sabato 30 agosto 2025

Chiocci: dal busto del Duce al microfono di Palazzo Chigi

 


Se confermata, la notizia del passaggio di Gian Marco Chiocci dalla direzione del TG1 a portavoce di Giorgia Meloni non è un semplice cambio di poltrona. È la rappresentazione plastica di un Paese che scivola nel grottesco in tinta autoritaria.

Sembra che Chiocci tenga a casa un busto di Mussolini. Non un soprammobile qualunque: il busto di un dittatore. E Giorgia Meloni non ha mai nascosto la sua ammirazione per il duce, edulcorata a colpi di “patriota” e “statista incompreso”. Bene: ora l’uomo del busto diventa la voce della premier nostalgica. Una coincidenza? Una casualità? Macché: una linea politica.

Non si tratta di un normale avvicendamento. È la prova provata che il confine fra informazione pubblica e propaganda governativa è ormai carta straccia. Il direttore del principale telegiornale nazionale che passa armi e bagagli a Palazzo Chigi significa una sola cosa: il TG1 non era un telegiornale, ma già l’ufficio stampa del governo. La “promozione” lo rende ufficiale.

Qualcuno dirà: non è la prima volta, anche in passato si sono visti movimenti simili. Vero, ma mai così sfacciati. Albino Longhi, ai tempi di Prodi, aveva assunto un incarico sull’immagine, ma non da portavoce. Qui siamo di fronte al salto definitivo dentro la bocca del leone. Dal racconto delle notizie alla scrittura dei comunicati. Dall’illusione di pluralismo alla certezza di monologo.

Non è una semplice porta girevole fra giornalismo e politica. È un matrimonio ideologico. Il direttore del telegiornale pubblico, pagato dai cittadini, che diventa megafono della Presidente del Consiglio. Dal TG1 – teoricamente garante di pluralismo – al pulpito ufficiale del potere.

Sì, in teoria potrebbe farlo chiunque. Ma non dimentichiamolo: questi non sono “chiunque”. Sono fascisti. Fascisti di oggi, magari più in giacca e cravatta, con lo smartphone al posto della camicia nera, ma fascisti. Perché fascista è chi riduce l’informazione a trombetta di regime, chi trasforma lo Stato in proprietà privata del capo, chi pretende di riscrivere la storia in chiave nostalgica.

E l’Italia applaude, o peggio ancora scrolla le spalle. Si finge che tutto sia normale, che rientri nel gioco politico. Ma non c’è nulla di normale nel vedere un direttore del TG1 arruolato direttamente come portavoce del governo. Non è solo un insulto al servizio pubblico: è il frutto avvelenato di una visione del “pubblico” nella comunicazione televisiva che di liberale non ha nulla. È l’ennesima riprova che la tv di Stato va chiusa e privatizzata, una volta per tutte.

Intanto, il busto del duce sorride compiaciuto dalla mensola di casa.

Carlo Gambescia

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