mercoledì 20 agosto 2025

La sai l’ultima? Trump uomo di pace

 


Pace: parola magica. Risveglia in noi gli istinti migliori. Chi potrebbe non gradire un termine che evoca armonia, accordo, riposo? Insomma, le bibliche vacche grasse.

Ma la pace non è solo assenza di conflitto: qui in Occidente richiama progresso, viaggi, vacanze, supermercati pieni, aperitivi, parchi con cani e bambini, coppiette che si baciano al tramonto. Tutte quelle piccole gioie quotidiane che ci ricordano che vivere insieme può essere bello.

E allora come non gioire di fronte a segnali positivi nella guerra di aggressione russa all’Ucraina? Grandi leader si sono incontrati a Washington: Zelensky, in quasi abito da sera scuro, ha accettato di incontrare il dittatore; Putin ha fatto lo stesso da Mosca. L’Europa tira un sospiro di sollievo, pur tra qualche piccolo “se” e “ma”. E, naturalmente, Trump non si lascia sfuggire l’occasione: si autocelebra come uomo di pace.

Lasciamo da parte le esagerazioni della sua recente affermazione di aver “risolto sei guerre in sei mesi” – cosa che non corrisponde alla realtà –, in effetti si tratta più di cessate il fuoco fragili o negoziati ancora in corso, da Israele-Iran al Kashmir (India-Pakistan), dal Congo-Rwanda al Caucaso (Armenia-Azerbaigian), fino a Cambogia-Thailandia e alla disputa sul Nilo (Egitto-Etiopia). Insomma, più propaganda che pace vera e propria. Cose da colpo di tweet.

E naturalmente la settima sarebbe la soluzione della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Probabilmente è ancora presto per cantare vittoria. Comunque sia, concediamo che un piccolo passo avanti è stato fatto. Vedremo.

Il punto, però, è un altro: Trump,  in base a ciò che dice e soprattutto fa,  può davvero definirsi “uomo di pace”? Diciamo tipologicamente?  No, e per cinque ragioni.

In primo luogo, la pace evoca cose belle, le “vacche grasse” di cui parlavamo. Chi crede davvero nella pace, a cominciare da un leader mondiale, non può negarle ad alcuni per riservarle ad altri. Trump, invece, militarizza gli Stati Uniti. Alla sua retorica di pace esterna contrappone una guerra interna: contro i migranti e chiunque non la pensi come lui. La sua “Gestapo”, l’ ICE (Immigration and Customs Enforcement), armata fino ai denti, effettua controlli per strada e raid all’interno dei confini nazionali, colpendo sproporzionatamente persone di origine ispanica basandosi su caratteristiche visibili o sull’accento. Una vergogna che evidenzia una politica interna di repressione sistematica e discriminatoria.

Quanto agli oppositori politici, il caso del Texas è emblematico: mandati di arresto contro deputati democratici assenti dimostrano un uso aggressivo del potere politico, permesso da Trump al governatore repubblicano. A questo si aggiungono le pressioni su giudici locali e l’arresto di Linda Wallace, giudice nera della contea di Rains, artatamente accusata di manipolazione di testimoni.

Infine Le azioni recenti di Trump — Commissione per la Libertà Religiosa, Ufficio della Fede e task force anti “pregiudizio anti-cristiano” — mostrano un orientamento verso l' integralismo religioso. Favoriscono i valori cristiani conservatori nella politica e nella sfera pubblica. Sollevano dubbi sulla separazione tra Chiesa e Stato e sulla pluralità religiosa negli USA.

E delle  guerre commerciali?  Delle mire,  sfacciatamente proclamate,  su Panama, Groenlandia e Canada? Ne vogliamo parlare?  

Questi episodi confermano il metodo di Trump, che agisce come un reazionario, razzista, integralista religioso e nazionalista. Tra gli uomini vuole  portare la guerra non la pace.

In secondo luogo, Trump non crede nell’eguaglianza tra gli uomini e non rispetta la pari dignità. Sta distruggendo la Costituzione liberale, la più antica tra quelle scritte. Se fosse un uomo di pace, non deporterebbe i migranti in catene, vantandosene. Come non evocare un antico fantasma? Quello dei nazisti, che prima di invaderla deportarono in Polonia gli ebrei tedeschi di origine polacca: scortate dagli sgherri di Hitler, lunghe file alla fontiera di uomini, donne, vecchi e bambini, con pochi marchi in tasca, destinati all’Olocausto.

In terzo luogo, Trump non è un uomo di pace perché ammira i dittatori e “uomini forti”. Di Putin ha detto che è “un genio”, di Kim Jong-un che è “molto intelligente” e che tra loro “c’è stato amore”. Ha definito Xi Jinping “un leader forte, quasi un re della Cina”, ha lodato Erdoğan come “rispettato in patria e all’estero” e celebrato Orbán come vero patriota. Dulcis in fundo, non si è risparmiato neppure con Giorgia Meloni, “donna forte”, esaltandone la durezza verso i migranti e il ruvido patriottismo.

In quarto luogo, Trump non è un uomo di pace perché pone aggressori e vittime sullo stesso piano. Un uomo di pace – per dirla terra terra – non metterebbe mai sullo stesso piano la moglie tradita e il marito traditore ( e viceversa): cioè Zelenski, aggredito, e Putin, aggressore. Indimenticabile il vergognoso trattamento riservato al presidente ucraino nella sua prima visita alla Casa Bianca. Anche nei giorni  scorsi, la benevola sufficienza con cui Trump lo ha accolto, rispetto al tappeto rosso steso per Putin, è significativa.

In quinto e ultimo luogo, Trump è un leader pericoloso. Con la sua ultima sparata – “ho risolto sei guerre in sei mesi” – non si limita a esagerare: mostra un modello di leadership inquietante e ricorrente nella storia. Come Napoleone, Hitler o Stalin, manifesta convinzione cieca nelle proprie illusioni e rifiuto di ascoltare chi dissente. Nel linguaggio di Lasswell, non è un amministratore calcolatore, ma un “agitatore”: un leader che vive di provocazioni, spettacolarità e reazioni emotive, con l’aggravante di avere accesso al potere più grande del mondo. 

Il rischio è che, credendo sinceramente alle proprie bugie, perda ogni contatto con la realtà e costruisca un ciclo di autoillusione, in cui la percezione personale prevale sui fatti. Ogni dichiarazione, ogni tweet, ogni rivendicazione non verificata diventa un potenziale detonatore di tensioni diplomatiche e conflitti.

Concludendo, altro che uomo di pace… il modello di leadership di Trump è quello della benzina sul fuoco.

Carlo Gambescia


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