Prosegue lo scontro sulla riapertura
delle scuole
Regionalismo e partitocrazia
In
Italia, storicamente parlando, le regioni non sono mai esistite. È vero
che il regionalismo ha radici
risorgimentali, ma nel “Risorgimento Altro”, quello per capirsi
confederale, che si proponeva un’unificazione dimezzata sulla base di una blanda unione degli stati
italiani costituzionalizzati, sotto il
potere formale del Papa per gli uni, o sotto quello di una assemblea repubblicana per gli altri.
Naturalmente
abbiamo semplificato, ma solo per ragioni di ridotto spazio argomentativo. Crediamo basti il concetto. Quale? Che il
regionalismo quello della nostra Carta costituzionale, del titolo V (peggiorato dalla riforma del 2001, opera della sinistra), non ha alcun fondamento storico, se non nella
bizzarra zucca dei costruttivisti repubblicani del 1948.
In
Italia sono esistiti principati, signorie, regni, trasversali alle regioni attuali, ma anche liberi comuni province di confine o marche (giustamente recepiti dalla Costituzione), ma
non le regioni come oggi delineate. L’Italia è la patria del campanile unito al
santo, campanile sempre pronto a dividersi in fazioni, e quest’ultime in conventicole, le une
contro le altre armate. E l'ordinamento regionale, sia detto per inciso, ha moltiplicato questo fenomeno. Se si vuole, accresciuto la litigiosità interna ed esterna, come vedremo, con la complicità dei partiti, o meglio della partitocrazia: rivincita, quest'ultima, della patologia sulla fisiologia dei partiti, per dirla con Maranini.
Un passo indietro. Nel 1848-1849, biennio che fu l’ultima prova generale, del “Risorgimento
altro”, Milano, Roma e Venezia, si
presentarono regolarmente divise all' interno: i comuni lombardi, laziali e veneti non erano
d’accordo su nulla, se non nel diffidare del Piemonte... Sicché per gli avversari
dell' unificazione italiana fu facile
vincere e imporre il
vecchio ordine. Fortunatamente
la lezione fu utile fino al punto di favorire nel 1859-1861 la vittoria dell’idea unitaria. Soprattutto grazie al genio di Cavour e all’intelligenza
politica dei liberali moderati: un' impresa nobile e difficile aiutata dalla
spada di re Vittorio Emanuele II e del generalissimo Garibaldi.
Da
allora fino al 1948 non si parlò più di regionalismo: un mostro a più teste, reinventato, come detto, dai
costituenti repubblicani, tra i quali vi erano molti nemici storici dello stato unitario dai cattolici ai repubblicani, dai socialisti ai comunisti. Mostro che nel 1970, anno delle prime elezioni regionali, rialzò concretamente la testa, anzi le teste: quelle dei partiti...
Premessa
lunga, di cui ci scusiamo, ma che serve a spiegare il caos di questi giorni
sulla riapertura delle scuole. Ogni regione, vuole fare da sola, opponendosi
alle altre e al governo. Di qui, uno stato di continua fibrillazione politica che
favorisce l' incertezza e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche, a livello
centrale come periferico.
Qui non si tratta di stabilire con un tratto di penna una volta per tutte la delimitazione
perfetta delle competenze, ad esempio
sulla scuola. Il vero punto è che le regioni, da sempre nelle mani di una prepotente partitocrazia locale, ostacolano in modo sistematico i processi
decisionali di implementazione delle leggi nazionali.
Per fare solo un
esempio, si pensi alla vicenda dei navigator -
per carità, nel merito se ne può, anzi si deve, parlare male -
ma l’iniziativa è stata sabotata, ufficialmente o meno, nelle regioni dominate dal centro-destra, diviso al suo interno ma unito nella lotta al governo giallo-verde. O addirittura in regioni controllate da ras locali del partito democratico, contrari però a Zingaretti...
Insomma, il regionalismo è il doppione inutile e pericoloso della partitocrazia. Altro che referendum costituzionale sulla diminuzione del numero dei parlamentari… Il vero referendum che andrebbe fatto è sull’abolizione dell’ordinamento regionale: un sistema che paralizza l’Italia, usato da leader politici locali per pianificare la propria carriera e ricattare politicamente non solo gli avversari politici ma gli stessi compagni di partito, seguendo un movimento a spirale che devasta l'intero sistema dei partiti, in alto e in basso. Un disastro.
Insomma, il regionalismo è il doppione inutile e pericoloso della partitocrazia. Altro che referendum costituzionale sulla diminuzione del numero dei parlamentari… Il vero referendum che andrebbe fatto è sull’abolizione dell’ordinamento regionale: un sistema che paralizza l’Italia, usato da leader politici locali per pianificare la propria carriera e ricattare politicamente non solo gli avversari politici ma gli stessi compagni di partito, seguendo un movimento a spirale che devasta l'intero sistema dei partiti, in alto e in basso. Un disastro.
Chi
scrive è liberale ma unitario. Perché idealmente fedele alla lezione
storica del Risorgimento. Ciò non significa che lo stato
debba per forza diventare una struttura accentrata e autoritaria come durante il fascismo. Il vero nodo da sciogliere è come evitare che l'attuazione delle
leggi, una volta discusse in Parlamento e deliberate dal Governo, non sia rallentata o sabotata in nome di interessi localistici sfruttati dal cosiddetto doppione partitocratico.
Impresa non facile perché purtroppo
partitocrazia e regionalismo vanno di
pari passo, l’una utilizza l’altro e viceversa, a livello centrale e periferico. Ecco il senso del termine "doppione partitocratico". Ma questa, almeno per oggi, è
un’altra storia.
Carlo Gambescia