venerdì 28 agosto 2020

Prosegue lo scontro sulla riapertura delle scuole
Regionalismo e partitocrazia


In Italia, storicamente parlando, le regioni non sono mai esistite. È vero che  il regionalismo ha radici risorgimentali, ma nel “Risorgimento Altro”, quello per capirsi confederale,  che si  proponeva un’unificazione dimezzata  sulla base di una blanda unione degli stati italiani costituzionalizzati, sotto il potere formale del Papa  per gli uni, o sotto quello  di una assemblea repubblicana per gli altri.
Naturalmente abbiamo semplificato,  ma solo per ragioni di ridotto spazio argomentativo. Crediamo basti  il concetto.  Quale? Che il regionalismo quello della nostra Carta costituzionale,  del titolo V (peggiorato dalla riforma  del 2001, opera della sinistra),  non ha alcun fondamento storico, se non nella bizzarra  zucca  dei  costruttivisti  repubblicani del 1948.
In Italia sono esistiti principati, signorie, regni,  trasversali alle regioni attuali, ma  anche liberi comuni province di confine o marche  (giustamente recepiti dalla Costituzione),  ma non  le regioni come oggi delineate.  L’Italia è la patria del campanile unito al santo, campanile sempre pronto a dividersi in fazioni, e quest’ultime in  conventicole, le une contro le altre armate. E l'ordinamento  regionale, sia detto per inciso, ha moltiplicato questo fenomeno. Se si vuole, accresciuto la litigiosità interna ed esterna, come vedremo, con la complicità dei partiti,  o meglio  della partitocrazia: rivincita, quest'ultima, della patologia sulla fisiologia dei partiti, per dirla con Maranini.     
Un passo indietro. Nel 1848-1849,  biennio che fu l’ultima prova generale, del “Risorgimento altro”,  Milano, Roma e Venezia, si presentarono regolarmente  divise all' interno: i comuni lombardi, laziali e veneti non erano d’accordo su nulla, se non  nel diffidare del Piemonte...  Sicché per gli avversari dell' unificazione  italiana fu facile vincere  e imporre il vecchio ordine. Fortunatamente la lezione fu utile fino al punto di favorire  nel 1859-1861  la vittoria dell’idea unitaria.  Soprattutto  grazie al genio di Cavour e   all’intelligenza politica dei liberali moderati: un'  impresa nobile e difficile aiutata dalla spada di re Vittorio Emanuele II e del generalissimo Garibaldi.      
Da allora fino al 1948  non si parlò più di regionalismo:  un mostro a più teste, reinventato, come detto,  dai costituenti repubblicani, tra i quali vi erano molti nemici storici  dello stato unitario dai cattolici ai  repubblicani, dai socialisti ai comunisti. Mostro che nel 1970, anno delle prime elezioni regionali, rialzò concretamente la testa, anzi le teste: quelle dei partiti...   

Premessa lunga, di cui ci scusiamo, ma che serve a spiegare il caos di questi giorni sulla riapertura delle scuole.  Ogni regione, vuole fare da sola, opponendosi alle altre e al governo. Di qui, uno stato di continua fibrillazione politica che favorisce l' incertezza e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche, a livello centrale come periferico.
Qui non si tratta  di stabilire con un tratto di penna una volta per tutte la delimitazione perfetta  delle competenze, ad esempio sulla scuola. Il vero punto è che le regioni, da sempre nelle mani di una prepotente partitocrazia locale, ostacolano in modo sistematico i processi  decisionali di implementazione delle leggi nazionali. 
Per fare solo un esempio, si pensi alla vicenda dei navigator -  per carità, nel merito se ne può, anzi si deve,  parlare male -  ma l’iniziativa è stata sabotata, ufficialmente o meno,  nelle  regioni  dominate dal centro-destra,  diviso al suo  interno ma  unito  nella lotta al governo giallo-verde. O addirittura in regioni controllate  da ras locali del partito democratico, contrari però a Zingaretti...
Insomma,  il regionalismo è il  doppione inutile e pericoloso  della partitocrazia. Altro che referendum costituzionale sulla diminuzione del numero dei parlamentari… Il vero referendum che andrebbe fatto è  sull’abolizione dell’ordinamento regionale:  un sistema  che paralizza l’Italia,  usato da leader politici locali  per pianificare la propria carriera e ricattare politicamente non solo gli avversari politici  ma  gli stessi compagni di partito, seguendo un movimento a spirale che devasta l'intero sistema dei partiti, in alto e in basso.  Un disastro.
Chi scrive è liberale ma unitario. Perché idealmente fedele alla lezione storica  del Risorgimento.  Ciò non significa che  lo  stato  debba per forza diventare una struttura accentrata e autoritaria come durante il fascismo. Il vero nodo da sciogliere è come evitare che l'attuazione delle leggi, una volta discusse in Parlamento e deliberate dal Governo,  non  sia rallentata o sabotata in nome di  interessi localistici  sfruttati dal  cosiddetto doppione partitocratico.
Impresa non facile perché purtroppo partitocrazia e regionalismo vanno  di pari passo, l’una utilizza l’altro e viceversa, a livello centrale e periferico. Ecco il senso del termine "doppione partitocratico".  Ma questa, almeno per oggi,  è un’altra storia.     

Carlo Gambescia