Si parla oggi, troppo, della polemica tra François Bayrou e Giorgia Meloni sul cosiddetto dumping fiscale.
Il Primo Ministro francese – centrista in salsa democristiana con inclinazioni a sinistra, quindi un tassatore di razza – accusa l’Italia di attirare capitali e ricchi contribuenti con agevolazioni fiscali. Palazzo Chigi ribatte indignato: “Nulla di vero, anzi, noi abbiamo persino aumentato l’onere fiscale forfettario per chi si trasferisce in Italia”. Risposta da tassatrice. Del resto Giorgia Meloni ha nell’Album di famiglia un signore, calvo, talvolta vestito come un domatore del circo, che introdusse la tassa sul celibato. Si chiamava Benito Mussolini.
Apparentemente, sembrerebbe uno scontro tra visioni opposte. In realtà – il lettore faccia attenzione – dietro le bandiere sventolate sui nobili confini d’Italia e Francia, si nasconde una verità molto più semplice e meno nobile.
Fosse stata una polemica liberale, Bayrou avrebbe accusato Meloni di abbassare le tasse per attrarre investimenti, e Meloni avrebbe difeso la concorrenza fiscale come libertà economica. Non è andata così: in Francia come in Italia – e non solo – abbassare le tasse per attirare investitori stranieri è malvisto trasversalmente, da destra a sinistra. In altre parole, il liberalismo fiscale – diciamo all’insegna di ubi bene, ibi patria – non è nemmeno in discussione.
La polemica è stata l’opposto: una gara a chi sia più statalista. Bayrou accusa l’Italia di sottrarre risorse fiscali alla Francia e in qualche misura (lascia intuire) all’Europa; Meloni risponde orgogliosa: “Ma che dite? Io ho addirittura aumentato le tasse ai nuovi residenti stranieri!”. Ecco la realtà: la contesa non è sulla libertà fiscale, ma sul primato della tassazione. È una sfida a chi difende meglio la sovranità fiscale dello Stato-nazione (Meloni e Bayrou) o, peggio ancora, del superstato europeo, accentratore sotto il profilo fiscale (Bayrou). “Zeru liberalismo”, per dirla con un vecchio filosofo del calcio.
Il nazionalismo agitato in questa polemica è solo il dito che indica la luna. Il dito è tricolore o bleu-blanc-rouge (o in versione 12 stelle sul capo della Madonna), ma la luna è sempre la stessa: il trionfo dello statalismo fiscale. Bayrou rivendica la superiorità del modello francese-europeo, Meloni quella dell’Italia. Ma entrambi condividono la stessa fede: lo Stato deve drenare risorse, e chi non “parla la lingua giusta” – francese, italiana o “europea” – va penalizzato fiscalmente. Un supernazionalismo tassatore: ecco ciò che li accomuna.
Il dumping fiscale esiste solo nella mente dei nazionalisti. In realtà si chiama libera concorrenza. È la gara a chi abbassa di più i prezzi – e le tasse, semplificando, sono un prezzo – a beneficio del consumatore. Il consumatore di tasse, cioè il cittadino. Chiamarla dumping è già un modo per demonizzare la concorrenza, per spostare l’attenzione dalle inefficienze e dagli sprechi dello Stato verso un nemico esterno.
La polemica Bayrou–Meloni non è lo scontro tra due modelli, ma l’abbraccio di due statalismi che si combattono solo sul colore della bandiera. Dietro le accuse reciproche, entrambi difendono lo stesso principio: tassare, tassare, tassare. Il liberalismo fiscale, quello vero, non ha rappresentanti in questa disputa.
E ripetiamo: finché i cittadini guarderanno al dito (il nazionalismo), invece che alla luna (lo statalismo fiscale), continueranno a pagare il conto.
In sintesi: nazionalisti e tonti.
Carlo Gambescia

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