martedì 5 marzo 2024

Trump e l’internazionale di estrema destra

 


Con una Corte Suprema a maggioranza reazionaria, che consente a un criptofascista come Donald Trump di sfidare un candidato debole come Biden, si può cominciare a parlare, salvo miracoli, della vittoria del prossimo leader mondiale di una specie di internazionale di destra. Uno schieramento che, stando alle due precedenti candidature trumpiane e ai risultati elettorali delle destre in Europa, si va radicalizzando su posizioni di estrema destra da almeno dieci anni.

Con criptofascismo intendiamo sul piano politico la mobilitazione populista alle piazze contro le istituzioni. Il populismo è il primo stadio del fascismo (1); il secondo è la creazione di una milizia paramilitare (2); il terzo l’eliminazione delle istituzioni parlamentari (3).

La Corte Suprema ha graziato Trump, perdonando la mobilitazione (1) e il tentativo di organizzazione di una milizia armata (2).

Purtroppo, siamo davanti a una vera e propria svolta storica. Biden, ripetiamo, è un candidato debole. Trump, può vincere le elezioni e assurgere, come detto, a leader di una destra mondiale, sempre più radicale. Che perciò sarebbe più corretto chiamare estrema destra.

Qual è il programma di questa destra estrema? a) la distruzione delle organizzazioni internazionali, umanitarie o meno; b) il rilancio del nazionalismo politico ed economico; c) la restaurazione di una rigida morale cristiana, che guardi alla chiesa preconciliare e al protestantesimo reazionario.

Il dato ironico è rappresentato dal fatto che questa destra vuole opporre al politicamente corretto di sinistra un politicamente corretto di segno opposto. Chi ad esempio critica, anche giustamente, l’ egemonia della cultura woke, non si rende conto che lavora per la destra, per questa destra. E che di conseguenza sono in gioco le istituzioni liberali in campo politico ed economico. Certamente già indebolite dalla cultura liberal di stampo nordamericano che mescola liberalismo e egualitarismo. Un’ egemonia ossimorica, quest’ultima, molto spostata verso l’estrema sinistra, che non poteva non provocare una tremenda reazione antiegualitaria e antiliberale, come quella in atto, dalle intenzioni altrettanto egemoniche.

Stiamo assistendo allo sviluppo su scala mondiale di un contromovimento politico di segno contrario rappresentato da personaggi politici come Donald Trump, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Viktor Orbán, Marine Le Pen, Tino Chrupalla, Alice Weidel, Santiago Abascal, e altri ancora.

Ciò che ancora non riusciamo a capire, sia detto per inciso, è l’ “intruppamento” di Javier Milei in “questa” destra, in parte veicolato dalla stampa di sinistra, in parte alimentato dallo stesso leader argentino. Un atteggiamento incomprensibile per chi, come lui, si sia nutrito della lettura di Hayek e Mises. Ad esempio, perché recarsi dieci giorni fa alla Conferenza dei conservatori americani (Cpac)? Solo per omaggiare Trump? Puro realismo politico? Come può un liberale frequentare i cripofascisti? Il populismo, e Milei mostra di cedere alle sue sirene, è il primo stadio del fascismo. Staremo a vedere.

Si può fermare questo processo? Esistono forze politiche liberali, realmente liberali, quindi non liberal o liberal-socialiste, capaci di respingere il politicamente corretto di estrema sinistra e di estrema destra? No. Nulla di nuovo sul fronte occidentale. Purtroppo, più il processo politico si radicalizza, più le residue forze liberali, ancorate al centro del quadro politico, sembrano costrette a schierarsi con le estreme: o di qua o di là.

Il che  potrebbe  spiegare i tentennamenti del Partito Popolare europeo, come delle altre forze del centro liberale in Europa e in Occidente. Come  pure  le scelte di Milei, disposto a tutto, pur di cambiare l’Argentina. Anche ad allearsi con il diavolo fascista. Ironia della sorte: un critico del Perón, simpatizzante del fascismo, costretto a favorire, una specie di nuovo peronismo internazionale, dalle tinte fasciste. Sarebbe una vittoria di Pirro.

Purtroppo siamo dinanzi a una tragedia politica: si sa come andrà a finire, ma non si può fare nulla per evitare il peggio.

Se il liberale si schiera a sinistra, rischia di essere risucchiato da una cultura welfarista che riduce un uomo senza storia a burattino in pigiama e pantofole. Se invece si schiera a destra rischia di sposare la causa del razzista con la schiuma alla bocca in cerca di mitologiche vendette post 1945.

Per capirsi, magari in modo grossolano, ma chiaro per tutti: lo scontro in atto è tra la cultura woke dell’estrema sinistra, che gode di posizioni istituzionali,  e la  nascente cultura woke dell’estrema destra, che  vuole aprirsi spazi istituzionali.  Ovviamente, cambiano i contenuti ma la forma mentis,  rivolta alla soppressione di ogni forma di dissenso,  è la stessa. Detto altrimenti, siamo davanti a un  conflitto tra “Reductio ad Hitlerum” e “Reductio ad Liberalismum”.

Chiunque vinca, a perdere sarà sempre l’Occidente liberale, caduto malato nel 1914 e mai più guarito.

Carlo Gambescia

2 commenti:

  1. Condivido le sue preoccupazioni. Tuttavia ritengo che le argomentazioni contro Trump legate ai fatti del 6 gennaio 2021 siano formalmente inconsistenti: ogni tanto seguo da vicino ciò che succede attorno a Trump perché mi sembra importante e interessante per capire il clima sociale USA e alcuni sviluppi futuri che potrebbero condizionare anche l'Europa e il nostro paese. Quel 6 gennaio 2021 decisi di guardarmi in diretta l'adunata nei pressi del Campidoglio. Trump fece il solito discorso inconsistente e poi invitò i partecipanti a dare una dimostrazione "pacifica" per far vedere il volere del popolo, e tolse il disturbo. Poi sappiamo com'è andata, anche se vederlo il diretta con i tempi dilatati faceva effetto: la stragrande maggioranza delle persone che entrava al Campidoglio faceva la fila ordinatamente.
    Mentre succedeva il casino, Trump rilasciò 3 o 4 messaggi su Twitter e su FB (tra cui anche uno o due video) in cui chiedeva ai suoi sostenitori di tornare a casa, di rispettare gli uomini in divisa, e di non essere violenti, ripetendo più volte di tornarsene a casa. Curiosamente, ma forse no (se si vuole pensare male) Twitter e FB rimossero quei messaggi in pochi minuti, ma specialmente ora che è passato tanto tempo sono facilmente ritrovabili.
    Insomma il processo reale e mediatico per il 6 gennaio è inconsistente, a meno che non lo si voglia fare alle sue intenzioni; Trump non è stato graziato perché il fatto non sussiste (anche se la corte suprema non è entrata nel merito). È scaltro e a prescindere dal significato di quel giorno, che io non ho ancora capito (ma lo trovo simbolicamente rilevante, allacciandomi a ciò che lei scrive sul populismo), ha saputo come muoversi, e ciò che si è creato intorno a quel triste evento non farà altro che continuare a rafforzarlo politicamente e davanti all'opinione pubblica. Mi sono permesso di commentare perché non è la prima volta che leggo in un suo post la questione che a me sembra male inquadrata (anche se qui è tangenziale), e dato che lei è un osservatore super partes credo che considererà questa mia segnalazione.
    Un saluto, con stima
    Paolo M.

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  2. La ringrazio Paolo (M.?) per il tempo che mi ha dedicato. Se si fosse fatto un processo alle intenzioni di Hitler si sarebbero evitati molti guai. Certo, ci si può sbagliare. Il rischio esiste. Ma è cosa che si può scoprire solo dopo.

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