Nello Musumeci e il senso dello stato a intensità variabile
Nello
Musumeci, “Governatore” della Sicilia, con un passato missino mai rinnegato, sembra diventato il nuovo idolo delle destre. Su "Libero", Alessandro Giuli, che
ricordo bello, giovane e ansioso ai tempi di “Officina”, parla addirittura della Sicilia come di un modello pilota. Ma
verso che cosa? Il fascismo e il razzismo, come grida la sinistra all’unisono? Cosa ci si può attendere da un politico come Musumeci che parla del regime fascista in termini di “luci
e ombre”? O comunque come di una dittatura che avrebbe utilmente favorito la costruzione di infrastrutture economiche e sociali? Presto detto. Ci si può aspettare la replica da ore piccole di certo decisionismo mussoliniano, più leggendario che reale, perché intriso di opportunismo politico: un attivismo psico-politico-motorio che purtroppo ancora ipnotizza gli italiani.
C’è però un
aspetto di fondo che distingue la destra neofascista alla quale culturalmente ha attinto e attinge Musumeci. Quale? La pericolosa confusione tra stato e governo. Cosa intendiamo dire? Se Musumeci avesse senso dello stato non sfiderebbe le istituzioni solo per guadagnare voti.
Come, ad esempio fece Mussolini,
che dopo la Marcia
su Roma, una volta al governo, confondendo stato e governo, istituzionalizzò lo stipendio sicuro
per gli squadristi, inventandosi la Milizia Volontaria
per la Sicurezza Nazionale.
Se
si ha senso dello stato, non si tratta
lo stato come una volgare risorsa al servizio
delle lotte per il potere: per conquistarlo come per non perderlo.
Se
c’è una tradizione politica portata a distinguere tra stato e governo probabilmente
si tratta della tradizione liberale, avversata - quando si dice il caso - da fascisti, socialisti, comunisti e cattolici: tutti culturalmente portati a considerare lo stato secondo un furbo doppio registro: 1) come cosa propria quando si è al governo; 2) come realtà da contrastare quando si è all’opposizione, come del resto prova il comportamento politico di Musumeci. Insomma, lo stato, ripetiamo, come triviale risorsa politica.
Cosa significa invece avere senso dello stato? Due esempi: Cavour favorì la laicizzazione del Piemonte, ponendo le confessioni religiose sullo stesso piano, distinguendo così tra stato e governo, tra uno stato finalmente terzo, e un governo clericale al quale sarebbe invece convenuto continuare a vivere all’ombra del religione, per rafforzare il proprio potere assoluto.
Giolitti, a sua volta, in linea di massima, non amò mai intervenire nei conflitti del lavoro tra industriali e sindacati perché riteneva, difendendo la terzietà delle istituzioni pubbliche, che lo stato non dovesse parteggiare per nessuna delle parti sociali in conflitto. Si doveva invece permettere che le parti, come le fedi, trovassero liberamente la propria strada, senza mai vellicare i particolarismi distruttivi delle istituzioni pubbliche.
Musumeci, invece che fa? Facile previsione. Ora, stuzzica il micronazionalismo dei siciliani, perché a Roma c’è un governo di sinistra, poi una volta diventato ministro di un governo di destra, si tramuterà nel persecutore, oltre che degli immigrati, delle autonomie, coinvolgendo così di nuovo lo "stato-governo" ma come nemico degli amici di prima, in nome del macronazionalismo, diciamo formato famiglia italiana. Salvo poi una volta tornato all'opposizione, tuonare, eccetera, eccetera. Altro che terzietà delle istituzioni...
Ecco che significa non avere senso dello stato. O averlo a intensità variabile... E soprattutto, ecco ciò che distingue un liberale da un fascista.
Carlo Gambescia