lunedì 28 agosto 2023

L’estate della tristezza e delle inutili letture…

 


Non c’è nulla di più triste che l’ occuparsi del libro del generale Vannacci. Magari di dover pure  leggere il prossimo libro di Giorgia Meloni. Si criticava, e si continua a criticare, talvolta ingiustamente,  la sinistra per i suoi piagnistei sulla giustizia sociale e sull’accoglienza. Però, a dire il vero, anche la lettura del  libro di Elly Schlein è deprimente.

Purtroppo, per chi studia, analizza, scrive, la documentazione sulle fatiche letterarie dei leader politici sulla cresta dell’onda o peggio ancora di un generale illetterato, è un dovere, ma anche  fonte di grande tristezza. Soprattutto perché si deve bere l’amaro calice fino alla feccia. Cioè sorbirsi il conseguente dibattito politico in cui i fans degli uni e degli altri si accusano a vicenda di difendere i ricchi e di ignorare i poveri, di odiare i gay, i migranti, come pure di farne degli eroi, eccetera, eccetera. Che tristezza. Sinistra snob, destra sociale, destra fascista, sinistra giustizialista, e così via.

Un modesto consiglio a chiunque si sforzi di capire e studiare. Lasciar subito perdere le deludenti chiacchiere politiche per concentrarsi sui fenomeni di fondo, di lunga durata.

Il primo è l’attuale concentrazione di potere nelle mani dello stato e delle sue amministrazioni. Il secondo fenomeno – riflesso del primo – consiste nella crescente scomposizione sociale in gruppi di interesse e influenza: gruppi – attenzione – che inevitabilmente finiscono per gravitare nella sfera di potere dello stato.

Si tratta di una precisa regolarità metapolitica, prodotta dalla dinamica tra forze centripete e centrifughe. Dinamica che finisce per schiacciare l’individuo, costretto a subire il do ut destra stato e gruppi di pressioni e di influenza.

Si noti la contraddizione di fondo. Più si blatera di libertà individuale, a destra come a sinistra, più la si sottomette al gioco dello stato e dei gruppi di interesse, costringendo l’individuo, se ci si passa l’espressione letteraria, “a darsi un padrone”. A incasellarsi, insomma. Oppure a formare, a sua volta, un gruppo di pressione in grado di competere con gli altri gruppi di pressione per ottenere i favori dello stato.

Il vero punto della questione è che quanto più si stringe la morsa stato-gruppi di pressione sull’individuo, tanto più si riduce la sfera individuale di libertà. Detto altrimenti: quanto più la società si struttura in organizzazioni, tanto più si organizza. E dal momento che organizzazione è sinonimo di oligarchia, a comandare sono sempre in pochi.

Ciò significa che se per un verso, l’esistenza di un ceto dirigente (un’élite) è una necessità sociale di natura fisiologica, per l’altro, in una società dove l’organizzazione prevale su tutto, l’individuo finisce per essere nulla: il che risulta patologico, socialmente patologico.

Di questo si dovrebbe ragionare non degli insulsi libri di Vannacci, Meloni, Schlein…

Un’ultima cosa: se esiste una nota distintiva delle nostre società, va individuata nel predominio dell’organizzazione. Il grande Schumpeter, sulla scia di Weber, parlò di burocratizzazione. Pertanto, allo stato delle cose, parlare di società individualistica è totalmente errato. Esiste invece una forma di individualismo protetto, burocratizzzato dalle organizzazioni, in primo luogo quelle dello stato e dei gruppi di interesse.

Come uscirne? Non è facile rispondere, perché le società, proprio perché tali, sono un fenomeno organizzativo, quindi sottoposto al governo delle élite. Tuttavia, poiché esistono limiti sociale (all’an-archia come alla macro-archia), pena la sparizione di una società storica, il punto fondamentale resta quello di evitare le esagerazioni. Ma come? Se oggi addirittura si ordina all’ individuo di appartenere o costituire una qualche forma di organizzazione?

Gli studiosi ricordano il consiglio di Tocqueville, che risale a quasi due secoli fa, di costituire libere associazioni, in tutti i campi, per resistere meglio ai poteri costituiti, in particolare dello stato. Ma se oggi è lo stato che impone di organizzarsi, per poi privilegiare meglio le associazioni in sintonia ideologica, cooptandone i dirigenti, anche il consiglio del grande Tocqueville sembra non avere più senso.

E qui torniamo al problema dei problemi, al quale gli insipidi libri di Vannacci, Meloni e Schlein mai risponderanno.

Quale? Che lo stato non è la soluzione ma il problema.

Carlo Gambescia

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