano morti”.

Carlo Gambescia

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