giovedì 21 agosto 2025

Netanyahu, l’affossatore della Shoah

 


Tra cento anni non si potrebbe più parlare della Shoah, anche per colpa di Netanyahu, e non a causa degli israeliani, e tanto meno degli ebrei.

Detta così la frase può sembrare apodittica, cioè di argomento evidente, inconfutabile. Quindi occorre una spiegazione.

Cosa vogliamo dire? Che una politica di estrema destra, una miscela di forza militare e di insediamenti, promuove quello che può essere definito il nuovo antisemitismo, che si fonda sul concetto dell’ebreo, quindi non solo Israele, come nemico della pace in Medio Oriente, e di rimbalzo in tutto il mondo. Torna il retrivo  schema paleocristiano dell’ebreo uccisore, questa volta, del moderno Cristo: la pace universale.

Più Netanyahu, da uomo di estrema destra, che traduce lo spirito di nazione (sano all’inizio di Israele) in nazionalismo, più il mondo vede nell’ebreo chi vuole crocifiggere la pace. 

Una evocazione che, stando allo studio attento della pubblica opinione, va oltre il normale, o se si preferisce classico, estremismo politico della destra e della sinistra antisemita. 

Dicevamo della Shoah. Se ne parla sempre meno. E soprattutto, viene usata al contrario, contro gli ebrei. Come frutto di un vittimismo che serve a coprire l’aggressione – così ormai viene presentata – contro i palestinesi (*).

Che tutto questo sia falso è inconfutabile, come è inconfutabile lo spirito aggressivo dell’attuale governo israeliano. Che va oltre la giusta risposta all’attacco terroristico del 7 ottobre. Una politica, come ha provato una recente manifestazione, che non è assolutamente condivisa da tutti gli israeliani. Non esiste l’Ebreo, come “blocco” unico. Il sionismo unito al liberalismo produce la libera dialettica tra destra e sinistra.

Netanyahu, appoggiato all’estero da altri leader ultranazionalisti, da Trump a Giorgia Meloni, e via dicendo, sta distruggendo, giorno dopo giorno, oltre a questa fisiologica dialettica, il valore metastorico della Shoah. Ecco perché dicevamo, che tra cento anni si rischia il suo affossamento.

Si dirà, che stiamo vaneggiando. Il governo Netanyahu è dalla parte della ragione, reagisce a un’aggressione, eccetera, eccetera.

Ripetiamo. Nessuno nega che la reazione sia stata giusta. Ciò che va criticato è la deriva nazionalista che porta all’identificazione – ripetiamo – tra ebraismo e complotto – questa volta – contro la pace mondiale.

Il rischio è quello che si diffonda e prorompa nel cervelli l’idea della Shoah al contrario, cioè che in fondo Hitler aveva ragione.

Nel 1978, fu prodotta e diffusa una miniserie televisiva, “Olocausto”. Termine allora preferito a quello di Shoah che invece esclude l’idea di sacrificio inevitabile. Nonostante ciò fu un enorme successo e un pugno nello stomaco per milioni e milioni di telespettatori in tutto il mondo. Vi si evidenziava giustamente la responsabilità morale del popolo tedesco nel credere che gli ebrei complottassero contro la civiltà occidentale, della quale la Germania rappresentava l’ultimo baluardo. E che quindi eliminare un ebreo significava eliminare un nemico. Non viene più riproposta in tv, da almeno quarant’anni. Perché?

La sua rimozione dai palinsesti non è solo un fatto televisivo, ma un segnale culturale: la Shoah non viene più presentata come monito collettivo, bensì archiviata come un capitolo chiuso. È questo silenzio, più ancora del negazionismo, a logorare la memoria.

Oggi i leader occidentali, come detto, a partire da Trump, definiscono Netanyahu difensore dell’Occidente. Però qual è l’effetto di questa definizione? Di approvarne l’ultranazionalismo, che è lo stesso veleno a cui fece ricorso Hitler. Il che facilita tra i nemici di Israele, che crescono continuamente, l’equazione, Netanyahu uguale Hitler. Il che va oltre la critica a Israele per estendersi all’ebreo in quanto tale.

I due soggetti politici, ovviamente non possono essere messi sullo stesso piano, il che però non esclude la comune condivisione della venefica pozione nazionalista. Tornata oggi ad essere apprezzata da molti politici, a cominciare, tra gli altri, da Giorgia Meloni che si autodefinisce, proprio come Hitler, dalla parte dell’Occidente. Ma quale Occidente? Quello illuminista e liberale? O quello razzista e fascista? Risposta scontata, quello razzista…

Per farla breve, Netanyahu può essere definito come l’affossatore della Shoah. Non soltanto perché ne logora il significato metastorico, ma perché contribuisce, con la sua politica, a rendere accettabile il silenzio. Un silenzio che i palinsesti televisivi hanno anticipato archiviando opere come “Olocausto”, e che la retorica nazionalista ora consolida a livello politico. Così la memoria diventa retorica di parte, e la tragedia si riduce a strumento di potere.

In definitiva, il nodo non è la legittimità della difesa di Israele dopo il 7 ottobre, ma la piega nazionalista impressa dal governo Netanyahu. Una piega che, sovrapponendo ebraismo e aggressione, rischia di capovolgere il senso stesso della memoria della Shoah. L’Olocausto, da monito universale contro ogni totalitarismo, viene così progressivamente svuotato e rovesciato: non più tragedia da ricordare, ma argomento da strumentalizzare.

In questo modo si apre la strada a un antisemitismo “di ritorno”, tanto più insidioso quanto più travestito da discorso sulla pace. Ecco perché, se tra cent’anni la Shoah dovesse scivolare fuori dalla coscienza collettiva, la responsabilità non sarà soltanto dei negazionisti, ma anche di chi oggi la logora dall’interno con la retorica del nazionalismo.

Carlo Gambescia

(*) Secondo l’Anti-Defamation League, quasi il 46% degli adulti nel mondo (2,2 miliardi di persone) nutre ideologie antisemite, il doppio rispetto a dieci anni fa. Solo il 39% dei giovani 18-34 anni riconosce l’Olocausto, mentre molti non ne hanno mai sentito parlare (https://it.euronews.com/my-europe/2025/01/27/giornata-della-memoria-la-comunita-ebraica-mette-in-guardia-dallaumento-dellantisemitismo ).

2 commenti:

  1. Continuo a leggerla col consueto interesse. Giulio Contini

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