sabato 5 agosto 2023

Fascisti dentro

 


Non sappiamo su quante truppe elettorali possa contare Gianni Alemanno, ma quel che leggiamo sui contenuti del convegno di Orvieto, fa pensare alla virata, di un politico non di mediocre intelligenza, verso le posizioni molto romantiche, di quella che un tempo, prima della destra sociale, era la destra rautiana: ecologista, antiamericana, anticapitalista.

Alemanno punta a raccogliere i romantici, cioè gli scontenti dell’altra virata, quella realista di Giorgia Meloni. Che, si badi, non è diventata improvvisamente filoamericana, filocapitalista, anti-ecologista, ma stando al governo, deve smorzare i toni e tenere insieme gli alleati. Quindi realismo. Come Fini, come Almirante, come Michelini. Una lunga storia.

Nei riguardi di Giorgia Meloni aleggia, anche se Alemanno è molto prudente sull’uso di certa terminologia, la tradizionale accusa di “badoglismo”. Cioè di aver tradito quell’ideale battaglia “antiplutocratica” che ha sempre animato, pur con toni differenti, le varie incarnazioni partitiche del neofascismo, dal Movimento Sociale a Fratelli d’Italia.

Ora, rivendicare la battaglia “antiplutocratica” che senso politico più generale può avere nell’Italia del XXI secolo?

Si possono dare due risposte.

La prima che Alemanno crede in quel che dice. La sua antica anima “sociale” lo porta ad avversare lo stesso capitalismo americano, giudicato come il comitato d’affari della borghesia mondiale, sulla scia di Evola e Marx. Sicché preme per una svolta fortemente sociale e anti-occidentale, che Giorgia Meloni, pur di tenersi a galla, teme come la morte.

La seconda, è che, se Alemanno crede in quello che dice, ciò che dice è totalmente sbagliato. L’Italia non ha bisogno di altre dosi di assistenzialismo e statalismo, ma ha grande necessità di libertà economica. L’Italia, non può isolarsi. Deve invece sempre più integrarsi in Europa e in Occidente.

Se proprio di destra si deve parlare, si parli allora di destra liberale. Se negli anni Novanta, nel quadro italiano di una sinistra che si spacciava per liberale, la destra sociale poteva avere un senso dal punto di vista della ricerca di un maggiore equilibrio tra mercato e società, oggi rincorrere la sinistra che dice cose di sinistra, significa commettere lo stesso errore di “Pino” Rauti quando predicava un mitologico sfondamento a sinistra. Politica che tra l’altro gli costò, tra il 1990 e il 1991, dopo un clamoroso flop elettorale, la segreteria del Movimento Sociale.

Quindi Alemanno, che non è uno stupido, rifletta bene su ciò sta facendo.

Purtroppo, piaccia o meno, la vera tragedia della destra dopo Mussolini (quindi dal Movimento Sociale a Fratelli d’Italia) è quella di non aver mai accettato il quadro politico-economico dell’Occidente: mercato, democrazia rappresentativa, diritti civili.

Le due anime della destra, romantica e realista, non hanno mai metabolizzato questi valori. All’interno delle varie correnti, “modernizzanti” o meno, è sempre circolata, sul piano di un sottotesto politico, diremmo teatrale, la comune volontà, dei romantici come dei realisti, di riscatto contro i vincitori del 1945.

Alemanno, ora, sembra essere tornato alle origini, la Meloni sembra invece che voglia allontanarsi.

In realtà, come detto, il primo si comporta in modo romantico, la seconda in chiave realista. Il copione non sembra essere cambiato: romantici contro realisti, e così via, altro giro, altra corsa.

Per quale ragione? Perché, evidentemente, Giorgia Meloni e Gianni Alemanno sono rimasti fascisti dentro.

Carlo Gambescia

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