L’ignoranza ontologica di Andrea Scanzi
Qualsiasi
giudizio su Andrea Scanzi, per chiunque capisca qualcosa di editoria, non può prescindere da un dato bibliografico ( citiamo da Wikipedia, alla voce):
·
Renzusconi.
L'allievo ripetente che (non) superò il maestro, Prefazione di Marco Travaglio,
Roma, Paper First, 2017, ISBN
978-88-997-8421-8.
·
Con
i piedi ben piantati sulle nuvole. Viaggio sentimentale in un'Italia che
resiste, Collana Saggi
italiani, Milano, Rizzoli, 2018, ISBN 978-88- 171-0338-1.
·
Salvimaio.
Dall'inciucio al populismo: Terza Repubblica o dilettanti allo sbaraglio?, Roma, Paper First, 2018, ISBN
978-88-997-8457-7.
·
La
politica è una cosa seria. Da Berlinguer a Salvini, dieci motivi per cacciare i
pagliacci, Collana Saggi
italiani, Milano, Rizzoli, 2019, ISBN
978-88-171-0990-1.
·
Il
cazzaro verde. Ritratto scorretto di Matteo Salvini, Roma, Paper First, 2019, ISBN
978-88-997-8485-0.
·
I
cazzari del virus. Diario della pandemia tra eroi e chiacchieroni, Roma, Paper First, 2020, ISBN
978-88-314-3107-1.
Sei libri, in poco più di tre
anni. Scrivere seriamente, soprattutto di saggistica, significa leggere molti altri libri,
capirli, digerirli, catalogarli nella
mente, per poter poi esprimere sulla carta qualcosa di originale. Inoltre, una
discreta distanza tra un libro e
l’altro (diciamo due, tre anni)
favorisce il miglioramento dello stile, perché ci si può rileggere, eccetera,
eccetera.
Diciamo perciò che Scanzi di scrivere seriamente se ne frega… Veniamo però al punto. L’amico Carlo Pompei,
giornalista di razza, e anche altre cose, si meraviglia (giustamente) del
sostegno di Scanzi all’idea che un giornalista “non può essere super partes”: “Chiedere a un
giornalista - osserva l’editorialista
del “Fatto Quotidiano” - di essere
“super partes” è demente come all’acqua di chiedere di non bagnare. Una pretesa
così ignorante e deficiente, che se la leggo qui, la blocco in un nano
secondo”.
Di riflesso, Carlo Pompei, dopo aver osato postare sulla Pagina Fb di Scanzi un commento contrario a questa tesi si
è beccato il cartellino rosso.
Pompei ha giustamente richiamato l’attenzione, come ben sa ogni giornalista,
sul principio tipico della tradizione editoriale anglofona: la distinzione tra fatti e opinioni.
Principio aureo, che in qualche misura deve “regolare”
lo svolgimento della professione: nel senso che ogni giornalista vi deve sempre tendere, come avviene con ogni idea
“regolativa”. Una vera propensione, insomma, a prescindere dal ruolo del male nel mondo...
Di conseguenza, come osserva giustamente Pompei, senza questo
discrimine, l’onestà intellettuale, difesa invece a spada tratta da Scanzi, va a farsi benedire.
Secondo Scanzi, in definitiva, chiunque non capisca che il giornalista non può essere
“super partes” sarebbe “ontologicamente ignorante”…
Le cose stanno proprio così?
Vediamo subito.
Ad esempio, dare del “cazzaro” a Salvini - titolo
di un suo libro - significa trasformare un’ opinione (Salvini è un
cazzaro perché dice delle cazzate) in un
fatto (che tutto ciò che egli dice sia una cazzata), o meglio ancora in una categoria
- questa sì, ontologica. Categoria
che rinvia all’essenza Salvini, come
ente categoriale: la categoria della cazzata. Tradotto: Salvini come ciò che è, un cazzaro. La cazzata che identifica il cazzaro e viceversa.
Ora il punto è che di cazzate - contestate anche in tribunale - ne ha dette e dice molte anche il suo
direttore e mentore, Marco Travaglio. Però Scanzi si è sempre ben guardato dallo scrivere un libro
intitolato Il cazzaro a pallini. Ritratto scorretto di Marco Travaglio. Per restare nell’ambito della terminologia heideggeriana, secondo Scanzi, Salvini avrebbe natura ontologica, mentre Travaglio ontica,
di ente, concreto, singolare, quindi non categorizzabile e di conseguenza non
giudicabile. Sicché Travaglio può dire tutte le cazzate che vuole.
Eppure, Salvini e Travaglio sono tutti e due esseri umani, con i loro pregi e difetti. Ora che un' opinione (Salvini è un cazzaro
perché dice delle cazzate) venga
trasformata in fatto ( che tutto ciò che egli dice sia una cazzata), può anche essere accettato, ma la cosa dovrebbe valere anche per Travaglio. Cosa che Scanzi non fa.
Insomma, andando oltre la questione della distinzione tra fatto e
opinione (pure importantissima, come abbiamo visto), il rigore argomentativo - quindi la famosa onestà intellettuale difesa da
Scanzi - imporrebbe di definire Salvini
e Travaglio o “ontologici” o “ontici”, e non l’uno “ontologico”, l’altro “ontico” (e viceversa).
Che dire? Diciamo che Scanzi non è messo proprio bene... Come esempio di libertà dai capi e di onestà intellettuale lascia molto a desiderare Quanto alle capacità argomentative, comunque la si metta, di
ontologico c’è solo la sua ignoranza.
Carlo Gambescia