Perché l' elettore di destra
si vergogna di dichiararsi tale?
Nel notevole articolo di
Mario Sechi sulla campagna per le presidenziali americane, viene fuori un’osservazione
di natura generale, sociologica. L’elettore di destra, o comunque nei pressi,
si vergogna di dire che voterà per Trump: il che, dati alla mano, come mostra
Sechi, potrebbe falsare i sondaggi, che ora sono a favore di Biden. Insomma, Trump
potrebbe vincere un’altra volta. Ma
lasciamo la parola a Sechi.
«Per quale ragione un repubblicano, un potenziale elettore di
Trump teme di dichiarare le proprie intenzioni? Cloudresearch cita un paio di
risposte ricorrenti che colpiscono, dipingono un quadro istruttivo
dell'immaginario americano e in particolare degli elettori conservatori:
pensano che l'informazione non resti confidenziale; che la telefonata possa
essere registrata e diventare pubblica; che esprimere idee che non coincidono
con la visione liberal possa danneggiarli; che
le opinioni politiche possano nuocere al lavoro e alla famiglia (e queste risposte sono significative
sul clima generale nel paese, di profonda divisione); che i sondaggi fanno
parte della propaganda politica di un partito o dell'altro; che non vogliono
essere interrotti continuamente al telefono, bombardati da chiamate e messaggi
email» (*).
Al
di là della rielezione o meno di Trump, il punto sociologico, o se si vuole
politologico, della questione - cosa che
sondaggisti ed esperti non solo americani
ben conoscono - è costituito dal
fatto che l’elettore di destra si vergogna di dichiarasi tale, al contrario di
quello di sinistra, che invece sbandiera le sue idee senza problemi.
Al
di là di quanto afferma Sechi sulla paura del conservatore di venir danneggiato
dalla ufficializzazione del suo voto a destra ( elemento che pure conta, ma non
in assoluto), va ricordato un fattore,
staticamente sfuggente, ma importante: quello del complesso di inferiorità
dell’elettore di destra, in particolare quello volatile, l’elettore antipatizzante,
nei riguardi della sinistra.
A
dire il vero l’argomento finora risulta
poco approfondito (**), perché rinvia al
classico e insoluto (probabilmente insolubile) problema sociologico di come
determinare in termini di rapporto tra
causa ed effetto e (soprattutto) di teoria della scelta razionale le
ragioni della socializzazione politica e delle motivazioni di voto.
Si
può dire che quanto più una società è polarizzata politicamente tanto più le dichiarazione di voto sono vicine alla
realtà, quanto più la quota di voti non è volatile tanto più l’elettore (in
particolare di destra) non si vergogna di dichiararsi tale. L’aderenza tra voto
dichiarato e voto reale attesta, contrariamente a certi luoghi comuni, tutta la
forza della polarizzazione politica tra
destra e sinistra.
Ma
perché l’elettore antipatizzante e volatile teme di ufficializzare il proprio
voto? Come accennato, si tratta di un
complesso d’inferiorità, spesso vissuto in modo inconsapevole, verso la percezione del senso della storia,
percezione monopolizzata dalla sinistra, in particolare nell’ultimo
dopoguerra. Esiste il timore
di essere giudicati, rispetto all’universo colto, egualitario e pacifista condiviso dalla
sinistra, come persone arretrate,
ignoranti, classiste e intolleranti. Il
che spiega, ripetiamo, perché l’elettore
di sinistra non si vergogni di dichiararsi tale. Perché vergognarsi di essere dalla parte
giusta della storia?
Va
detto, che la destra, storicamente parlando, a
differenza della sinistra, schierata giustamente, piaccia o meno, dalla parte dei vincitori, risentì moltissimo sul piano
dell’immagine sociale del tornado
nazifascista. Una gigantesca tempesta politica, che travolse, piegandole ai suoi
voleri, larga parte delle forze politiche moderate, dai liberali ai
socialisti e cattolici, partiti che in precedenza captavano i voti dei ceti medi.
Una
complicità politica, vissuta in modo virale, come si direbbe oggi, che “dopo la caduta” ha reso la vita elettorale
dei partiti di destra, tanto più difficile quanto più si spostavano
verso l’estrema destra, o comunque si allontanavano dalla mediazione al centro
del sistema. Di qui, per un verso la
natura moderata delle destre post belliche, e per l’altro il complesso di inferiorità dell’elettore
antipatizzante.
Il
punto, per chi studia queste cose, non è chi abbia (politicamente) ragione o meno, ma che il complesso di inferiorità rende complicato il lavoro
previsionale dei politologi, come
ovviamente dei sondaggisti.
Certo,
il dato della polarizzazione ha una notevole implicazione di tipo “crisiologico”. Quanto più diminuisce l’elettore
antipatizzante, tanto più il sistema rischia di sfaldarsi e di favorire per
reazione l’insorgenza di una destra
radicale e antisistemica composta di elettori in larga parte militanti e simpatizzanti tout court. Di qui, in una fase di declino della destra moderata, l’importanza dello sviluppo di una sinistra intelligente, capace di intercettare il voto dell’elettore
antipatizzante, non calcando troppo la
mano sul suo essere dalla parte giusta della storia e soprattutto non demonizzando
gli avversari: l’elettore antipatizzante può essere conquistato solo
spostandosi al centro. E sia chiaro, non sposando la causa del populismo di sinistra perfettamente complementare, sul piano distruttivo, a quella del populismo di destra.
Per
tornare a Trump, vincerà? Può darsi.
Ma non per questioni di interesse.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.agi.it/estero/news/2020-08-29/usa-2020-profezia-moore-voto-coperto-trump-9521844/ . Il grassetto è nel testo.
(**)
Come esempio al riguardo si veda ITANES,
Sinistra e destra. Le radici psicologiche della differenza
politica, a cura di P. Castellani e P. Corbetta, il Mulino, Bologna 2006.