mercoledì 17 settembre 2025

Marcello Veneziani? Un futuro da collabò

 


“L’Unione europea è il vero nemico di questa Europa”. Così scrive oggi Marcello Veneziani sulle pagine de “La Verità”. Si dirà il solito titolo a effetto… E Carlo Gambescia ci ricama sopra…

In realtà, la lettura dell’articolo non è che una conferma del suo percorso intellettuale. Veneziani è nostalgico del fascismo “spirituale”, cantore del tradizionalismo reazionario, editorialista sempre pronto a schierarsi dalla parte dell’autorità contro la libertà.

Tuttavia, merita attenzione. Rappresenta un tassello importante nella costruzione culturale di un possibile autoritarismo europeo. A dire il vero, si potrebbe anche parlare di una specie di avviamento culturale (si fa per dire) al fascismo.

Non si dica che forziamo la sua posizione. L’intellettuale fascista — si pensi a un Marinetti per fare un esempio importante — considera l’adesione al fascismo una scelta di libertà: essere liberi significa essere fascisti. Veneziani, nel suo piccolo, identifica fascismo e libertà.

Ovviamente, non il fascismo-regime — o non del tutto — ma il fascismo-idea, in senso evoliano. Un fenomeno metastorico, che però di volta in volta si reincarna storicamente, assumendo forme diverse ma sempre interne a una reazionaria filosofia sociale  che si connota per il suo  bieco autoritarismo.

L’Europa come nemico interno

Il ragionamento di Veneziani è semplice e martellante: l’Europa istituzionale, quella dei Trattati, dei diritti, della libera circolazione, sarebbe una macchina di oppressione che tradisce la vera identità europea.

A sentire lui, Bruxelles è il nuovo occupante. Non ci sono carri armati americani a Parigi né truppe russe a Varsavia, ma c’è l’Unione europea, dipinta come nemico.

È la logica del capro espiatorio: inventare un nemico interno da additare alle masse, tipica dei fascismi novecenteschi.

Il punto non è criticare l’Unione — sacrosanto, vista la sua burocrazia e le sue ipocrisie — ma la direzione della critica. Veneziani non chiede un’Europa liberale.

Chiede implicitamente un ritorno a un’Europa “dei popoli” in senso etno-nazionalista, identitaria, chiusa. È la solita favola di chi sogna una comunità organica, compatta e gerarchica. Una comunità che non tollera differenze e conflitti. Julius Evola allo stato puro.


Il profilo del potenziale collaborazionista

Storicamente i collabò erano coloro che, in Francia, dopo il 1940 scelsero di collaborare con l’occupante nazista.

Non solo funzionari e politici di Vichy, ma anche intellettuali, giornalisti, artisti. Gente che legittimava l’ordine nuovo, costruiva narrazioni per renderlo presentabile, dava parole d’ordine a chi brandiva manganelli e armi.

Qualche nome? I principali collabò francesi includevano scrittori e giornalisti filo-nazisti come Robert Brasillach, Lucien Rebatet e Louis-Ferdinand Céline, autore di pamphlet antisemiti, nonché Drieu La Rochelle, Pierre-Antoine Cousteau, direttore di “Je Suis Partout”, Paul Morand, ambasciatore e scrittore, vero reazionario, inviso, e giustamente, ancora negli anni Sessanta, al generale De Gaulle.

Infine, Charles Maurras e i suoi seguaci offrirono un sostegno ideologico al regime di Vichy, mentre Jacques Doriot, un tempo comunista, e Jacques Déat, ex socialista, guidarono partiti e movimenti apertamente collaborazionisti.

Oggi, almeno per il momento, non abbiamo un Reich a cui piegarci, ma abbiamo uomini come Veneziani che giocano lo stesso ruolo culturale: preparano il terreno. In particolare sulle pagine de “La Verità”, fogliaccio reazionario.

Psicologicamente, la disponibilità è evidente: la propensione a considerare l’autorità più legittima della libertà, la convinzione che serva un nemico interno da combattere, l’idea che l’identità nazionale sia più importante dei diritti. Culturalmente, Veneziani produce esattamente il repertorio che un futuro regime autoritario userà per giustificarsi.

Inciso su Israele

Ci sia consentito un inciso in argomento. Veneziani, ormai da tempo, sul conflitto israelo-palestinese, pratica quello che si potrebbe chiamare un cerchiobottismo d’autore.

Da un lato non esita a denunciare Israele con parole durissime, parlando di sterminio e follia criminale. Dall’altro, evita di schierarsi davvero con i palestinesi. Si rifugia in un equilibrismo che lo presenta come pensatore “indipendente” e “super partes”.

In realtà, questo gioco delle parti gli consente di salvare la faccia morale senza compromettere l’allineamento alla destra sovranista. Pur criticando Israele Veneziani non rompe mai davvero. Ed è questa la posizione del governo Meloni, che Veneziani si guarda bene dal criticare.

Gli intellettuali organici del nuovo autoritarismo

Gramsci, che – via Alain de Benoist (ma cinquant’anni fa…) – piace tanto alla destra, parlava di “intellettuali organici” come di figure legate a una classe sociale emergente, capaci di darle voce e coscienza.

Veneziani, rovesciando la lezione, è un intellettuale organico della regressione: non rappresenta il futuro, ma il ritorno a un passato mitizzato.

Insomma Veneziani è organico a una destra che sogna l’ordine contro la libertà, la nazione chiusa contro l’Europa aperta, il potere verticale contro la liberal-democrazia pluralista e conflittuale.


 

E se oggi non c’è ancora il regime a cui collaborare, domani potrà esserci: filo-putiniano, filo-trumpista o semplicemente un nuovo fascismo “sovranista”. Allora Veneziani (età permettendo) o comunque i suoi epigoni potranno dire di averlo sempre annunciato, sempre giustificato, sempre reso possibile.

Prendere sul serio Veneziani

Il termine collabò in Francia divenne sinonimo di traditore. Ma la collaborazione non nasce mai il giorno in cui arrivano i carri armati: nasce prima. Nelle pagine dei giornali, nei discorsi pubblici, nelle costruzioni simboliche che spianano la strada all’autorità.

Veneziani oggi svolge esattamente questa funzione. Si pensi all’enorme lavoro dei cosiddetti “non conformisti” degli anni Trenta, tra i quali c’erano non pochi futuri filofascisti, a partire dai nomi sopra ricordati.

Ecco perché non basta sorridere delle sue frasi roboanti. Bisogna riconoscerle per ciò che sono: esercizi di pre-collaborazionismo, segnali culturali di resa all’autoritarismo fascista. Veneziani va preso sul serio.

Il nuovo fascismo comincia sulle pagine dei giornali, e Veneziani ne scrive l’introduzione: ignorarlo è permettere a questa gente di completare il libro.

Carlo Gambescia

 

Excusatio non petita, accusatio manifesta...

 


 

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