“Gaza è una miniera d’oro”: Così Bezalel Smotrich, attuale Ministro delle Finanze. Nato nel 1980 a Haspin, sulle alture del Golan, da una famiglia di coloni religiosi. Cresciuto in un ambiente nazional-religioso ortodosso, ha fatto gli studi rabbinici ed è avvocato. Leader del Miflaga Datit Leumit – HaTzionut HaDatit ( “Partito Nazionale Religioso – Sionismo Religioso”), partito fondamentalista. Con poche battute ha saputo trasformare la sofferenza di un popolo in opportunità di lucro, facendo anche ottimi affari con Trump. Altro mascalzone cosmico.
È questo il linguaggio che domina oggi in Israele.
Eppure Israele non nasce così. Lo Stato ebraico è figlio del laburismo, del socialismo liberale dei padri fondatori. Ben Gurion, Golda Meir, Rabin, Peres: furono loro a costruire le istituzioni, i kibbutz, i sindacati, le industrie pubbliche. Non siamo certo sostenitori del socialismo liberale, soprattutto sul piano economico. Ma, tra quello e lo spettacolo indecente che abbiamo oggi sotto gli occhi, meglio cento volte il laburismo. Perché quel socialismo, pur con i suoi limiti, seppe coniugare calcolo economico e visione collettiva, persino immaginando — tra contraddizioni e timidezze — l’integrazione e la secolarizzazione degli arabi.
Quel mondo è crollato con l’ascesa di Netanyahu. Grazie anche al declino di Kadima (“Avanti”), ultimo sussulto politico, tra il 2005 e il 2013, di un centrosinistra ormai esausto. In certa misura l'uccisione nel novembre 1995 di Rabin da parte di un giovane estremista di destra ha un triste valore simbolico. Annuncia la fine di un mondo e l'inizio, di lì a qualche anno, di un' altra epoca.
Il leader del Likud (“Stabilità”) ha progressivamente svuotato la democrazia israeliana, imponendo una cultura politica in cui sicurezza e identità sono brandite come armi di parte. Il laburismo, un tempo spina dorsale del Paese, è oggi ridotto a un relitto: quattro seggi in Parlamento, nessuna guida, nessuna visione. Meretz (“Energia”) è scomparso dai radar, zero seggi alle elezioni del 2022.
In termini molto semplificati, l’opposizione effettiva non si trova più a sinistra, ma in un blocco di centristi — Yesh Atid (“C’è un futuro”) e altri piccoli partiti — che tentano di contenere la destra senza avere né radicamento sociale né una visione laburista o liberale: un vero disastro.
La destra invece domina incontrastata: Likud e i suoi alleati ultra-ortodossi e ultranazionalisti, dettano l’agenda, imponendo un modello politico fondamentalista e senza contrappesi. In pratica, Israele si muove tra un centro fragile e una destra egemonica, mentre la sinistra storica appare come un relitto.
La sinistra israeliana attuale annaspa. Ha perso identità, radicamento sociale e credibilità. Non rappresenta più i ceti popolari non parla ai giovani, non offre un progetto alternativo né sul piano economico né su quello della sicurezza. Appare come un’élite nostalgica, incapace di incidere sul presente. I partiti centristi, dal canto loro, oscillano senza coraggio: più stampelle che alternative.
Il risultato è un deficit drammatico di umanesimo liberale. Non ci sono più figure come Rabin, capaci di unire sicurezza e pace, né come Peres, capaci di sognare un futuro diverso. Lo spazio è occupato da fondamentalisti religiosi e da coloni che vedono Gaza come bottino e i palestinesi come ostacolo da eliminare.
La sinistra europea, intanto, mostra la sua cecità. Confonde Netanyahu con “tutto Israele”, ignorando la tradizione laburista che pure ha plasmato il Paese. Questo errore colossale alimenta un antisemitismo di ritorno, mascherato da critica politica, che in realtà cancella la memoria di un Israele liberal-democratico e pluralista. E la sinistra mondiale, schierandosi in modo acritico e manicheo con i palestinesi, ottiene l’effetto opposto: rafforzare Netanyahu, che può presentarsi come unico difensore di Israele davanti a un mondo ostile.
Così oggi Israele è consegnato alla peggior destra possibile: fondamentalista, autoritaria, senza cuore. Una destra che ha degradato il calcolo economico a cinismo, lontanissima dal socialismo liberale dei laburisti.
Hannah Arendt ci direbbe che stiamo assistendo a una nuova forma di disumanizzazione politica, dove profitto e vendetta sostituiscono politica ed etica. Israele, orfano del suo laburismo, ha perso il cuore liberal-democratico. E l’Europa, cieca e ignorante, contribuisce al disastro.
Ma un varco, per quanto stretto, resta aperto: ricostruire un fronte democratico laico, che unisca laburisti, centristi e società civile, capace di riportare al centro la dignità umana e non solo la sicurezza. Non sarà il ritorno del vecchio laburismo, ma potrebbe essere l’inizio di un nuovo patto politico, l’unico antidoto alla deriva fondamentalista che oggi avvelena Israele.
Il centro israeliano deve tornare a guardare a sinistra. Ma verso chi però? Qui il problema.
Carlo Gambescia

Tutto vero ahimè....! però tutti i sondaggi indicano che alle prossime elezioni (fra un anno al massimo) l'attuale maggioranza sarà sconfitta, non andando oltre i 50 seggi su 120. L'alternativa resta da costruire. io credo poco alla vecchia sinistra e al laburismo, credo invece nella saldatura di un ampio fronte democratico che sorge dalla società civile israeliana, al quale tu stesso accenni nella conclusione. Incrociamo le dita, e stiamo a vedere. Complimenti, Carlo !
RispondiEliminaGrazie Alessandro della gradita integrazione. Lo spero anch'io. I nemici di Israele riflettano su questo dato, ricordato dall'amico Alessandro: in Iran e in Russia i sondaggi non hanno senso. In Israele, sì, perché è una liberal-democrazia. Un abbraccio!
RispondiEliminaLa crisi della sinistra in Israele e la conseguente ascesa della destra ultranazionalista non può essere ricondotta solo ad una carenza di leaders carismatici ma anche (e soprattutto) alle responsabilità dei palestinesi che hanno affossato sistematicamente ogni vantaggiosissima proposta di pace autocondannandosi ad una guerra infinita contro Israele.
RispondiEliminaSaccone
Che piacere un suo commento! Concordo con lei. Del resto nell'articolo ne parlo anch'io.
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