Invecchiando si peggiora o si migliora? In che senso? Diciamo della lucidità intellettuale. Dipende. Un professore se continua a studiare, evitando di sproloquiare su tutto e di accumulare potere accademico ed extra accademico, pseudo potere diciamo (perché come cambia il vento politico o si fa un errore deferenziale si torna a casa), può ancora dare molto alla sua disciplina. Anche al dibattito pubblico.
Se invece continua a comportarsi da arrivista come quando aveva trent’anni, rischia di perdere la bussola, perché il fisico non regge più come una volta. Si devono tenere troppe cose insieme. Ad esempio la maschera da vero professore e la deferenza verso i protettori politici.
Quindi ci si affatica e si scrivono stupidaggini. O ancora peggio banalità. Magari si perde perfino il filo dell’editoriale. Il che può essere anche sintomo di qualche grave malattia degenerativa che può affacciarsi quando le tempie ingrigiscono.
Ad esempio, dopo la lettura di un articolo di fondo su Macron, la prima cosa che abbiamo pensato è che il suo autore non riesce più a farsi il nodo alla cravatta… giornalistica. Evidentemente invecchiando è stato colto da aprassia da editoriale. Con ricadute, non sappiamo però se sintomatiche dell’Alzheimer, nella schizofrenia.
Infatti nella prima parte Macron viene denigrato ricorrendo ai soliti stereotipi della destra gallofoba. Nella seconda, o meglio nell’ultima parte, all’improvviso lo si giustifica: la Russia è pericolosa, quindi è più che accetto ragionare in termini di un possibile allargamento dell’intervento.
Che dire? È triste vedere un uomo davanti allo specchio che non riesce più a farsi il nodo alla cravatta.
Tornando a Macron, va detto che in realtà fa politica, e molto meglio di Giorgia Meloni, che invece, a corto di idee, persevera nella tradizionale duplicità della politica estera italiana, con l’aggravante di non avere alle spalle la cultura democratica e antifascista di democristiani e socialisti.
Pertanto le telefonatine segrete a Trump non sono dettate dalla prudenza morotea del realista politico (sebbene a breve termine, a quo), ma dall’avventatezza populista verso una specie di Pietro Pacciani newyorkese con i soldi, gradito compagno di future merende sovraniste con la Fiamma. Anche contro la stessa Unione Europea. E magari strizzando l’occhio a Putin.
Insomma un realismo dai possibili risvolti criminogeni, a breve termine, ma più pericoloso. Per capirsi: quelle cose che finiscono tipo Norimberga. Portando giustamente alla sbarra i gangster. Dopo guerre vittoriose costate “sangue, fatica, lacrime e sudore”, per dirla con Churchill.
In realtà Macron ci prende eccome. Da dieci anni, e non è poco, riesce a tenere a bada la destra eversiva e una sinistra più arruffona che radicale. Si muove abilmente, pur tra grandi difficoltà, intorno all’idea di un centro repubblicano, in stile Terza Repubblica, come costituzione materiale della Francia.
Quanto alla politica estera, a differenza della tradizione gollista, Macron, da realista a lungo termine, ad quem, ha perfettamente capito, che la Francia da sola non può farcela, neppure in coppia con la Germania. Di qui l’appello Nato. Si chiama politica.
Carlo Gambescia
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