lunedì 24 agosto 2020

Rileggere  Renzo De Felice per capire l’Italia al tempo del Covid
Il popolo di Pulcinella (o di Arlecchino)

Il fascismo crollò come un castello di carte, e Mussolini morì politicamente il 25 Luglio,  per sua stessa ammissione, sotto il peso della guerra.
Un conflitto, certamente dalla parte sbagliata, che tuttavia  gli italiani, a differenza della "Grande Guerra",  non riuscirono a sostenere moralmente fino in fondo. E questo a prescindere dal carattere fascista del conflitto.  
Mancanza di dirittura?  A riprova di ciò va ricordato che  gli italiani, non furono poi  in grado di  battersi in massa nella successiva guerra civile.   Il novantacinque per cento di essi rimase alla finestra, in tremebonda  attesa che finisse tutto:  il "popolo"  non   si schierò con gli uni  né con gli altri…  Però,  quasi tutti gli italiani  rimpiangevano i beati tempi della pace, "quando l'Italia era rispettata nel mondo". Senza però soffermarsi più di tanto sull’assenza di libertà.
Nella colossale biografia mussoliniana (purtroppo incompiuta), Renzo De Felice, probabilmente il  più grande storico italiano della seconda metà del Novecento,  ha descritto con maestria  l’abulia degli italiani di allora.  De Felice ha ben colto  quel  nichilismo  morale  che però a  nostro avviso  viene  da più lontano, probabilmente dai primi secoli dell'età moderna.  Un nullismo culturale  che vede l'italiano  teso  al proprio  particolare,  pronto a servire qualsiasi padrone  pur di servire se stesso, soprattutto nei passaggi storici più complicati: si sposano tutte le cause,  per pura convenienza, senza mai realmente credere in nessuna di esse.

Ora l’epidemia di Covid non è pareggiabile a una guerra mondiale, ma il comportamento degli italiani, pur più pasciuti e viziati, ricorda quello degli italiani di allora. 
Qualche esempio. Si seguono le normative ma appena possibile si tende ad aggirarle. Si sfruttano tutte le possibilità economiche offerte dal “sistema”, ma al tempo stesso se ne parla malissimo.  Si  mostra apparentemente fiducia nel “Capo del Governo” ma si è prontissimi a girare le spalle alle prime esitazioni. Si implora protezione, ma si vuole continuare a  fare i propri comodi. E soprattutto, inizia  a  farsi largo l’idea che la guerra al Covid debba finire  a qualsiasi costo, anche spezzettando l’Italia  in tanti comuni, province, regioni, armati e chiusi gli  contro gli altri.  Si pensi ad esempio al comportamento del siciliano Musumeci,  tra l’altro vecchio unitarista e statalista neofascista…  E' come se egli votasse di nuovo l'ordine del giorno Grandi...
Chi scrive, come i lettori ben sanno, da mesi auspica il ritorno alla normalità. Il punto è che gli italiani, si pensi solo alla questione dello smart working, vogliono tornare alla normalità, ma conservando i  privilegi sociali e lavorativi introdotti  dal Governo giallo-rosso. In sintesi, la gente vuole che resti l’economia di guerra, senza la guerra.  Del Covid, agli italiani  piacciono troppo le misure sociali. Un passo indietro:  la guerra del 1940  prima rallentò  poi  impedì la costruzione dello stato corporativo -  il nonno del moderno welfare state -   che tutto sommato piaceva agli italiani, che,  mai dimenticarlo, alla libertà hanno sempre preferito la sicurezza, anche perché  "culturalmente" certi di aggirare, come anguille,  tutti  gli ostacoli,  a prescindere dal regime politico,  democratico o dittatoriale.   

Sicché, per il Governo Conte  il 25 Luglio e il successivo  8  Settembre  potrebbero  scaturire proprio dalla questione sociale, o meglio dall'implosione fiscale dell’assistenzialismo sociale, detto altrimenti, dalla crisi finale  del welfarismo:  un mix  di debito pubblico, sprechi, privilegi e iniqui tributi.
Insomma, gli italiani  continuano a sognare i fascisti senza il fascismo, gli  americani senza gli americani, i democratici senza la democrazia,  il capitalismo senza il capitalismo,  il welfare senza i tributi del welfare,  l’epidemia di  Covid senza i malati di Covid.     
Cosa osserva   De Felice,  parlando del disonorevole fuggi fuggi di ufficiali e soldati l'8 Settembre? Che dominava  tra gli italiani  "un desiderio di uscire dall’incubo della guerra (…) che si accompagnava però a un sentimento diffuso  di paura e incertezza, che non poteva non  accrescere la tendenza alla passività, ad estraniarsi dalle vicende politiche e a preoccuparsi solo di se stessi" (*). 
Niente di più  facile che accada di nuovo. Parliamo di  un popolo portato da secoli  a identificarsi con la maschera di Pulcinella ( o di Arlecchino). 

Carlo Gambescia

(*) Renzo  De Felice,  Mussolini l’alleato. La guerra civile (1943-1945),  Einaudi, Torino 1998, pp.  76-77.