sabato 19 maggio 2018

Perché solo l' Italia  rischia che i populisti vadano al governo?
 Dove vince l'etica della responsabilità, il populismo perde  




Berlusconi il "Contratto" nel 2001 lo “stipulò” con gli italiani, in tv davanti  a Vespa.  Perciò parlava a tutti, al di là del colore politico.  Riprese l’idea, come gli fu consigliato, del “Contratto con gli americani”  varato dai Repubblicani nel 1994. 
Non ci interessa qui discutere dell’implementazione.  Se Berlusconi, eccetera, eccetera, bensì di stabilire un punto fondamentale: in quel contratto si parlava a tutti gli italiani. Certo, si può criticare la sua forma privatistica, come del resto l’atto in sé, svoltosi davanti alle telecamere televisive, nonché la sua natura demagogica, in qualche misura cripto-plebiscitaria. Però ripetiamo:  Berlusconi parlava a tutti gli italiani.        
Invece, per venire al punto, il  Contratto di Governo “stipulato” tra Salvini e Di Maio  non parla a tutti. I due  big (si fa per dire)  parlano a  se stessi e a quelli che la pensano in fotocopia. Si tratta di un accordo tra due attori politici, che  viene sottoposto, per l’approvazione, nel caso di  5 Stelle, al voto digitale  dei militanti,   in quello della Lega, votato  ai gazebo,  da elettori e simpatizzanti (dopo l'approvazione ufficiale dei vertici del partito...). Stesso giro, stessa musica.
Non solo siamo davanti a un atto privatistico che riduce la politica a un rogito notarile, ma quel che è più grave, è che diversamente dalla politica, che dovrebbe, come ci ripetono strenuamente, tendere al bene comune, quindi parlare a tutti, essere dunque inclusiva,  il Contratto di Governo  giallo-verde, è un  atto che include, a voler essere generosi,   una parte  delimitata dell’elettorato, quella che ha votato per Di Maio e Salvini.  E gli altri? Dovranno adeguarsi. Bella democrazia.
Ora, sui profili costituzionali di una operazione del genere  - che   tra l’altro istituisce un  comitato permanente arbitrale, che non si vedeva dai tempi del Gran Consiglio -  lasciamo la parola agli esperti.  Ma, anche al profano  non  può sfuggire il fatto che si punta, senza tanti complimenti, a relegare in un angolo il Parlamento, la massima istituzione della democrazia liberale, insaccocciando tutto nel pancione di quella stessa forma-partito, fino al giorno prima additata come  nemica del popolo.  E quel che più stupisce e preoccupa è il silenzio assordante intorno a quello che può essere definito, per dirla fuori dai denti,  un progetto liberticida. 
Detto questo,  invito i lettori a riflettere su un fatto:  in Europa occidentale,  a parità,  diciamo qualitativa e di anzianità delle classi politiche, solo l’Italia rischia di ritrovarsi con un governo totus populista. Non  è che Francia, Spagna, Germania,  abbiano avuto meno problemi di noi dal punto di vista delle classi politiche, eppure i populisti hanno vinto in Italia.  Evidentemente,  c’è qualcosa in noi che non funziona, come leggevamo ieri.  Un alto tasso collettivo di estremismo? Può darsi.  Una cattiva metabolizzazione della democrazia liberale?  Forse.  
Il vero problema però non riguarda il “popolo” ma le élite, a  partire da quelle politiche,   prive della consapevolezza di essere tali. Di qui, il gioco al rialzo del pessimismo di facciata  -  forma modernizzata  dell’antico  nicodemismo delle nostre classi dirigenti -   che si risolve sempre  nel piangersi addosso e nel compiangere  (e compiacere) l’elettore.  Pertanto la lotta politica, almeno negli ultimi venticinque anni, si è risolta  nel parlare,  come si usa dire, alla pancia degli elettori.  E alla fine hanno vinto i più bravi.
I Rajoy, i Macron, le Merkel  non vellicano i bassi istinti dell’elettorato, perché hanno piena  consapevolezza del proprio ruolo.  Sono politici responsabili.  Va anche detto, che probabilmente, spagnoli, francesi e  tedeschi  - nel senso del “popolo sovrano” -  hanno  metabolizzato meglio di noi la democrazia liberale.   E sanno che c’è un tempo per i sacrifici, e un tempo per i godimenti.  Ma soprattutto non sono abituati a stendere la mano in attesa della manna pubblica. Si rimboccano le maniche,  lavorano e producono.  Di qui, il circuito virtuoso tra élite e popolo.
Ma allora negli Stati Uniti,  dove ha vinto, come si usa dire,  il populista  Trump?  Che cosa non ha funzionato?  Innanzitutto Trump, non si può definire un populista in senso europeo:  non ha promesso gratifiche per tutti, più semplicemente ha fatto appello  al tradizionale isolazionismo americano e allo storico  senso di responsabilità individuale (“un uomo, un fucile, un cavallo”) degli americani. Lo hanno votato non perché ha promesso pasti gratis a tutti, ma perché  ha  promesso ai ceti medi di abbassare le tasse e mettere tutti gli americani  nelle  libere  condizioni di lavorare e produrre, dal più povero al più ricco. Non un centesimo  da Washington ma solo libertà di arricchirsi e prosperare,  per fare in questo modo l'America più grande (come recita il famoso slogan trumpiano). Insomma, siamo dinanzi al  naturale prolungamento dell’etica del lavoro capitalista. Altro che decrescita felice e posto fisso alle elementari sotto casa.    
Conclusioni? Brevissime. Negli Usa vogliono essere lasciati liberi di  lavorare e produrre.  In Francia, Spagna e Germania, idem con patate.  In Italia, invece,  già si sono messi in coda per il Reddito di Cittadinanza, o misure similari.   
Qual è la lezione allora?  Dove vince l’etica della responsabilità,  il populismo perde.    

Carlo Gambescia