martedì 18 agosto 2020

Prove tecniche di alleanza tra Movimento  Cinque Stelle  e Partito Democratico
 Come se non ci fosse un domani…


C’è  già  il simbolo.  Qué pasa?   Mentre i vertici nazionali  del Movimento  Cinque Stelle e del   Partito  Democratico  discutono   sui massimi  sistemi di una possibile alleanza, tra l’altro sdoganata dal voto di Rousseau,  che succede?   Pasa che in un collegio del sassarese i due partiti hanno deciso di presentarsi alleati alle amministrative di settembre,   insieme  agli altri spezzoni della sinistra più o meno classica ( ma senza Italia Viva e Italia in Comune di Pizzarotti). Per i dettagli rinviamo all' entusiastico articolo di “Repubblica” (*).
Quanto può far bene all’Italia un’alleanza del genere?  La domanda giusta in realtà è quanto può far male...
Diciamo che l’unica vera discriminante tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico parrebbe  rappresentata dall’atteggiamento verso l’Unione  Europea  che continua a dividere,   ma ora in modo  molto più soft.  Quindi, in realtà, quel condizionale sembra essere diventato quasi inutile…

Ciò che invece accomuna le due forze politiche è l'identico e  devastante dirigismo economico e politico che trova un eccellente punto d’incontro nel comune atteggiamento verso la questione ambientale.  
Il che significa  introduzione di divieti, regole, tributi. Un pancottone di misure che, di fatto rischia di  peggiorare in nome della più vieta retorica ecologista la qualità delle vita dei cittadini. Ai quali, evocando la fanta-necessità di “salvare il  Pianeta Terra”, si vuole impedire di produrre, scambiare, consumare beni. 
Pertanto la principale   minaccia che può recare con sé  una stabile e programmatica  alleanza giallo-rossa è ideologicamente  rappresentata  dagli effetti di ricaduta di politiche dominate da  una visione arcaica ed emotiva delle questioni economiche.
Dove è finita, ci si potrebbe chiedere, quella schiacciante volontà di  modernizzazione economica, ovviamente in chiave statalista, che pure aveva distinto  il Partito comunista ai tempi di Gramsci Togliatti?  Per non parlare di quei  socialisti riformisti che vedevano di buon occhio, e a prescindere, i progressi  dell’Italia giolittiana?  Come non ricordare del resto la  malcelata ammirazione degli antifascisti di sinistra nei riguardi dei lavori pubblici mussoliniani?     
Si dirà che  il Movimento Cinque Stelle, tra l’altro privo di profonde radici ideologiche,  ha fatto qualche passo indietro dai tempi delle profezie ecologiste sulla decrescita felice di Casaleggio senior. 
Nonostante ciò  i grillini  restano  attestati su posizioni nemiche delle libertà di mercato e favorevoli all’economia (pubblica) di comando. Insomma, sono statalisti.  Probabilmente il vero punto di saldatura tra pentastellati e  postcomunisti  è  rappresentato dallo statalismo. Una visione, ripetiamo,  già  presente in quantità industriali nelle precedenti versioni politiche della tradizione comunista (e in parte socialista). Oggi però messa al servizio di un ambientalismo nemico della modernità.
Come opporsi? Servirebbe una forza liberale.  Che purtroppo  non c’è.  Il  “repertorio” politico di Salvini, Meloni, Tajani resta l’incarnazione del peggiore statalismo di ascendenza democristiana e fascista con punte sconcertanti di  antimodernismo,   inconcepibili dal punto di vista liberale.  
Sicché  i contrasti tra i giallo-rossi e il centro-destra sfociano in una specie di gioco al rialzo in cui allo stato viene assegnato sempre qualche nuovo compito.  Una gara di "solidarietà", ma questo non si dice,  allo sfondamento finale  del debito pubblico. Come se non ci fosse un domani…                
 Carlo Gambescia