La notizia è circolata come un fulmine: l’amministrazione Trump ha informato alcuni alleati europei che programmi di assistenza militare — in particolare il cosiddetto Section 333 e i fondi per la sicurezza baltica — verranno drasticamente ridotti o azzerati dal prossimo anno fiscale.
Piccola spiegazione. Section 333: programma che consente di fornire training, equipaggiamenti e assistenza a partner esteri per accrescerne la capacità difensiva. Baltic Security Initiative (BSI): programma dedicato a Estonia, Lettonia e Lituania per rafforzarne le forze armate tramite equipaggiamenti, cooperazione trilaterale e progetti infrastrutturali di sicurezza.
Qui va fatto un passo indietro. Poche settimane fa. Donald Trump ha incontrato Vladimir Putin ad Anchorage, esattamente il 15 agosto. Pertanto la sequenza temporale si impone con semplicità, addirittua con brutalità: summit; poi tagli. Una coincidenza? Certo che può esserlo. Ma definirla tale senza guardare ai benefici strategici per Mosca ( e non solo) è un esercizio di cecità politica.
Che cosa significherebbe, in termini concreti, per i Paesi baltici? Prendete Lettonia, Lituania, Estonia: territori piccoli ma cruciale «avamposto» davanti alla Russia. Tagliare assistenza, addestramento e certe forniture è come smontare, pezzo dopo pezzo, la recinzione che mantiene la pace in quella fascia di frontiera. Per Putin sarebbe un boccone succulento: meno deterrenza, più spazio di manovra. Non stiamo dicendo che ci sia un tavolo dove qualcuno firma «Concessione A in cambio di B» — sto dicendo che gli incentivi sono così evidenti che non si può fingere di non vederli.
C’è poi un altro livello di suggestione: Groenlandia e Artico. Se osserviamo la mossa complessiva — il disimpegno americano in Europa orientale (e occidentale) insieme alle pressioni su aree strategiche come Groenlandia e Artico — emerge una logica di spartizione tra grandi potenze. In questa dinamica, i «piccoli» pagano il conto.
La Danimarca ha appena lanciato esercitazioni e mosse di rafforzamento in Groenlandia; non è detto che sappia più di noi su eventuali piani segreti, ma di certo si sta muovendo come chi percepisce un cambiamento nella geografia politica. E se, ipoteticamente, la Danimarca fosse aggredita, cosa farebbe l’Europa?
Il parallelo può sembrare ardito, ma la logica di spartizione tra grandi potenze — con i piccoli che subiscono le conseguenze — ricorda il patto Molotov-Ribbentrop e le gravi conseguenze che ne seguirono: la guerra generale. Non va poi dimenticato un altro elemento rilevante: le crescenti provocazioni militari di Mosca nelle ultime settimane. Ieri, inoltre, un misterioso cyber attacco ha colpito alcuni scali aerei europei, a conferma di un contesto di tensioni sempre più accentuato.
Qui va ricordato un elemento storico-culturale per capire, se fosse vera la nostra ipotesi, la gravità della situazione: il ritorno sfacciato della diplomazia segreta tuttora denunciata e persino ripudiata. Basti pensare alle anticipatrici battaglie di Woodrow Wilson per la trasparenza e alla pubblicazione degli accordi segreti dopo la Prima guerra mondiale (il Punto 1 dei famosi 14 Punti). Lo stesso Karl Marx ha dedicato pagine memorabili al «segreto diplomatico» come strumento della grande politica nelle Rivelazioni sulla storia diplomatica segreta del XVIII secolo.
In sintesi: se, soprattutto dopo il 1945, il diritto internazionale ha formalmente rifiutato la diplomazia delle stanze segrete, quello che osserviamo oggi è un pericoloso e velenoso ritorno a quella stessa pratica.
Detto ciò: non abbiamo prova documentale di un patto segreto "firmato in camera" fra Trump e Putin che preveda tagli agli aiuti in cambio di concessioni russe (per fare un battuta: altrimenti che patto segreto sarebbe?). Non esistono ancora prove di un memo trapelato, di un contratto, né di una confessione valida. C’è però una forte convergenza di interessi — temporale, strategica e politica — che legittima la domanda: cosa si è discusso davvero ad Anchorage e a vantaggio di chi? E perché i primi effetti sembrano colpire proprio i più vulnerabili?
Infine si consenta un giudizio politico netto: Trump si comporta come un capo mafia, molto pragmatico, che alle guerre tra grandi famiglie, preferisce negoziare dietro le quinte per spartirsi il bottino della geopolitica, lasciando alle «famiglie» più piccole — i Paesi baltici, i partner minori — il conto e il rischio. Chi chiamerà questa cosa realpolitik, chi la chiamerà cinismo: a noi sembra una mascalzonata globale. "Mascalzone cosmico" non è un insulto goliardico, è una definizione politica: un attore che combina ambizione imperiale, disprezzo per regole e alleati, e la propensione a trattare la sicurezza internazionale come merce di scambio personale. È pericoloso. Quanto a Putin la sau natura canagliesca non è una novità.
Dal punto di vista analitico parleremmo invece di realismo politico criminogeno: una forma di realismo praticata da chi prova un vero godimento nel male che infligge ad altri; il piacere calcolato di trattare la sicurezza internazionale come merce di scambio, a vantaggio delle grandi potenze e a scapito dei più deboli. E ripetiamo goderne.
Mascalzone e carogna. Ecco che cos’è Trump, per tornare a un più libero registro morale.
Ovviamente il lettore non deve prendere, quanto appena detto per forza per oro colato — ma neanche sottovalutare il gioco.
Andranno attentamente seguite nei prossimi mesi le attività del Congresso USA, che ha comunque in materia un potere di controllo, le audizioni al Pentagono e le mosse di difesa dei Paesi baltici e della Danimarca. Nonché le reazione europee (se vi saranno…).
Se emergessero documenti o trapelassero informazioni riservate, ciò che oggi resta sospetto potrebbe trasformarsi in prova. Allora potremmo scoprire se la storia ricorderà questo periodo come un revival della diplomazia segreta, con piccole vittime e grandi vincitori.
A questo proposito, un’ultima osservazione: il possibile scambio tra Groenlandia/Artico e Baltico suggerisce che ad Anchorage la questione ucraina sia stata solo sfiorata. In altre parole, l’Ucraina non è stata sacrificata durante il vertice: il suo destino era già deciso, molto prima della messa in scena in Alaska.
Carlo Gambescia.

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