Prove tecniche di alleanza tra Movimento
Cinque Stelle e Partito Democratico
Come se non ci fosse un domani…
C’è già il
simbolo. Qué pasa? Mentre i vertici nazionali del
Movimento Cinque Stelle e del Partito
Democratico discutono sui
massimi sistemi di una possibile
alleanza, tra l’altro sdoganata dal voto di Rousseau, che succede? Pasa che in un collegio del sassarese i due partiti hanno deciso di presentarsi alleati alle amministrative di settembre, insieme agli altri
spezzoni della sinistra più o meno classica ( ma senza Italia Viva e Italia in Comune di Pizzarotti). Per i
dettagli rinviamo all' entusiastico articolo di “Repubblica” (*).
Quanto
può far bene all’Italia un’alleanza del genere? La domanda giusta in realtà è quanto può far male...
Diciamo che l’unica vera
discriminante tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico parrebbe rappresentata dall’atteggiamento verso
l’Unione Europea che continua a dividere, ma ora in modo molto più soft. Quindi, in realtà, quel condizionale sembra
essere diventato quasi inutile…
Ciò
che invece accomuna le due forze politiche è l'identico e devastante dirigismo economico e politico che trova un eccellente punto
d’incontro nel comune atteggiamento verso la questione ambientale.
Il che significa introduzione di divieti, regole, tributi. Un pancottone di misure che,
di fatto rischia di peggiorare in nome
della più vieta retorica ecologista la qualità delle vita dei cittadini. Ai quali,
evocando la fanta-necessità di “salvare il
Pianeta Terra”, si vuole impedire di produrre, scambiare, consumare
beni.
Pertanto
la principale minaccia che può recare con sé una stabile e programmatica alleanza giallo-rossa è ideologicamente rappresentata dagli effetti di ricaduta di politiche dominate da una visione arcaica ed emotiva delle questioni economiche.
Dove
è finita, ci si potrebbe chiedere, quella schiacciante volontà di modernizzazione economica, ovviamente in
chiave statalista, che pure aveva distinto il Partito comunista ai tempi di Gramsci
Togliatti? Per non parlare di quei socialisti riformisti che vedevano di buon
occhio, e a prescindere, i progressi
dell’Italia giolittiana? Come non ricordare del
resto la malcelata ammirazione degli antifascisti di sinistra nei
riguardi dei lavori pubblici mussoliniani?
Si
dirà che il Movimento Cinque Stelle, tra l’altro privo di profonde radici
ideologiche, ha fatto qualche passo
indietro dai tempi delle profezie ecologiste sulla decrescita felice di
Casaleggio senior.
Nonostante ciò i grillini restano attestati su posizioni nemiche delle
libertà di mercato e favorevoli all’economia (pubblica) di comando. Insomma,
sono statalisti. Probabilmente il vero punto di saldatura tra pentastellati e postcomunisti è rappresentato dallo statalismo. Una visione, ripetiamo, già presente in quantità industriali nelle precedenti versioni politiche della
tradizione comunista (e in parte socialista). Oggi però messa al servizio di un ambientalismo nemico della modernità.
Come
opporsi? Servirebbe una forza liberale. Che purtroppo non c’è. Il “repertorio”
politico di Salvini, Meloni, Tajani resta l’incarnazione del peggiore
statalismo di ascendenza democristiana e fascista con punte sconcertanti di antimodernismo, inconcepibili dal punto di vista liberale.
Sicché i contrasti tra i giallo-rossi e il
centro-destra sfociano in una specie di gioco al rialzo in cui allo stato viene assegnato sempre qualche
nuovo compito. Una gara di "solidarietà", ma questo non
si dice, allo sfondamento finale del
debito pubblico. Come se non ci fosse un domani…
Carlo Gambescia