Pochi giorni fa la mia pagina Facebook è stata bloccata per “attività insolita”.
Dietro questa formula anodina, come spiego nell’intervista, si nasconde un meccanismo che consente di silenziare voci critiche attraverso algoritmi ciechi e segnalazioni mirate.
Ringrazio Carmelo Palma e la redazione di “Strade” per avermi dato l’occasione di raccontare quanto accaduto e di riflettere più in generale sui rischi della censura digitale.
Ripubblico qui l’intervista, uscita in origine su “Strade”, con il link all’articolo originale (*).
Si badi bene, il mio non è un caso isolato. Oggi tocca a me, domani può toccare a chiunque. Ed è questo il punto: la libertà di parola non dovrebbe essere un lusso concesso da un algoritmo, ma un diritto di tutti. La censura mascherata da moderazione è il vero pericolo del nostro tempo. Per questo continuerò a scrivere e a parlare, qui e altrove.
Carlo Gambescia
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Bloccato su Facebook, ma non messo a tacere. Il fascismo digitale contro Carlo Gambescia
Carlo Gambescia, sociologo liberale e studioso di metapolitica, autore di un importante trattato in argomento e di numerosi libri, è attivo in rete da vent’anni con il suo blog molto seguito.
Professor Gambescia, cosa è successo?
Il 14 agosto Facebook ha bloccato la mia pagina per “attività insolita”. Tradotto: chi non gradisce la mia voce ha trovato il modo di silenziarmi con qualche clic e un algoritmo compiacente.
Cos’aveva fatto il 14 agosto?
Avevo pubblicato un post su Facebook con il link a un pezzo che ho scritto sul mio blog a proposito della ripubblicazione e diffusione in allegato a “Panorama” e “La Verità” de Il Campo dei Santi di Jean Raspail, un romanzo distopico e razzista uscito nel 1973, che anticipa il successivo successo delle teorie cospiratorie sulla sostituzione etnica.
Perché pensa che le due cose siano correlate?
Perché per tre volte il post è stato pubblicato e per tre volte è stato immediatamente cancellato dalla piattaforma. Poi è stato sospeso direttamente il mio account.
Pensa sia casuale?
Macché. È una mossa coordinata. Gruppi ideologici aggressivi e organizzati, contrari alle idee liberali, sfruttano i buchi neri delle regole di Meta per zittire chi li mette in difficoltà. Non è teoria, è pratica quotidiana.
Ma come funziona questo meccanismo? È difficile pensare che la coincidenza di cui è stato vittima sia casuale, ma è anche difficile immaginare che Maurizio Belpietro, direttore delle due testate e prefatore della nuova edizione del libro, abbia chiamato “qualcuno” a Meta per silenziarla.
Infatti il meccanismo è più sofisticato e apparentemente neutrale. Come mi ha spiegato un esperto si tratta del tipico mix di trigger algoritmico e segnalazione coordinata. Prima Meta filtra i contenuti rilevando parole o immagini sensibili, ad esempio “Mein Kampf”, “Mussolini”, “Hitler”…
Cioè è possibile che un post ad esempio contro Hamas, che citi gli slogan o mostri le immagini degli jihadisti per esecrarli venga considerato apologetico e cancellato?
Si tratta di filtri ciechi, che non discriminano ad esempio l’apologia o la critica del nazismo o dell’islamismo. Meta rimuove il contenuto formalmente per autotutela. Se però a questo si somma una campagna coordinata di segnalazioni, che accusa un utente di veicolare messaggi d’odio o di diffamazione verso qualcuno, allora il meccanismo cieco viene convertito a campagne mirate di “silenziamento”. Sul mio blog ho spiegato nel dettaglio questo meccanismo, che trasforma una piattaforma di condivisione di contenuti in una piattaforma di censura di massa.
E Meta cosa fa?
Fa finta di niente. Meta è la moderna censura mascherata da moderazione neutra. Gli algoritmi non distinguono tra estremismo e critica scomoda. Qui i buchi neri. Si colpisce chiunque faccia rumore.
È un caso isolato o un fenomeno più ampio?
È sistemico. Account indipendenti o critici vengono bloccati con facilità inquietante. La libertà di espressione online sta diventando un lusso, non un diritto.
Quindi un fenomeno diffuso…
Sì, e quel che è peggio è il conformismo di non pochi utenti dei social. Molti pensano: chi subisce un blocco deve avere fatto qualcosa. La si chiama anche presunzione di colpevolezza.
Che si traduce in che cosa?
Si diffonde così un cordone sanitario di silenzio, per timore di subire la stessa sorte. Mi ha sconcertato il silenzio di alcuni presunti amici e lettori, pur studiando da sempre il conformismo come fenomeno sociologico.
Che consiglio dà a chi subisce lo stesso trattamento?
Non piegarsi. Documentare tutto, usare canali alternativi, ma soprattutto parlare più forte. Il blocco di una pagina non spegne le idee.
Ultima domanda, professore: chi sta dietro a questi blocchi?
I nuovi fascisti digitali. Straripano ovunque, manipolano segnalazioni, cercano di soffocare ogni voce scomoda. Ma c’è una differenza fondamentale: una pagina può essere bloccata, le idee no. Io non mi faccio intimidire. E così spero facciano anche le altre voci libere.
(Intervista a cura di Carmelo Palma)

Caro Gambescia le esprimo tutta la mia solidarietà.
RispondiEliminaGrazie. Chi è il misterioso fan? 😎
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