domenica 30 agosto 2020

Perché l' elettore di destra si vergogna di dichiararsi tale?


Nel notevole articolo  di Mario Sechi sulla campagna per le presidenziali americane, viene fuori un’osservazione di  natura generale,   sociologica.  L’elettore di destra, o comunque nei pressi, si vergogna di dire che voterà per Trump: il che, dati alla mano, come mostra Sechi, potrebbe falsare i sondaggi, che ora sono a favore di Biden. Insomma, Trump potrebbe vincere un’altra volta.  Ma lasciamo la parola a Sechi.

«Per quale ragione un repubblicano, un potenziale elettore di Trump teme di dichiarare le proprie intenzioni? Cloudresearch cita un paio di risposte ricorrenti che colpiscono, dipingono un quadro istruttivo dell'immaginario americano e in particolare degli elettori conservatori: pensano che l'informazione non resti confidenziale; che la telefonata possa essere registrata e diventare pubblica; che esprimere idee che non coincidono con la visione liberal possa danneggiarli; che le opinioni politiche possano nuocere al lavoro e alla famiglia (e queste risposte sono significative sul clima generale nel paese, di profonda divisione); che i sondaggi fanno parte della propaganda politica di un partito o dell'altro; che non vogliono essere interrotti continuamente al telefono, bombardati da chiamate e messaggi email» (*).

Al di là della rielezione o meno di Trump, il punto sociologico, o se si vuole politologico, della questione -  cosa che sondaggisti ed esperti non solo americani   ben conoscono -   è costituito dal fatto che l’elettore di destra si vergogna di dichiarasi tale, al contrario di quello di sinistra, che invece sbandiera le sue idee senza problemi.  
In genere, come provano gli studi di psicologia elettorale, a non dichiarare per così dire   la propensione a destra  sono gli indecisi ma soprattutto  gli elettori non militanti, ossia gli elettori   simpatizzanti, sui  quali però  l’antipatia per la sinistra, fa premio sulla simpatia per la destra. Sfumature, ma in sede di voto, sede motivazionale,  molto importanti. Siamo davanti  a un elettore volatile (perché all’ultimo minuto potrebbe cambiare idea o addirittura non votare) che potremmo definire antipatizzante.

Al di là di quanto afferma Sechi sulla paura del conservatore di venir danneggiato dalla ufficializzazione del suo voto a destra ( elemento che pure conta, ma non in assoluto), va  ricordato un fattore, staticamente sfuggente, ma importante: quello del complesso di inferiorità dell’elettore di destra, in particolare quello volatile, l’elettore antipatizzante, nei riguardi della sinistra.
A dire il vero l’argomento  finora risulta poco approfondito (**), perché  rinvia al classico e insoluto (probabilmente insolubile) problema sociologico di come determinare in termini di rapporto tra  causa ed effetto e (soprattutto) di teoria della scelta razionale le ragioni della socializzazione politica e delle motivazioni di voto.
Si può dire che quanto più una società è polarizzata politicamente tanto  più le dichiarazione di voto sono vicine alla realtà, quanto più la quota di voti non è volatile tanto più l’elettore (in particolare di destra) non si vergogna di dichiararsi tale. L’aderenza tra voto dichiarato e voto reale attesta, contrariamente a certi luoghi comuni,  tutta  la forza  della polarizzazione politica tra destra e sinistra.
Ma perché l’elettore antipatizzante e volatile teme di ufficializzare il proprio voto?  Come accennato, si tratta di un complesso d’inferiorità, spesso vissuto in modo inconsapevole,  verso la percezione del  senso della storia, percezione  monopolizzata  dalla sinistra, in particolare nell’ultimo dopoguerra. Esiste  il timore  di essere giudicati, rispetto all’universo colto,  egualitario e pacifista condiviso dalla sinistra, come  persone arretrate, ignoranti, classiste e  intolleranti. Il che spiega, ripetiamo, perché l’elettore di sinistra non si vergogni di dichiararsi tale.  Perché vergognarsi di essere dalla parte giusta della storia?   

Va detto,  che  la destra, storicamente parlando, a differenza della sinistra, schierata giustamente, piaccia o meno,  dalla parte dei vincitori, risentì moltissimo sul piano dell’immagine sociale  del tornado nazifascista. Una gigantesca  tempesta politica,  che travolse,  piegandole  ai suoi  voleri, larga parte delle forze politiche moderate, dai liberali ai socialisti e cattolici,   partiti che in precedenza  captavano i voti dei ceti medi.   
Una complicità politica, vissuta in modo virale, come si direbbe oggi,   che  “dopo la caduta”   ha reso la vita  elettorale  dei partiti di destra, tanto più difficile quanto più si spostavano verso l’estrema destra, o comunque si allontanavano dalla mediazione al centro del sistema.  Di qui, per un verso la natura  moderata  delle destre post belliche, e per l’altro  il  complesso di inferiorità dell’elettore antipatizzante.
Il punto, per chi studia queste cose, non è chi abbia (politicamente)  ragione o meno,  ma che il complesso di inferiorità  rende  complicato il lavoro previsionale  dei politologi, come ovviamente dei sondaggisti.
Certo, il dato della polarizzazione ha  una notevole implicazione  di tipo  “crisiologico”. Quanto più diminuisce l’elettore antipatizzante, tanto più il sistema  rischia di sfaldarsi e di favorire per reazione  l’insorgenza di una destra radicale e antisistemica composta di elettori in larga parte militanti e simpatizzanti tout court.  Di qui, in una fase di declino della destra moderata, l’importanza dello sviluppo di  una sinistra intelligente, capace di intercettare il voto dell’elettore antipatizzante, non calcando troppo la mano sul suo essere dalla parte giusta della storia e soprattutto non demonizzando gli avversari: l’elettore antipatizzante può essere conquistato solo spostandosi  al centro. E sia chiaro, non sposando la causa del populismo di sinistra perfettamente complementare, sul piano distruttivo,  a quella  del populismo di destra.          
Per tornare a Trump, vincerà?   Può darsi.  Ma non per questioni di interesse.

Carlo Gambescia

(**) Come esempio al riguardo si veda  ITANES, Sinistra e destra. Le radici psicologiche della differenza politica, a cura di P. Castellani e P. Corbetta,  il Mulino, Bologna 2006.