mercoledì 19 agosto 2020

 L’ignoranza  ontologica di Andrea Scanzi


Qualsiasi giudizio su  Andrea Scanzi, per chiunque capisca qualcosa di editoria, non può prescindere da un dato bibliografico  ( citiamo da Wikipedia, alla voce):

·                    Renzusconi. L'allievo ripetente che (non) superò il maestro, Prefazione di Marco Travaglio, Roma, Paper First, 2017, ISBN 978-88-997-8421-8.
·                    Con i piedi ben piantati sulle nuvole. Viaggio sentimentale in un'Italia che resiste, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2018, ISBN 978-88-  171-0338-1.
·                    Salvimaio. Dall'inciucio al populismo: Terza Repubblica o dilettanti allo sbaraglio?, Roma, Paper First, 2018, ISBN 978-88-997-8457-7.
·                    La politica è una cosa seria. Da Berlinguer a Salvini, dieci motivi per cacciare i pagliacci, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2019, ISBN 978-88-171-0990-1.
·                    Il cazzaro verde. Ritratto scorretto di Matteo Salvini, Roma, Paper First, 2019, ISBN 978-88-997-8485-0.
·                    I cazzari del virus. Diario della pandemia tra eroi e chiacchieroni, Roma, Paper First, 2020, ISBN 978-88-314-3107-1.

Sei  libri, in poco più di tre anni. Scrivere seriamente, soprattutto di saggistica,  significa leggere molti altri libri, capirli,  digerirli, catalogarli nella mente, per poter poi esprimere sulla carta qualcosa di originale.  Inoltre,  una  discreta  distanza tra un libro e l’altro (diciamo due, tre anni)  favorisce il miglioramento dello stile, perché ci si  può rileggere, eccetera, eccetera.   
Diciamo perciò che Scanzi di scrivere seriamente se ne frega…  Veniamo però al punto. L’amico Carlo Pompei, giornalista di razza, e anche altre cose, si meraviglia (giustamente) del sostegno di  Scanzi all’idea che un giornalista  “non può essere super partes”: “Chiedere a un giornalista  - osserva l’editorialista del “Fatto Quotidiano”  - di essere “super partes” è demente come all’acqua di chiedere di non bagnare. Una pretesa così ignorante e deficiente, che se la leggo qui, la blocco in un nano secondo”.
Di riflesso, Carlo Pompei, dopo aver osato postare sulla Pagina Fb di Scanzi  un commento contrario a questa tesi  si è beccato il cartellino rosso. 

Pompei ha giustamente richiamato  l’attenzione, come ben sa ogni giornalista, sul principio tipico della tradizione editoriale anglofona:  la  distinzione tra  fatti e  opinioni. 
Principio aureo, che in qualche misura deve “regolare” lo svolgimento della professione:  nel senso che ogni giornalista vi deve sempre tendere,  come avviene con  ogni  idea “regolativa”. Una vera propensione,  insomma,  a prescindere dal ruolo del male nel mondo...
Di conseguenza, come osserva giustamente Pompei, senza questo discrimine, l’onestà intellettuale, difesa invece a spada tratta da Scanzi, va a farsi benedire.
Secondo Scanzi, in definitiva, chiunque  non capisca che il giornalista non può essere “super partes” sarebbe “ontologicamente ignorante”…
Le cose stanno proprio così?  Vediamo subito.
Ad esempio,  dare del  “cazzaro” a Salvini -   titolo  di un suo libro -  significa  trasformare un’ opinione   (Salvini è un cazzaro perché dice delle cazzate)  in un fatto (che tutto ciò che egli dice sia  una cazzata),  o meglio ancora  in  una  categoria  - questa sì, ontologica.  Categoria  che rinvia all’essenza  Salvini, come ente categoriale: la categoria della cazzata.  Tradotto:  Salvini come ciò che è,  un cazzaro. La cazzata che identifica il cazzaro e viceversa.
Ora il punto è che di cazzate -  contestate anche in tribunale -   ne ha dette e dice molte anche il suo direttore e mentore,  Marco Travaglio. Però Scanzi si è sempre ben guardato dallo scrivere un libro intitolato Il cazzaro a pallini. Ritratto scorretto di Marco Travaglio.  Per restare nell’ambito della terminologia  heideggeriana,  secondo Scanzi,  Salvini avrebbe  natura ontologica, mentre Travaglio ontica, di ente, concreto, singolare, quindi non categorizzabile e di conseguenza non giudicabile. Sicché  Travaglio può dire tutte le cazzate che vuole.

Eppure, Salvini e Travaglio  sono tutti e due esseri umani,  con i loro pregi e difetti.   Ora che un' opinione (Salvini è un cazzaro perché dice delle cazzate)  venga trasformata  in fatto ( che tutto ciò che egli dice sia una cazzata), può anche essere accettato, ma  la cosa dovrebbe valere anche per Travaglio.  Cosa che Scanzi non fa.
Insomma, andando oltre la questione della distinzione tra fatto e opinione (pure importantissima, come abbiamo visto),  il rigore argomentativo - quindi  la famosa onestà intellettuale difesa da Scanzi -  imporrebbe di definire Salvini e Travaglio o “ontologici” o  “ontici”,  e non l’uno “ontologico”, l’altro “ontico”  (e viceversa).  
Che dire? Diciamo che Scanzi  non è messo proprio bene... Come esempio di libertà dai capi  e di  onestà intellettuale lascia molto a desiderare   Quanto alle capacità argomentative,  comunque la si metta,   di ontologico c’è solo la sua ignoranza.


Carlo Gambescia