I funerali di Charlie Kirk non sono stati solo un rito religioso e civile: sono stati trasformati in un gigantesco comizio, con 200mila persone nello stadio di Glendale (Arizona) e la presenza di Trump e Vance. La retorica ha sacralizzato la morte di Kirk, facendo di lui un martire della “libertà” e un simbolo indiscutibile di fede e patria. In realtà, la celebrazione ha oscurato il dolore privato, trasformandolo in spettacolo politico e in strumento di mobilitazione.
Il lessico religioso, i canti cristiani, la vedova che perdona l’assassino (per il quale però Trump e MAGA chiedono la pena di morte): tutti elementi che, autentici o meno, sono stati incorniciati dentro un’operazione politica che ha fatto coincidere religione e identità nazionale. Si è passati dal funerale al comizio, dal rito al marketing ideologico.
Questa stessa retorica ha trovato immediata eco in Italia: le prime pagine di “La Verità”, “Il Giornale” e “Il Tempo” (solo per indicarne alcune) hanno amplificato la logica americana, presentando Kirk come un martire della civiltà occidentale. A Pontida Salvini e Vannacci lo hanno celebrato come simbolo di lotta; Giorgia Meloni ha addirittura evocato lo spettro delle Brigate Rosse (“non ci lasceremo intimidire ”). Il meccanismo è identico: un lutto individuale diventa occasione per ridefinire il campo politico in termini di “noi” contro “loro”.
Ma dietro questo schema c’è un disegno più grande: l’idea di un Occidente esclusivamente cristiano, che si contrappone a un nemico esterno, l’Islam, ridotto a minaccia monolitica.
La questione palestinese rientra in questa narrazione come tassello di una nuova crociata. Alle sinistre viene attribuito un ruolo di quinta colonna: accusate di essere pro-Islam, perché pro-migranti, quindi pro palestinesi, migranti prossimi venturi (il che è verissimo). Insomma tutto il "pacchetto": spalancare le porte al nemico.
È un’operazione retorica che non mira tanto a descrivere la realtà quanto a costruire un capro espiatorio permanente. In questo modo, ogni dissenso politico diventa automaticamente tradimento, e lo spazio democratico viene ridotto a un conflitto morale tra i “difensori della civiltà” e i “collaborazionisti del nemico”. Per semplificare: tra chi crede nella idea-forza della teoria della sostituzione e chi no.
Si badi bene, quando la destra, anche in Italia. rappresenta Charlie Kirk come un martire per libertà, si fa riferimento a una libertà dentro il cristianesimo, negata a chiunque non sia cristiano. Una logica integralista, che se dovesse vincere, come accaduto con i templi pagani, chiuderebbe subito i templi liberali.
Si dirà, ma anche i liberali la negano a chi non sia liberale… Certo, ma non chiudono i templi cristiani. Magari peccano di antifascismo. Ma quella è la lezione del 1945 che i fascisti non hanno mai imparato.
Non solo. In questa logica, da vasto programma, l’Ucraina diventa un dettaglio sacrificabile: un piccolo problema interno, superabile se serve a favorire l’ingresso della Russia cristiana nell’Occidente cristiano. È la riproposizione di una visione medievaleggiante, dove l’identità religiosa schiaccia la complessità politica. Quanto poi Bisanzio e Roma (semplifichiamo) andranno d’accordo, in questa Nona Crociata ( e al posto di Israele non ci fideremmo troppo di questa gente), è difficile dire. Le prime otto furono scuola di prepotenza, ambiguità e astuzie varie. Il campo cristiano, alla pari di quello islamico, fu molto diviso.
Huizinga, nel suo celebre libro, vedeva i segni della modernità che si imponevano favorendo il tramonto del Medioevo, soprattutto sul piano delle superstizioni religiose (la famigerata “demonologia”, pagano-cattolica, dell’ultimo capitolo del Leviatano hobbesiano, il IV, che nessuno legge più…).
Oggi, paradossalmente, assistiamo all’inverso: all’ autunno della modernità. Le conquiste di secoli di politica laica, di pluralismo e di diritti universali, in una parola del liberalismo, vengono erose da una retorica che mescola altare e tribuna, fede e nazione, nemico esterno e mobilitazione interna.
Le due spade, spirituale e temporale, sembrano tornare a riunificarsi – anche per opera di un Papa, Leone XIV, dai disegni ancora non ben precisati ma comunque non liberali – nelle mani di politici ibridi, mostruosi, animati da una nuova specie di gelatinoso messianesimo politico a sfondo fortemente cristiano.
Per capirsi: la religione non più come fatto privato ma come fatto pubblico, politico, come pistola carica contro i nemici dell’Occidente cristiano. Si ricomincia da capo. Calpestando la memoria di Erasmo. Il teologo cristiano ma umanista, quindi liberale, che aveva previsto riforma, controriforma e guerre di religione. Se solo vi fosse stata pre-riforma… Non solo quella immaginaria degli storici giustificazionisti del tardo XX secolo… Anima di Erasmo dove sei? Qui occorre un cristianesimo erasmiano: liberale. Parole al vento, oggi come oggi.
Perciò il problema non è solo quello della commemorazione di un leader ucciso. Perché si rinvia all’uso di quella morte per alimentare una visione reazionaria, esclusiva e aggressiva. È l’idea di una nuova crociata che pretende di difendere l’Occidente ma in realtà ne tradisce l’anima liberale.
Ci si consente una battuta? Da lunedì post campionato di calcio? Joseph de Maistre 1 Erasmo da Rotterdam 0. E siamo solo alla fine del primo tempo. Qui si rischia la goleada reazionaria.
Ecco perché possiamo parlare davvero di un autunno della modernità: la stagione in cui il pluralismo, i diritti e la politica laica rischiano di tramontare sotto il peso di un messianesimo politico che brandisce la religione come un’arma.
E l’Occidente, quello vero, liberale, deve decidersi se resistere o arrendersi.
Carlo Gambescia




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