Zavoli, Accame
e l’interpretazione del fascismo
Tra
i meriti
di Sergio Zavoli, scomparso alla venerabile età di novantasette anni, c’ è quello di aver affrontato lo studio del fascismo senza complessi politici di sorta. “Nascita di una
dittatura”, programma trasmesso dalla
Rai nell’autunno del 1972 (poi condensato
in un magnifico libro l’anno successivo, prefato da De Felice), resta un modello di obiettività e di
documentazione (anche per le interessanti interviste alle personalità
dell’epoca, allora ancora vive). Un giornalismo di tipo storico dove i fatti parlano da soli, distinto da una sana storicizzazione-neutralizzazione degli eventi, pur non glissando sugli effetti di ricaduta, non sempre privi di pericoli.
Il
che però riconduce all’incapacità intellettuale, tuttora diffusa, della sinistra e della destra di prendere le giuste distanze, non solo storiografiche, dal fascismo. Probabilmente alla base del fenomeno c'è la mancata o incompleta accettazione della società aperta da
parte della sinistra marxista o postmarxista come della destra nazionalista e antiparlamentare. Una specie di fronte comune del rifiuto che deride e contrasta i presupposti della società liberale: dall’economia di mercato alle istituzioni rappresentative, dall’importanza
di un discorso pubblico privo di toni forti e scomuniche alla motivata e ragionata difesa dei diritti civili ed economici, da un sano relativismo, anche epistemologico (la "neutralizzazione" di cui sopra) a una conseguente retorica della transigenza.
In
Italia una vera e propria modernizzazione culturale, come pacifica "laicizzazione" del dibattito politico, non si è mai avuta o comunque non del
tutto. Un piccolo esempio personale.
Nel
2018, a nove anni dalla morte di
Accame, pubblicai un saggio su di
lui, per chiarire - a grandi linee, concentrando la mia attenzione solo sui suoi libri - alcuni aspetti del pensiero di
un intellettuale di destra, aperto alla
modernità e quindi in grado di intuire i pericoli di una destra, in
particolare la postmissina, “sdoganata” da Berlusconi ma refrattaria a modernizzarsi culturalmente: una pomposa “destra di governo” incapace però di accettare sul piano culturale quella retorica della transigenza che caratterizza la democrazia liberale, una retorica innervata nell'etica, frutto di una sincera riflessione storica sulle guerre
di religione, guerre purtroppo riaccesesi in versione totalitaria nel Ventesimo secolo.
Non
voglio sembrare presuntuoso, ma fino
alla pubblicazione del mio saggio su Accame, nessuno a destra sembrava ricordare la grande
lezione di questo validissimo intellettuale. Dopo di
che però, nell’arco di neppure due anni,
sono di nuovo usciti i suoi principali lavori, da me
attentamente valorizzati e citati come
esempi di un approccio transigente alla
grande questione della società aperta.
Tuttavia il punto dolente dell'intera operazione editoriale è rappresentato dal fatto che l’approccio dei curatori continua a
riflettere un processo di integrazione passiva nell'odiato "sistema". Semplificando, magari trivialmente: “Facciamo finta, prendiamo il potere, poi saldiamo tutti conti”. Un approccio che presuppone un' interpretazione ideologicamente ortodossa del pensiero di Giano
Accame, come fascista duro e puro, mai
pentito, un difensore dell’Idea, uno dei Nostri eccetera, eccetera.
Ora, non si può negare che nell’opera di Accame sia rinvenibile qui e là un complesso rapporto di amore e odio con la cultura della destra post-fascista (da ultimo si veda il composito La morte dei fascisti). Una cultura che per dirla brutalmente nella versione italiana resta di una arcaicità politica unica: praticamente irricevibile, come certo paleomarxismo caro alla sinistra.
Però è altrettanto vero che dalla lettura dei suoi libri in
particolare quelli storici, da Una storia della Repubblica a Socialismo
tricolore e (perfino) La destra sociale (ricco di osservazioni storiche), non può non evincersi uno sforzo, seppure tormentato, di superamento di inibenti archetipi ideologici. Una sincera tensione intellettuale che si estrinseca in un approccio - un metodo, per capirsi - che
ricorda quello di Zavoli. E cosa non secondaria e non facile per un giovanissimo volontario della Rsi, si prolunga in Accame nella storicizzazione - se si vuole, neutralizzazione - del rituale modello della “tentazione fascista”, tuttora amatissimo negli ambienti missini e postmissini. Il suo è perciò un realismo storico che si apre alla modernità
politica ed economica, quale accettazione,
senza riserve mentali, della società
aperta e di una sana retorica della transigenza. Senza la quale si rischia sempre di cadere nelle sabbie mobili del totalitarismo.
Ecco,
Zavoli e Accame, due esempi di grande
giornalismo e di onestà intellettuale. Che la terra sia loro lieve.
Carlo Gambescia