Dossieraggio”. Altra parolina magica sulle prime pagine di oggi. Ne vogliamo parlare seriamente?
Il segreto, come informazione che viene tenuta nascosta, lega due o più persone che ne sono a conoscenza. Invece il notorio, ciò che è manifesto, le scollega o mantiene divise.
Ciò significa che il segreto può essere una risorsa politica per ricattare un avversario. Per contro se un’informazione è pubblica, non può essere utilizzata per altri scopi, se non quelli informativi.
Quindi tutto facile? Basta la trasparenza? In realtà, il momento sociologicamente delicato per ogni informazione è quello del passaggio dal privato al pubblico. Perché quanto più le sfere sono divise tanto più le informazioni rischiano di trasformarsi in corpi politici contundenti.
Perché ? In una società comunitaria, chiusa, in cui l’individuo non conta nulla non esistono segreti: tutto è pubblico. Diversamente, dove regna l’individuo, nella società individualistica, prolifera il segreto. Che, contrariamente a quel che si pensa, è una conquista dei moderni
Il dossier pertanto, per venire alle prime pagine di oggi, è connaturato alla società individualistica e moderna. Rappresenta una specie di prezzo da pagare alla libertà individuale. Si pensi, a riprova di quanto stiamo dicendo, al fervore giuridico e morale che oggi ruota (di regola a vuoto, come vedremo) intorno al cosiddetto diritto alla privacy. Le società pre-moderne non hanno conosciuto il diritto individuale al segreto, se non nella veste, comunitaria, della società segreta, come pericoloso contropotere e per questo combattuta.
Che c’entra tutto questo con il caso di magistrati e funzionari pubblici? Che, non da oggi, usano il segreto come risorsa politica contro avversari e nemici? O persino per ottenere vantaggi personali? Spieghiamo subito il perché.
Il problema è che lo stato ha un lato comunitario, pre-moderno. Si pensi alla tendenza all’annullamento del segreto: nel senso che lo stato, specie di contraltare arcaico all’individualismo moderno, pretende di sapere tutto di tutti.
Il punto non è secondario, perché dal comunitarismo cognitivo discende la possibilità, da parte di funzionari infedeli, di usare per scopi politici e/o personali le informazioni accumulate, in misura sempre maggiore grazie alle raffinatissime tecnologie digitali.
L’idea da combattere è la seguente: l’individuo può avere segreti, ma lo stato deve sapere tutto, ovviamente, si proclama, per il suo bene, eccetera, eccetera.
In verità, lo stato non è una norma etica. L’idea di bene comune muta in base alle ideologie politiche e agli interessi delle élite politiche e delle classi dirigenti. Lo stato non si compone di automi, neutralmente affettivi, ma di esseri in carne e ossa, giudici, funzionari, poliziotti, eccetera, eccetera. Insomma esseri umani, e per questo fallibili. Di qui il rischio distorsivo della ricaduta pubblica di informazioni private.
Possiamo esprimere un concetto? Quanto più lo stato si fa invadente, tanto più aumenta il rischio di prassi distorsive. Ed è quello che accade oggi.
Non è un problema di schieramenti politici. Dal momento che ieri era la destra a “dossierare”, mentre oggi è il turno alla sinistra, Dopodomani, sarà di nuovo la destra, e così via…
Il vero problema è la pretesa comunitarista, arcaica, che lo stato debba sapere tutto dell’individuo. Problema che non può essere risolto con il ricorso, come avviene, a una normativa ossessiva sulla privacy che finisce per attribuire agli stessi giudici, funzionari, poliziotti – gli uomini fallibili di cui sopra – il potere di salvaguardare il diritto alla privacy dell’ individuo. Se ci si passa la facile battuta, è come affidare al conte Dracula, la presidenza dell’Avis.
Il problema va risolto alla radice. Come? Di certo, non affidando, per così dire, il diritto al segreto dell’individuo a uomini e tecnologie, come ad esempio l’Intelligenza Artificiale, che in ultima istanza dipendono sempre dalla fallibilità umana.
Allora come? Combattendo la temibile pretesa che lo stato debba sapere tutto dell’individuo. Cioè il comunitarismo cognitivo. E in che modo? Contrastando la necessità di accumulare dati su dati, affidandoli, per giunta, ad esseri umani inevitabilmente fallibili, perciò portati a utilizzare gli stessi dati in chiave politica e/o personale.
Altrimenti si continuerà a girare in tondo, varando, in cerca della norma o della tecnologia perfetta sulla privacy, il regolamento del regolamento, poi il regolamento del regolamento del regolamento, e così via… Oppure l’ Intelligenza Artificiale dell’Intelligenza Artificiale, poi l’Intelligenza Artificiale dell’Intelligenza Artificiale dell’ Intelligenza Artificiale, e così via… O addirittura, spalancando le porte dell' inferno, tutte e due le cose insieme: regolamenti e tecnologia.
Concludendo, il nemico è il comunitarismo cognitivo. Perciò meno stato, meno burocrati, meno dossier.
Carlo Gambescia
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