sabato 2 agosto 2025

Corte UE: lo stato di diritto non è negoziabile. Sconfessato il governo Meloni sul diritto d'asilo

 


Che Giorgia Meloni sia insorta contro la sentenza dei giudici europei sulla questione dei “Paesi terzi sicuri” (rispetto all'Ue e agli stati membri), non sorprende affatto. Non perché l’Europa “invada” campi altrui, ma perché – diciamolo chiaramente – la Meloni ignora, o finge di ignorare, i fondamenti di uno stato liberale di diritto. Il problema, come sempre, è culturale. Anzi, “culturicida”…

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito un principio ovvio per ogni giurista di cultura liberale: un governo può sì stabilire tramite decreto che un Paese terzo è “sicuro”, ma solo se quella designazione può essere sottoposta al vaglio di un giudice indipendente.  

E soprattutto – fatto che pare sfuggire a Palazzo Chigi – fino al giugno 2026  (quando entrerà in  vigore il nuovo Regolamento europeo sulle procedure d’asilo, approvato dall’UE nel 2024),  nessun Paese potrà essere ritenuto “sicuro” se non garantisce protezione a tutti i suoi cittadini. Inclusi, beninteso, i profughi, le donne, i dissidenti, i perseguitati per ragioni religiose, politiche, sessuali. Il diritto d’asilo non è un favore, ma una garanzia. E chi lo nega, mente o tradisce.

Meloni, da par suo, parla di “invasione di campo”, scomodando un nazionalismo giuridico da repubblica delle banane. Qualcuno dovrebbe però spiegarle due cosette elementari.

Primo: nello Stato liberale, le decisioni che toccano la libertà individuale non spettano alla politica, ma alla magistratura. È una garanzia, non un capriccio. Il giudice, non il ministro dell’Interno o la presidente del Consiglio, decide se un individuo ha diritto alla protezione. Si chiama anche costituzionalismo.

Secondo: esiste una cosa chiamata separazione dei poteri, pilastro dell’Occidente moderno. Chi la nega, consapevolmente o meno, lavora contro la civiltà liberale. Non è un dettaglio tecnico. È una frattura epistemologica. E chi la promuove, per storia e vocazione, non può che provenire da culture politiche illiberali, antiliberali: fascismo e comunismo, tanto per non girarci intorno. Si chiamano anche opzioni totalitarie.

Questi movimenti – ieri in nome della nazione, oggi in nome della “sovranità” – rivendicano il primato della politica su ogni altro potere. Ma attenzione: quel primato, quando si manifesta contro i giudici, i giornalisti, le istituzioni indipendenti, diventa semplicemente autoritarismo. Altro che “interesse nazionale”. È interesse di partito, se va bene, di regime, se va male.

Per farla breve: quando ci si oppone al costituzionalismo si imbocca la strada che porta al totalitarismo. Ovviamente, si comincia sempre con l’autoritarismo come pianta velenosa che soffoca lo stato di diritto e fagocita ogni forma di costituzionalismo.

Che cos’ è il costituzionalismo? Il costituzionalismo è una concezione politico-giuridica che si concentra sulla limitazione del potere politico attraverso una costituzione, considerata come legge fondamentale che definisce i diritti imprescrittibili e la struttura dello stato. Per farla breve: il costituzionalismo si propone di evitare l’arbitrio del potere, garantendo i diritti individuali e stabilendo un sistema di pesi e contrappesi tra i diversi organi dello stato. Per chiudere il cerchio, si chiama anche stato di diritto.

L’uscita della Meloni è dunque rivelatrice: non solo della sua scarsa cultura istituzionale (il “culturicidio”…), ma della tentazione costante, da parte dei post-fascisti, di usare la legge come clava, non come limite. Una tentazione che affonda le radici in un’ideologia che non ha mai digerito davvero lo Stato di diritto, perché fondamentalmente lo considera un ostacolo al comando politico.

Eppure – spiace doverlo ricordare – il diritto nasce proprio per frenare il potere, per porre dei confini. Per impedire che qualcuno, in nome della “volontà della nazione”, contrabbandata come “volontà del popolo”, mandi al macero la libertà individuale.

Chi scrive studia la metapolitica (*) che ci insegna che la politica risponde a precise regolarità, nel senso di fenomeni che si ripetono nel tempo (conflitto, circolazione delle élite, ricostituzione del potere, eccetera). Ma la presenza di regolarità metapolitiche non autorizza nessuno a schiacciare l’uomo in carne e ossa sotto il rullo compressore dell’apparato dello stato onnipotente. La metapolitica non è l’ancella del totalitarismo. Così come il realismo politico non è il servo delle dittature (**).

In altre parole, chi difende la centralità del giudice, chi rivendica la tutela del singolo contro lo Stato, non fa resistenza all’autorità, ma esercita il dovere più alto della cittadinanza liberale.

Perciò la domanda vera è un’altra: può guidare un Paese liberal-democratico chi non ne accetta i fondamenti? Oppure siamo al punto in cui ci si limita a gestire, tecnicamente, un sistema che si finge liberale, ma che sotto la superficie scivola verso il primato ideologico della politica?

La risposta è no.  Non può guidare.  Ciò significa che quanto detto sullo stato di diritto e sul costituzionalismo non può essere esteso a chi intende servirsi proprio dello stato di diritto e del costituzionalismo per conquistare il potere e poi fare tabula rasa di entrambi. Per intenderci: se la Corte europea si fosse pronunciata a favore della destra, questa avrebbe subito esaltato l’autonomia della magistratura, proprio perché funzionale a un disegno di trasformazione autoritaria — se non peggio — della nostra società. 

Il che implica che i giudici, pur nella loro legittima indipendenza, non devono mai smarrire il senso della difesa dei diritti liberali, minacciati tanto dai nemici dichiarati quanto dai falsi amici.  Insomma sì alla difesa dei diritti imprescrittibili, ma non certo per coloro che puntano a cancellarli come certa destra liberticida. L’imprescrittibilità dei diritti, va ricordato, presuppone un’adesione sincera e consapevole al quadro di valori liberali. O dentro o fuori.

Un giorno – si spera non troppo lontano – qualcuno scriverà che la stagione meloniana è stata il tentativo più sofisticato e più pericoloso, perché “normalizzato”, di delegittimare il giudice e de-costituzionalizzare l’Italia.

Oggi possiamo ancora scriverlo con un po’ di inchiostro e senza paura: lo stato di diritto non è negoziabile. E chi lo mette in discussione, è nemico della libertà. Punto.

Carlo Gambescia

(*) Sul punto rinviamo al nostro Trattato di Metapolitica, Edizioni Il Foglio, 2023, 2 voll.
(**) Sulla questione del realismo politico si veda C. Gamebscia, Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni il Foglio, 2019.

Nessun commento:

Posta un commento