Il meccanismo dei simboli spiega molte cose. Passano gli anni e i simboli persistono attraverso il tempo. Figli di un immaginario, soprattutto politico, che non vuole passare. Che nel profondo, e neppure tanto, sollecita fantasie di rivincite storiche.
Si prenda la prima pagina del “Tempo” di oggi. Quella M per Meloni non è casuale, rinvia direttamente alla M, iniziale di e per Mussolini, che contaminò monumenti e parate del Ventennio.
Ma quale "Middle Class"... La M non è nata sulla copertina della mediocre biografia romanzata di Scurati, ma viene da lontano.
Le celebri “M di Mussolini”, in gran voga durante il Ventennio, nacquero nell’ambiente futurista di Filippo Tommaso Marinetti e furono poi sistematizzate dalla propaganda fascista, in particolare dal fratello del duce, Arnaldo Mussolini, poi dal MinCulPop. Comparivano ovunque: nei giornali, nei libri scolastici, nei manifesti, sulle facciate degli edifici pubblici. Le M venivano spesso ripetute in serie – MMMMM – per richiamare la marcia compatta, la forza delle masse, l’energia ritmica del regime.
Il significato simbolico era polivalente: oltre a indicare il nome del capo, evocava Marcia, Milizia, Mediterraneo, Forza della Massa fascista e, più in generale, la potenza imperiale di Roma antica. La grafica era monumentale, ispirata all’epigrafia romana, oppure dinamica, di gusto futurista. In sostanza, una lettera trasformata in sigillo politico e culto del capo. Non mancavano però le ironie degli oppositori, che ribattezzarono le celebri “M” come semplici “ M di merda” (*).
Pertanto si tratta di qualcosa che si incise profondamente nella mentalità collettiva. Probabilmente, come un archetipo ideologico. Dov’ è allora la novità?
Che per ottant’anni quella M la si è vista spuntare con tratti quasi infantili sulle pareti delle catacombali sezioni missine, e di tanto in tanto riaffiorare sui muri malconci delle città, opera di attivisti nostalgici. Oggi, la ritroviamo in prima pagina sul “Tempo”, quotidiano un tempo liberale. E con che scopo? Celebrare Giorgia Meloni, che a questo punto, in modo spudorato e privo di qualsiasi decenza politica, viene consacrata come l’erede di Mussolini. Non c’è male dopo ottant’anni di Repubblica…
Esageriamo? I simboli spesso sono più importanti dei fatti perché esprimono “l’indicibile”. Cioè il linguaggio criptico-estremista delle idee senza parole, come rilevava Furio Jesi più di quarant’anni fa a proposito dell’immaginario fascista e neofascista. Non si parla per argomenti ma per emozioni.
Sicché basta l’iniziale di un nome: ieri Mussolini, oggi Meloni. Una specie di linea di assoluta continuità tra il Partito Fascista e Fratelli d’Italia.
Si rifletta. Tutto ciò significa che non serve dichiararsi fascisti ad alta voce. Basta una lettera dell’alfabeto: una M. Non si tratta di un vezzo grafico, ma di un codice. Un messaggio a chi sa leggere il linguaggio simbolico del fascismo. Ideologia che continua a inoculare, sottilmente ma tenacemente, il culto del capo e il sogno della rivincita.
Carlo Gambescia
(*) Per approfondire la storia e il significato dei simboli fascisti, tra cui le “M di Mussolini”, si veda L. Cheles, Iconografia della destra. La propaganda figurativa da Almirante a Meloni, Viella, Roma 2023; I. Buttignon, Gli spettri di Mussolini. La storia del fascismo italiano raccontata attraverso i suoi simboli, Hobby & Work, Milano 2012; nonché, più in generale, E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, Carocci, Roma 2008.




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