Non c’è niente di più inquietante di una religione che vuole essere più sovrana del sovrano. O peggio: una sovranità che si fa religione. Ed ecco allora Giorgia Meloni, la cristiana, la devota, la madre, la patriota, che – da vera catechista armata – bacchetta pubblicamente un prelato per linguaggio inappropriato. Il tutto perché monsignor Gian Carlo Perego, reo di lesa patria, ha osato definire “subdolo” il modello Albania, smentito, tra l’altro, anche dalla Corte di giustizia europea. Che scandalo. Ha detto la verità.
E allora? Scomunica mediatica. Per ora. E silenzio (sul quale torneremo)
A voler guardare bene, in Italia non si è minacciato solo un arcivescovo, che, tra l’altro si occupa istituzionalmente di migranti, come presidente della fondazione episcopale Migrantes. Si è minacciata l’autonomia della Chiesa di parola e pensiero, se non proprio la libertà d’espressione tout court. Una critica, quella dell’alto prelato, fatta nel pieno rispetto istituzionale, su un tema drammatico come la gestione dei migranti, diventa “attacco politico”. E chi osa parlare, soprattutto se arcivescovo, deve misurare le parole: "usare maggiore prudenza". Così ha detto, testuale, Giorgia Meloni.
Il che non è solo un richiamo alla prudenza, ma un messaggio politico: che si parli pure, ma entro i limiti che decidiamo “noi”. Ecco all’ opera la nuova Santa Inquisizione sovranista. O forse fascista?
Perché in altre epoche, e soprattutto durante il fascismo, si adorava parlare di “precetto cautelativo”: la forma più sottile di censura, quella interiorizzata, l’autocensura, insomma. Fermo restando, come accaduto, che quando i fascismi non possono più zittire formalmente, minacciano. E quando non possono minacciare apertamente, banalizzano: accusano di “toni eccessivi”, svuotando ogni critica del suo significato. Così si riscrive il confine del lecito: puoi parlare, ma solo se sei d’accordo.
Nella weltanschauung meloniana, per usare un parolone (che piaceva ai missini), il migrante non è un essere umano che scappa da guerre, desertificazioni, dittature e fame. No. È un criminale in potenza, una figura sospetta, forse pure un affiliato dell’Isis, uno che non ha fatto la fila, che non ha portato i documenti in triplice copia e che magari ha pure la sfortuna di avere la pelle un po’ scura.
In realtà, come direbbe Stanley Cohen, l’“emergenza migranti” è un panico morale costruito: una narrazione gonfiata per creare paura, trasformare i migranti in capri espiatori e giustificare misure eccezionali. Un meccanismo vecchio, ma sempre efficace, per dirla alla buona: quello che è alla base delle “leggende metropolitane. (*). Ovviamente serve un “paravento”. Quale? Gli scafisti. Sempre e solo loro. Come se le migrazioni fossero un gioco di prestigio orchestrato da dieci malviventi in gommone.
Ma lo scafista non è la causa, è l’effetto. Ripetiamo è la foglia di fico. È l’alibi perfetto. Come se la storia della fame, delle mancate modernizzazioni, delle guerre per le risorse, dei fondamentalismi religiosi e politici germinati sull’ignoranza e la paura, non esistesse. Basta dire “scafista” per chiudere il dibattito e giustificare tutto: campi di detenzione all’estero, deportazioni, restringimenti del diritto d’asilo. E chi osa parlare, magari un arcivescovo, viene subito richiamato all’ordine. Come durante il fascismo, con i sacerdoti non conformisti, non favorevoli alla formula, per dirla con Ernsto Rossi, del manganello e dell’aspersorio…
Così si inventano i centri in Albania. Un modo elegante per non far vedere i migranti agli italiani. Tenerli lontani, nascosti, invisibili. Un po’ come si faceva con i manicomi e le carceri speciali: fuori dal cuore, fuori dalla vista. Terribile.
Eppure i giudici di quell’ Europa, “brutta, burocratica e grigia”, che tanto si detesta a destra, hanno sentenziato in modo chiaro che non si possono deportare persone provenienti da Paesi che non garantiscono diritti certi. I giudici potranno, almeno per il momento sindacare caso per caso. Si chiama equilibrio dei poteri (**). Uno smacco per Giorgia Meloni che voleva risolvere la questione con un protocollo segreto e un sorriso a denti stretti. Ma attenzione, altro aspetto interessante: quando la giustizia disturba, si parla di “ingerenza”. Quando la Chiesa parla, si grida allo “scandalo”. Si badi, non siamo baciapile, ma quel che è giusto è giusto.
Intanto il “Secolo d’Italia”, organo nostalgico della destra a luci spente sulla modernità, rispolverando in prima pagina la trita e ritrita retorica della marina del duce, nel titolo (forma) se la prende con i giudici, ma nel testo (contenuto, cioè la ciccia) si permette di attaccare pubblicamente l’arcivescovo con un tono che definire baldanzoso è poco. Diciamo pure un tono da prepotenti.
Il tutto, ovviamente, nel più assoluto silenzio mediatico. O, peggio, nel complice applauso di testate storicamente "autorevoli". Il "Corriere della Sera", per dire, ha accolto e rilanciato l'intervista di Giorgia Meloni con l’entusiasmo di un chierichetto al primo incontro col Papa. Quanto agli altri giornali: zero titoli, nessuna apertura, men che meno editoriali indignati. Tutti in fila. Tutti disciplinati. Come se intimidire un uomo di Chiesa – e non uno qualsiasi – fosse ormai questione privata, irrilevante. Roba da nota a piè di pagina.
Ma c’è un dettaglio che fa rabbrividire. Perché quando uno stato minaccia un religioso, solo perché questi difende l’essere umano in quanto tale, non siamo più in una democrazia pluralista. Siamo in un sistema che ha tratti autoritari. E il fatto, come evoca la destra, che una parte d’Europa la pensi come noi – in parte e solo su certe cose – non ci assolve. Anche Hitler e tanti altri dittatori ammiravano Mussolini. Non era ed è un vanto. Resta un monito.
E il popolo italiano? Ripetiamo dorme. Gira canale. Commenta con fastidio. “E che ha detto di così grave?” – si legge. O comunque si intuisce. La verità è che quando un governo arriva a dettare cosa un arcivescovo può o non può dire, e quando i cittadini accettano tutto questo senza un sussulto, allora sì: i fascisti vincono. Non per forza col manganello, ma grazie alla nostra indifferenza.
Conclusione? Oggi tocca a un arcivescovo. Domani a chi scrive. Poi agli insegnanti. Poi ai giudici. Poi a chi mette in dubbio la santa trinità nazionale: Dio, Patria e Fratelli d’Italia.
Ah, tante scuse: abbiamo dimenticato la Famiglia. Ma solo quella “normale”, ovviamente.
Carlo Gambescia
(*) Stanley Cohen, Demoni popolari e panico morale. Media, devianza e sottoculture giovanili, Mimesis, Milano 2019. Come recita il sottotitolo Cohen tratta di altra materia, ma il suo modello teorico può essere esteso alla percezione del fenomeno migratorio. In pratica Cohen ci spiega come nascono e “funzionano” le leggende metropolitane.
(**) Si veda in argomento il nostro articolo di ieri: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/08/corte-ue-lo-stato-di-diritto-non-e.html .

Nessun commento:
Posta un commento