Le immagini della sfilata di ieri a Pechino ci hanno di colpo riportato con il pensiero a “Il trionfo della volontà” (“Triumph des Willens”): film di propaganda nazista del 1935, diretto da Leni Riefenstahl, che documenta il raduno del Partito Nazionalsocialista a Norimberga del 1934.
Il film alterna i discorsi dei leader, in particolare di Hitler, a riprese dei membri del partito e a sfilate militari, glorificando il ritorno della Germania come grande potenza e presentando Hitler come un leader incontrastato. Da allora, dopo ogni colpo di mano, Hitler si autoproclamava uomo di pace, promettendo che sarebbe stata l’ultima volta. Oggi quel copione potrebbe ripetersi: Ucraina e Taiwan rischiano di diventare i primi obiettivi di uno schema simile, che un Occidente meno confuso e meno intimorito bollerebbe come la minaccia di "stati canaglia".
Questa formula della politica come “volontà di potenza” – in questo caso 2.0 – sembra reincarnarsi nella parata militare di ieri. Ritorna, inquietante, a distanza di quasi un secolo, la scelta secca di Hitler e Mussolini: “Pace o guerra. A voi la scelta”. Cioè all’Occidente, come allora a Francia e Gran Bretagna.
Xi Jinping l’ha scandita durante la parata militare di Pechino. Putin l’ha sottoscritta con la sola presenza. Siamo davanti allo stesso rovesciamento retorico degli anni Trenta: fascismo e nazismo si proclamavano “per la pace”, ma solo a condizione che l’Occidente accettasse le loro pretese. Oggi, Cina e Russia ripetono il copione: noi siamo pacifici, se vi piegate.
Il paragone non è forzato. Anche allora si usavano parate e simboli
per intimidire. Anche allora la responsabilità della guerra veniva
scaricata sugli altri.
L’interrogativo resta: Xi e Putin si preparano davvero alla guerra o bluffano?
La Cina ha mostrato missili ipersonici, droni, la triade nucleare. La Russia si è presentata con Putin, come a dire: sono ancora qui. Ma dietro l’apparato scintillante ci sono fragilità.
Pechino non ha testato in combattimento gran parte delle sue armi.
Diciamolo chiaramente: nonostante la retorica storiografica comunista,
la Cina ha conosciuto più guerre civili che conflitti mondiali e, nella
sua millenaria storia, ha subito numerose invasioni esterne, dalla
conquista dei Mongoli con la dinastia Yuan ai Manciù e ad altre potenze
straniere. Mosca, invece, le cui tradizioni militari di fondo non sono
eccelse, sembra risentire del logorio causato dalla guerra in Ucraina:
un conflitto che avrebbe dovuto essere rapido e invece si è trasformato
in un vero pantano.
Tuttavia, bluff o no, il messaggio è chiaro: siamo pronti a spaventarvi, a costringervi sulla difensiva.
E qui arriviamo al vero problema: l’Occidente non appare pronto.
Donald Trump tace o riduce la geopolitica a slogan: “America First”. L’Europa, divisa, balbetta sulla guerra in Ucraina. L’Italia oscilla, tra proclami atlantisti e tentennamenti concreti. Giappone, Australia e Canada seguono Washington, e fino a un certo punto, ma senza strumenti autonomi per incidere. L’India resta ambigua: formalmente nella SCO, ma assente a Pechino.
Per citare il famoso dipinto di Pelizza da Volpedo, alla sfilata si è visto una sorta di ‘Quarto Stato Mondiale’, il fronte eurasiatico guidato da Cina e Russia, che però si appresta a diventare baldanzosamente primo.
A conferma di questa rappresentazione, oltre a Xi Jinping e Vladimir Putin, la parata di Pechino ha visto la presenza di altri 24 leader da quasi tutto il continente eurasiatico. Tra gli altri: Kim Jong Un dalla Corea del Nord, Alexander Lukashenko dalla Bielorussia, Re Miguel Díaz Canel da Cuba, Aleksandar Vučić dalla Serbia, Robert Fico dalla Slovacchia, Masoud Pezeshkian dall’Iran e Shehbaz Sharif dal Pakistan (*).
Come detto, il fior fiore degli “stati canaglia”, nonché uno stato
membro UE, la Slovacchia di Fico, e uno stato candidato, la Serbia di
Vučić…
Accanto a loro c’erano rappresentanti di organizzazioni internazionali
come la SCO, l’ASEAN e l’ONU, e figure di rilievo come l’ex primo
ministro giapponese Yukio Hatoyama. La scena complessiva dava
l’impressione di un fronte eurasiatico ampio, compatto nella foto
ufficiale, anche se dietro il sorriso diplomatico e le strette di mano
la reale compattezza politica è molto più fragile.
La Shanghai Cooperation Organization (SCO), nata nel 2001 come “Shanghai Five”, unisce Cina, Russia e Paesi dell’Asia Centrale per cooperazione politica, sicurezza ed esercitazioni militari. Oggi comprende anche India, Pakistan e Iran, più partner di dialogo. Non è una NATO asiatica: manca la clausola di difesa collettiva. Serve però come forum politico e simbolico di compattezza autoritaria.
Xi e Putin puntano vistosamente sull’astuta ma criminale retorica nazi-fascista della pace minacciata. È un linguaggio che conosciamo bene, e che dovrebbe allarmare.
L’Occidente appare diviso e incerto: gli Stati Uniti senza bussola strategica, l’Europa confusa, l’Italia tentennante. I partner asiatici sono dipendenti.
Se la storia insegna qualcosa, è che la retorica della “pace condizionata” non annuncia mai la pace, ma prepara la guerra. E l’Occidente non è pronto a raccogliere la sfida.
Carlo Gambescia
(*) Gli altri nomi: Norodom Sihamoni della Cambogia, Kassym Jomart Tokayev dal Kazakistan, Sadyr Japarov dal Kirghizistan, Thongloun Sisoulith dal Laos, Anwar Ibrahim dalla Malesia, Mohamed Muizzu dalle Maldive, Khurelsukh Ukhnaa dalla Mongolia, Min Aung Hlaing dal Myanmar, KP Sharma Oli dal Nepal, Denis Sassou Nguesso dalla Repubblica del Congo, Emomali Rahmon dal Tagikistan, Serdar Berdimuhamedov dal Turkmenistan, Shavkat Mirziyoyev dall’Uzbekistan, Lương Cường dal Vietnam e Emmerson Mnangagwa dallo Zimbabwe, Nikol Pashinyan dall’Armenia, Ilham Aliyev dall’Azerbaigian. Qui: https://apnews.com/article/china-parade-xi-putin-kim-photo-3d34709b05b096138b5f013a0343049b .




A quanto pare era presente anche un italiano... https://www.avvenire.it/attualita/pagine/d-alema-pechino
RispondiEliminaGrazie. Sì, sì sapevo. La destra dei giornali ha sparato a zero. Che dire? Chi si somiglia, si piglia... :-)
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