Al posto dei giornalisti del “Secolo d’Italia”, moriremmo di vergogna. D’accordo – ovviamente fino a un certo punto – che non si può mordere la mano che nutre. Qui però si celebra un “piano Meloni” che è inconsistente. Roba che rimanda direttamente a “l’Unità” quando c’era Togliatti: sintonia politica perfetta tra servo e padrone. Da giornalisti funzionari sul libro paga del partito. Qui c’è una Fondazione. Se non è zuppa è pan bagnato.
Quanto al placet degli altri paesi europei, è rapportato alla effettiva volontà di difendere, ora e in futuro, l’integrità territoriale dell’Ucraina, o se si preferisce di ciò che resterebbe dell’Ucraina, perché da quel che si sa, nel “piano Meloni” si glissa sulla questione dei confini ucraini.
Ma veniamo al punto cruciale di questo ineffabile piano, del leader di un governo, di carogne politiche, capace solo di fare la voce grossa con le famiglie rom e di lasciar annegare i migranti. Quale sarebbe? L’articolo 5, simil-Nato diciamo. Ci spieghiamo subito.
In estrema sintesi, Giorgia Meloni – durante un Consiglio Europeo a Bruxelles (se ricordiamo bene nel marzo 2025) – ha proposto uno “scudo difensivo NATO” per l’Ucraina senza ingresso formale nell’Alleanza. In pratica, si tratterebbe di estendere le garanzie dell’Articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico anche a Kiev, ma con la contropartita di non includerla come membro, per non far infuriare Mosca e non provocare resistenze da chi temeva un’escalation.
L’Articolo 5, versione Meloni, stabilirebbe che un attacco contro uno dei membri che hanno sottoscritto l'estensione delle garanzie sarebbe considerato un attacco a tutti. Di conseguenza i paesi aderenti, che potrebbero essere gli stessi paesi NATO, dovrebbero intervenire militarmente in difesa dell'Ucraina, in caso di aggressione, russa nel caso.
Giorgia Meloni ha sottolineato che questa soluzione sarebbe “più stabile, duratura ed efficace” rispetto all’ipotesi – avanzata da altri – di inviare truppe europee di peacekeeping. E ha specificato che l’Italia non intende inviare militari direttamente sul terreno, né accetta un esercito europeo di pace.
Qui però nasce un problema. Dovrebbero o potrebbero?
Intanto è vero che si offrirebbe a Kiev una garanzia di difesa collettiva, senza scuotere troppo i nervi di Mosca, che considera l’ingresso nella NATO una linea rossa. Però, ed è un però grosso come una casa, l’articolo 5, in versione Nato, lascia ampio margine d’interpretazione sulla natura dell’intervento e non garantisce una risposta automatica. Infatti ogni stato membro della Nato decide singolarmente come regolarsi. Quindi l’ idea della Meloni sembra studiata apposta, per consentire in futuro a un Trump, o una sua fotocopia politica alla Casa Bianca, di tenersi fuori o comunque centellinare gli aiuti di ogni tipo all’Ucraina.
Ci spieghiamo meglio: la clausola 5 del Trattato NATO, invocata una sola volta dagli Stati Uniti il 12 settembre 2001 (data che spiega tutto), non obbliga i Paesi a intervenire in un modo preciso: ciascuno può scegliere l’azione che ritiene necessaria, dal sostegno logistico o politico all’invio di armi, senza per forza mandare soldati sul campo.
Dopo l’11 settembre 2001, l’Italia e gli altri alleati NATO intervennero in Afghanistan con truppe di terra, aerei e mezzi navali (Enduring Freedom e ISAF), mentre Portogallo e Grecia offrirono solo basi e supporto logistico. Nel 2003, con la missione “Antica Babilonia”, l’Italia inviò truppe nella provincia di Nasiriya per sicurezza e protezione delle infrastrutture, sempre nella coalizione guidata dagli USA. Infine, nel 1991, durante la Guerra del Golfo, l’Italia partecipò con velivoli Tornado, mezzi navali e supporto logistico e sanitario, senza truppe di terra, insieme alla coalizione USA.
Come si può intuire, il ruolo degli Stati Uniti è centrale, dentro e fuori la NATO. Come prova il tira e molla sugli aiuti a Kiev, precipitato dopo l’elezione di Trump e l’accentuazione delle divisioni europee dopo l’avvento al potere delle destre filo-Trump, a cominciare dall’Italia.
Figurarsi, cosa accadrebbe, in uno scenario – diciamolo pure di cartepesta – di intesa tra Ucraina e alcuni membri NATO. Ci troveremmo invischiati: 1) nella scarsa volontà degli USA di intervenire, ammessa e non concessa l’adesione a “titolo personale”; 2) nella difficoltà interpretativa della clausola 5 proposta da Giorgia Meloni, che riproduce i difetti interpretativi dell’articolo 5 originale.
Inoltre, non risulta che Zelensky e Putin si siano pronunciati sulla praticabilità o meno del Piano Meloni. Che, ripetiamo, non è altro che un trasposizione della ambiguità dell’articolo 5 Nato a un altro articolo, neppure Nato. Pseudo diciamo.
Pertanto, la consistenza del Piano Meloni è pari a zero. Non dimentichiamo però, che talvolta, per convenienza (Russia e Stati Uniti) o disperazione (Ucraina), si possono anche accettare accordi farsa. Basti ricordare il famoso esempio di Monaco 1938, che cancellò la Cecoslovacchia. All’epoca Mussolini venne dipinto dai giornali italiani come artefice della pace. Che non durò neppure un anno.
Il che spiega “pe’ li rami” l’entusiasmo del “Secolo d’Italia”. E con queste credenziali, tra gli squilli di tromba del quotidiano di partito, Giorgia Meloni si reca a Washington.
Come si dice a Napoli? Ogni scarrafone è bello a mamma soja.
Carlo Gambescia

Sempre sul pezzo. Grazie. Giulio Contini
RispondiEliminaGrazie dottor Contini. Che piacere leggerla qui! Peccato, perché mi perdo le sue foto. Se desidera, posso inserirla in una mailing list (anonima), così potrà ricevere tutti i giorni eccetera. Mi scriva qui: biblscienpol@mailfence.com Caro saluto!
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