domenica 20 agosto 2023

Il pacifico gioco liberale dell’oca

 


Il vecchio Carl Schmitt che commise più di un errore politico, uno gravissimo (appoggiare all’inizio Hitler), si rilegge sempre volentieri. È un pensatore che, piaccia o meno, favorisce la riflessione.

In un libretto, tradotto e stampato, qui in Italia, molti anni fa, dall’Editore Pellicani, La tirannia dei valori, ci spiega alcune cose importanti sulle altisonanti dichiarazioni di principio.

In buona sostanza, in linea, o quasi, con il Max Weber delle due conferenze sulle professioni politiche e intellettuali (*), Schmitt ci insegna che chiunque parli di valori, parla di qualcosa che proprio perché ha valore deve essere affermato. Il passo è importante. Rileggiamolo:

«Poiché l’elemento specifico del valore consiste propriamente in ciò, che esso invece di essere ha soltanto una validità. Pertanto il porre i valori non è niente, se esso non si fa valere; la validità deve essere continuamente attualizzata, cioè fatta valere, se non si deve risolvere in mera apparenza. Chi dice valore, vuole far valere e imporre. Le virtù vengono praticate; le norme vengono applicate; i comandi vengono eseguiti; ma i valori vengono posti e imposti. Chi sostiene la loro validità, li deve far valere. Chi dice che essi valgono, senza che qualcuno li faccia valere, vuole ingannare» (**).

Pertanto quanto più i valori si ritengono assoluti tanto più cresce il rischio totalitario. Di riflesso, per ricordare un altro grande, Max Weber, il compito dello studioso non è quello, come non pochi ritengono, di insegnare dalla cattedra i valori assoluti e giusti (che in realtà sono sempre “strumentalizzabili” per fini di potenza), ma di mettere di guardia: 1) sulle loro conseguenze ultime nella vita sociale; 2) sul fatto che, qualunque scelta si farà, si offenderanno comunque dèi o valori dell’altra parte, dal momento che non si possono servire due padroni(***).

Ci si accuserà che come liberali riteniamo i valori liberali superiori a tutti agli altri. In realtà, il liberalismo, se rettamente inteso (cosa non sempre facile) non è un valore è un metodo. O se si preferisce una “tecnica” del discorso pubblico, che però, inevitabilmente non può non privilegiare il “motore” di ogni discorso pubblico: l’individuo con le sue idee.

In questo senso il liberalismo sul piano concettuale è un individualismo metodologico: da un lato il libero individuo, dall’altro il metodo perché l’individuo possa esporre le proprio idee. E qual è questo metodo? la libera e civile discussione, fondata sul rispetto dell’avversario, che non può essere insultato, né ridotto a capro espiatorio.

Discussione che, ovviamente, dovrà condurre, soprattutto sul piano politico. a una decisione.

Ora, quanto più l’affermazione di un valore, di qualunque valore, si fa prepotente, tanto più sono attaccati il metodo liberale e di riflesso la libertà individuale. Quando l’avversario viene trasformato in nemico, o peggio in vittima da sacrificare a valori che devono essere affermati a ogni costo, scocca l’ora del totalitarismo: dell’imporre un valore unico, quindi in chiave totalitaria, a tutti i membri di una determinata società.

Per fare un esempio, la Seconda guerra mondiale, fu una specie di gigantesca e sanguinosa “battaglia sul metodo liberale”. Che Hitler voleva cancellare dalla faccia della terra in nome dei valori nazisti: di quel che valeva per i nazionalsocialisti, e che perciò doveva essere affermato.

Va sottolineato che oggi sembra essere andato perduto quel senso della battaglia liberale sul metodo. Qui, pensiamo alla grande lezione propedeutica che ritroviamo in due grandi opere di Popper, scritte proprio durante la guerra mondiale: La società aperta e i suoi nemici e la Miseria dello storicismo. Oggi non molto citate. Purtroppo.

Ovviamente esistono anche liberalismi, non metodologici o troppo metodologici, che sembrano cedere ai valori. Per il primo caso si pensi alla corrente liberal o liberalsocialista che crede nel perfettismo politico,quindi nel valore-stato: il trionfo dell’irrazionale statalista. Oppure al liberalismo che ha sposato come unica metodologia, quella economica: il trionfo del razionalismo, come esclusivo valore pseudo-economico. Nessuno è perfetto. E in ogni caso sempre meglio del giacobinismo socialista e comunista per non parlare degli altri fondamentalismi religiosi o meno, che gettano nella spazzatura intellettuale, qualsiasi discorso sul metodo liberale ( e non solo).

Pertanto ogni vero liberale, ecco la regola numero uno, dovrà tenersi lontano dalla battaglia dei valori. Non per sposare il relativismo socialdemocratico o liberal ( che porta allo stato pedagogista e carabiniere), ma la difesa di un metodo che precede i valori. O se si preferisce il conflitto sui valori. Diciamo che lo regolamenta.

Una volta interiorizzate le regole sul metodo (che dipendono dalla graduale evoluzione del costume, e non dal primo diktat politico-legislativo tipo carro armato), regole che si badi, si imparano a rispettare giocando, si lasci che il pacifico gioco liberale dell’oca cominci. Tenendo però presente un pericolo, sul quale torneremo nella chiusa.

Mai intervenire. Se non in un caso: quando si attacca l’individualismo metodologico. Perché in ogni guerra al metodo liberale, così come l’abbiamo descritto, si nasconde un attacco alla società aperta o detto altrimenti alle radici, come scrivevamo ieri (****), del discorso pubblico. Ovviamente, dinanzi alle grandi questioni del giorno, poi va presa una decisione. Che potrà essere giusta o sbagliata, ma che comunque dovrà sempre essere esito di un processo di discussione e decisione che valorizza il liberalismo come metodo. Al di fuori del quale, piaccia o meno, non c’è salvezza.

Pertanto, alla fin fine, anche noi affermiamo un valore. Però è un valore, se proprio lo si vuole considerare tale, che permette l’esistenza di tutti gli altri valori. Diciamo che si sacrifica per gli altri valori. E’ l’eccezione che conferma la regola-Carl Schmitt. E purtroppo i guai cominciano quando questo sacrificio non viene più apprezzato. Allorché il discorso pubblico liberale si tramuta in guerra culturale, di sopraffazione tra valori opposti, e la guerra culturale in guerra civile. E così, quello che abbiamo chiamato il pacifico gioco liberale dell’oca liberale, torna alla casella numero uno: quella delle guerre di religione.

Carlo Gambescia

(*) Raccolti in M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione. Due saggi, nota introduttiva di D. Cantimori, trad. di A. Giolitti, Einaudi, Torino 1980. Ne consigliamo le lettura integrale.
(**) C. Schmitt, La tirannia dei valori , Antonio Pellicani Editore, Roma 1987, p. 61.

(***) M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione. Due saggi, cit. pp. 35-37 (dalla Scienza come professione) .

(****) Qui:
http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2023/08/caso-vannacci-solo-lo-snobismo-liberale.html .

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