Ieri sera, parlando di Trump con un giovane amico, serio e colto, che non sentivo da tempo, ho messo in luce quanto Trump si discosti dal modello tradizionale dei presidenti americani. Da qui nasce la difficoltà non solo di inquadrarlo secondo i criteri consolidati della politica USA, ma anche di spiegare le ragioni del suo straordinario successo. È proprio da questa riflessione che nasce l’articolo di oggi.
Esistono personaggi storici vocati al male (cioè guerra, morte, distruzione), si pensi a un Hitler, convinti però di fare il bene delle persone, e qui, per quel che riguarda la modernità si potrebbe risalire a figure storiche come Ferdinando II d’Asburgo, ultracattolico, educato dai Gesuiti, che scatenò la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) assalendo la Boemia protestante. Veramente un furore di dio, per dirla con Herzog.
Personaggi che innescano, processi di azione e reazione, come all’epoca, quello rappresentato da Gustavo II, re di Svezia, campione del protestantesimo, che scese in campo, aprendo, dopo quello boemo il cosiddetto periodo svedese della guerra dei Trent’anni.
Inutile ricordare che catastrofe fu tale conflitto per la Germania e l’Europa.
In queste figure spiccava, come portato di certo fanatismo religioso, secondo la logica a spirale degli estremi, l’odio assoluto per il nemico. E qui veniamo a Trump.
Si legga qui, cosa ha dichiarato nel suo discorso al funerale di Charlie Kirk.
“Ma poi, dimostrando di non riuscire neppure a lasciare che il defunto fosse al centro della sua stessa cerimonia funebre, Trump è intervenuto: «Ecco dove non ero d’accordo con Charlie. Io odio il mio avversario e non voglio il meglio per lui. Mi dispiace. Mi dispiace, Erika», disse guardando verso la vedova di Kirk, che in quello stesso servizio aveva dichiarato di aver perdonato l’assassino di suo marito” (“But then, demonstrating that he can’t even allow the deceased to be the focus at his own memorial service, Trump interjected: “That’s where I disagreed with Charlie. I hate my opponent, and I don’t want the best for them. I’m sorry. I am sorry, Erika,” he said looking toward Kirk’s widow, who at that same service said that she had forgiven her husband’s killer “) (*) .
Quest’uomo odia, e se ne fa un vanto, come la cosa più normale del mondo. Qui, la sua differenza con la tradizione politica americana. Che dalla Guerra d'Indipendenza, passando per la Guerra di Secessione, per giungere a due Guerre mondiali, pur nei momento più bui, per bocca dei Padri fondatori, Lincoln, Wilson, Roosevelt, mai era giunta fino a tanto. Cioè a teorizzare e giustificare l’odio verso un avversario tramutato in nemico assoluto. Qui siamo totalmente fuori dalla fisiologica ciclicità storica pubblico-privato (semplificando) studiata da Arthur M. Schlesinger Jr. (**).
È vero, come scrisse lo storico Richard Hofstadter, che esiste nella politica americana uno stile paranoide (populista, mezzo fascista, reazionario, fondamentalista), ma è sempre rimasto ai margini dei meccanismi istituzionali (***). Della ciclicità di cui sopra.
Con Trump, per la prima volta, la paranoia politica ha agguantato il potere. Qui l’originalità (si fa per dire) di un leader che si circonda di complottisti, frustrati politici, odiatori di professione, razzisti, fanatici religiosi. Si pensi a un Steve Bannon, regista ideologico del trumpismo, a Robert F. Kennedy Jr., portabandiera di un complottismo pseudo-sanitario, allo stesso defunto Charlie Kirk, agitatore instancabile, ma anche a figure come Marjorie Taylor Greene, campionessa del QAnon in Congresso, o Michael Flynn, ex generale caduto in delirio cospirazionista. Un caravanserraglio politico che fino a pochi anni fa sarebbe stato confinato ai margini, e che invece oggi siede accanto al leader repubblicano.
Di qui anche la difficoltà di spiegare le misteriose ragioni del suo successo. Storici, politologi, sociologi si sono cimentati nella più diverse spiegazioni: dissoluzione del ceto medio, tradimento delle élite, isolazionismo diffuso, declino americano. Sono risposte che non possono essere scartate a priori. Però Trump è Trump: un concentrato d’odio che evidentemente piace all’elettore americano. Perché piace?
In definitiva, il nodo centrale del “mistero Trump” – ciò che lo rende un vero Cigno Nero della politica americana – sta proprio nell’odio. Un evento raro e imprevedibile nel panorama politico statunitense: non un odio privato o timido, ma un odio esibito, normalizzato e reso legittima categoria della politica. È questo che rompe con la tradizione americana, e insieme spiega la sua presa sugli elettori.
Perché l’odio funziona? Per almeno tre ragioni. Primo: perché semplifica. In un mondo complesso, con problemi globali intrecciati (clima, migrazioni, crisi economiche), l’odio offre un bersaglio concreto, immediato: un nemico riconoscibile. Secondo: perché mobilita. L’odio scalda più della speranza, muove le viscere più che la ragione, fa scendere in piazza e soprattutto fa andare alle urne. Terzo: perché legittima. Molti americani frustrati, arrabbiati, insicuri, trovano in Trump un leader che dice apertamente ciò che loro pensano o sentono in privato: “sì, è giusto odiare chi ti ha rovinato la vita”.
Trump è, in questo senso, il primo presidente della storia americana a trasformare l’odio in programma politico esplicito. Non è un effetto collaterale, ma la sostanza stessa della sua proposta. L’odio come carburante identitario, come linguaggio comune, come promessa di riscatto.
Ed è qui che il suo fascino si rivela: Trump non si limita a “rappresentare” i suoi elettori, ma dà loro il diritto di odiare, senza vergogna. Li solleva dal peso della complessità, dalle ambiguità morali, dalla fatica del compromesso. In cambio chiede fedeltà.
Ecco perché piace. In una democrazia percepita come in affanno — attenzione: percepita, perché il tenore di vita negli Stati Uniti e in Occidente, storicamente, non è mai stato così alto — l’odio non solo divide, ma unisce. Forma una comunità di “noi” contro “loro”, cementata non da un progetto politico, ma da un’emozione primaria. Quando questa emozione diventa politica, può generare voti, consolidare il potere e, come insegna la storia, talvolta sfociare in vere catastrofi.
E qui torniamo a una possibile nuova Guerra dei Trent’anni.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.msnbc.com/opinion/msnbc-opinion/trump-speech-charlie-kirk-memorial-service-rcna233000 . Autore dell’articolo: Jarvis DeBerry (MSNBC Opinion Editor).
(**) Si veda in particolare A. M. Schlesinger Jr., The Cycles of American History, Houghton and Mifflin, Boston 1986.
(***) R. Hofstadter, Lo stile paranoide nella politica americana, Adelphi, Milano 2021.

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