giovedì 27 agosto 2020

Nello Musumeci e il senso dello stato a  intensità variabile


Nello Musumeci,  “Governatore” della Sicilia,  con un passato missino mai rinnegato,  sembra diventato il nuovo  idolo delle destre. Su "Libero",   Alessandro Giuli, che ricordo bello, giovane e ansioso  ai tempi di “Officina”, parla addirittura della Sicilia come di  un modello pilota. Ma verso che cosa? Il fascismo e il razzismo, come grida la sinistra all’unisono?  Cosa ci si può attendere  da un politico  come Musumeci che parla del regime fascista in termini di “luci e ombre”?  O comunque come di una dittatura che  avrebbe utilmente  favorito la costruzione di infrastrutture economiche  e sociali? Presto detto.  Ci si può aspettare  la  replica  da ore piccole di certo  decisionismo mussoliniano, più leggendario che reale, perché intriso di opportunismo politico: un attivismo psico-politico-motorio che purtroppo ancora ipnotizza gli italiani.
C’è  però  un aspetto di fondo che distingue la destra neofascista alla quale culturalmente  ha attinto e attinge Musumeci. Quale? La pericolosa confusione tra  stato e governo.  Cosa intendiamo dire? Se Musumeci  avesse senso dello stato non  sfiderebbe le istituzioni solo per guadagnare voti.  Come, ad esempio fece  Mussolini,  che dopo la Marcia su Roma, una volta al governo, confondendo stato e  governo, istituzionalizzò lo stipendio sicuro per gli squadristi,  inventandosi la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Se si ha senso dello stato, non  si tratta lo stato  come una volgare  risorsa al servizio delle lotte per il potere:  per conquistarlo come per non perderlo.  
Se c’è una tradizione politica portata  a distinguere tra stato e governo probabilmente si tratta della tradizione liberale,  avversata -  quando si dice il caso -     da fascisti, socialisti, comunisti e cattolici: tutti culturalmente portati a considerare lo stato secondo un furbo doppio registro: 1) come cosa propria quando si è al governo; 2) come realtà da contrastare quando si è all’opposizione, come del resto prova il comportamento politico di Musumeci.  Insomma, lo stato, ripetiamo,  come  triviale  risorsa politica.
Cosa significa invece avere senso dello stato? Due esempi: Cavour  favorì la laicizzazione  del Piemonte,  ponendo le confessioni religiose sullo stesso piano, distinguendo così tra stato e governo, tra uno stato finalmente terzo, e un governo clericale al quale  sarebbe invece convenuto continuare a vivere all’ombra del religione, per rafforzare il proprio potere assoluto.  
Giolitti, a sua volta,  in linea di massima,  non amò mai intervenire  nei conflitti del lavoro tra industriali e sindacati perché riteneva, difendendo la terzietà delle istituzioni pubbliche,  che lo stato non dovesse parteggiare per nessuna delle parti  sociali in conflitto. Si doveva invece permettere che le parti, come le fedi,  trovassero liberamente  la propria  strada,  senza mai  vellicare i particolarismi  distruttivi  delle istituzioni pubbliche.
Musumeci, invece che fa?  Facile previsione.  Ora, stuzzica  il micronazionalismo dei siciliani,  perché   a Roma c’è un governo  di sinistra,  poi una volta diventato  ministro di un governo di destra, si tramuterà  nel persecutore, oltre che  degli immigrati,  delle autonomie, coinvolgendo così di nuovo lo "stato-governo" ma come nemico degli amici di prima, in nome del macronazionalismo, diciamo  formato famiglia italiana.  Salvo poi una volta tornato all'opposizione, tuonare, eccetera, eccetera. Altro che terzietà delle istituzioni... 
Ecco che significa non avere senso dello stato.  O averlo a intensità variabile... E soprattutto, ecco  ciò che distingue un liberale da un fascista.

Carlo Gambescia