Gli inevitabili compromessi istituzionali del fascismo (in un libro di Guido Melis)
Il
monolito che non c’era
di Teodoro Klitsche de la Grange
Il libro di Guido Melis La macchina imperfetta (*) ha come sottotitolo “Immagine e realtà
dello Stato fascista” che corrisponde al rapporto tra le realizzazioni del
fascismo e la loro spesso scarsa coerenza con la dottrina politica del regime.
Al riguardo l’autore, professore ordinario di
storia dell’amministrazione pubblica (nella foto) ricorda che, come aveva
intuito (in precedenza) nella sua prolusione pisana del 1909 Santi Romano, “la
pluralità degli interessi, a sua volta riflessa nel pluralismo delle
istituzioni, esigeva forme di regolamentazione e di assunzione della decisione
politica almeno in certi campi più mediate e «negoziate» di quanto non volesse
ammettere la coeva dottrina del fascismo”.
Ma non è solo la complessità sociale né quella
della macchina amministrativa statale che la governa a essere, almeno
parzialmente, contraddittoria. È lo stesso regime – tesi da molti condivisa – nei
suoi “fondamentali” ad esserlo: c’è il “paradosso della diarchia, un regime che
si dice totalitario ma che conserva un re formalmente sovrapposto al duce”. Vi
era, inoltre, la continuità di molti elementi, sia sociali che istituzionali (e
normativi) con lo Stato liberale.
Per cui “un’imperfetta nazionalizzazione del
Paese, a macchia di leopardo, convive con le fratture profonde di una storia di
lunga durata: economiche, regionali, culturali, sociali”, scrive l’autore. Onde
il fascismo consiste di “un totalitarismo sempre annunciato e mai interamente
realizzato, un sistema di istituzioni imperfetto, fatto di vecchi e nuovi
materiali confusamente assemblati senza un progetto lineare, con un’evidente
vocazione, nei momenti cruciali della ricostruzione dello Stato, al compromesso
tra vecchio e nuovo”.
Per cui, a un totalitarismo di facciata
corrisponde un pluralismo ad esso subordinato, con i più vari soggetti (sociali
e istituzionali) che giocano ognuno la propria partita “o più mosse in più
partite in tempi diversi, esprimendo ciascuno, di volta in volta, una parte
degli interessi centrali o periferici che allignano nella società italiana tra
le due guerre”.
D’altra parte che apparisse come qualcosa di
simile era convinzione anche di giuristi stranieri, sia in relazione allo Stato
fascista, sia per quello, più totalitariamente
coerente, nazionalsocialista.
Quanto al primo già Hauriou, prima di morire,
sottolineava come il fascismo avesse potuto “sindacalizzare” il regime, proprio
perché era uno Stato autoritario; lo Stato corporativo che si delineava (siamo
negli anni ’20) poteva funzionare proprio perché non-democratico, ma non
escludeva che, in qualche modo, gli interessi organizzati non potessero influire
sulle decisioni.
Quanto allo Stato nazionalsocialista è noto che
per Ernst Fränkel era un “doppio Stato” caratterizzato dalla compresenza di
elementi totalitari e di un certo grado di libertà economica. Franz Neumann
andava oltre: il regime nazionalsocialista organizzava la società in diversi
gruppi centralizzati (quattro) ciascuno con un potere legislativo, esecutivo e
giudiziario autonomo. “Non vi è bisogno di uno stato al di sopra di tutti i
gruppi; lo stato può essere addirittura un impedimento ai compromessi e al
dominio sulle classi subalterne. Le decisioni del Führer sono semplicemente il
risultato dei compromessi fra le quattro dirigenze”.
La conclusione da trarre dal libro, assai
interessante, di Melis è che il fascismo non fu un sistema monolitico e che
l’integrazione, come strumento essenziale della politica, si realizza per lo
più con compromessi e con istituzioni di compromesso. Cosa che letture
ideologiche e partigiane (come non è quella dell’autore) non considerano.
Teodoro Klitsche de la Grange
(*)
Il Mulino, Bologna 2018, pp. 616, €
38,00 .
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).