mercoledì 9 maggio 2018

Quarant’anni fa, la tragica morte di Aldo Moro
 Docente buono,  
politico meno...



Per quale ragione  le Brigate Rosse  hanno ucciso Aldo Moro? Perché i brigatisti erano contrari al compromesso storico. Così questa mattina il Tg1 delle ore sette. Ergo:   Kerenskij  fu abbattuto dai bolscevichi, perché era un socialista riformista.  
Messa così, che dire? Siamo davanti a una logica impeccabile per riscrivere la storia del XX secolo: quella del terrorismo come avversario del riformismo, o meglio  “della stabilità politica” come la definiva Aldo Moro,  di cui oggi si celebrano i quarant’anni della sua eliminazione da parte di un gruppo comunista armato, che sperava di indebolire lo stato, guadagnare consensi, e conquistare, mobilitando le piazze,  il Palazzo d’Inverno della Repubblica. 
Si chiama leninismo. Altro che lotta al compromesso storico…  O comunque sia,  utopismo armato, nemico della democrazia liberale. A prescindere dalla formula politica.  Il  Dna delle brigate rosse era comunista-rivoluzionario. Avrebbero comunque avversato qualsiasi governo riformista, come qualsiasi sindacato.   Chiedere ai figli  del povero  Guido Rossa,  eroe del lavoro.  Qualcuno avvisi i redattori del Tg1…
Quanto a Moro,  non si capisce la febbre commemorativa di questi giorni. Ciò  che però  risulta del tutto  incomprensibile  è  la  santificazione politica.  Moro -  e lo affermano gli storici - affossò il  centrosinistra. Da Presidente del Consiglio ( 5 dicembre 1963- 5 giugno 1968)  polverizzò qualsiasi proposta riformatrice. In cinque anni i suoi governi “organici” (con ministri socialisti) vararono una nuova legge sulle pensioni e introdussero la clausola delle giusta causa nei licenziamenti.Tutto qui.
Secondo Ernesto Galli della Loggia  le maggiori realizzazioni di solito attribuite al centrosinistra (nazionalizzazione dell’energia elettrica, introduzione della scuola media unica, della cedolare d’acconto sui titoli azionari, progettata attuazione delle riforme e di una riforma urbanistica) furono tutte compiute  prima, cioè nel biennio 1961-62,  dal governo Fanfani, il quale godeva solo dell'appoggio esterno dei socialisti (1).
Che poi Moro sia stato un professore di diritto penale, molto umano,  amato dagli studenti, ottimo didatta, come ieri sera ci ha spiegato Castellitto, protagonista ingessato di un  dolciastro docufilm trasmesso sempre dalle  vedove politiche  inconsolabili  di Rai Uno,   non  vuol dire nulla.
Un politico si giudica dai risultati, non dalle dosi industriali di utopismo politico inoculate agli studenti. Che, da che mondo e mondo,   non cercavano e non cercano altro...     
Un politico si giudica politicamente.  Ed è proprio su questo piano, nonostante  i giudizi alla melassa mediatica, Aldo Moro, secondo un altro storico,   Luciano Cafagna,   provò di essere “probabilmente il politico più conservatore  che abbia avuto la Repubblica, se conservazione e progresso ( o innovazione) si misurano, non sulla alchimie politiche, e sugli intrugli per ottenerle, ma sulle realizzazioni di respiro, che possono produrre fiducia e consenso”.
La stabilità, di cui  tanto si  parla, così amata da Moro, era quella della pax democristiana. Dunque,  una centralità, intorno alla quale dovevano ruotare gli altri partiti, dai laici, ai socialisti e comunisti.  Di qui, accordi,  tesi a spartire e diluire.  La tesi politica di Moro, di fatto,  ruotava  intorno a due assiomi: 1) centralità democristiana; 2) accordi per conservarla. 
Il che, per carità, aveva (ed ha)  una sua logica in termini di teoria pura del potere.  Tuttavia, la democrazia teorizzata da Moro, era l’esatto contrario del modello Westminster (due partiti che si alternano eccetera, eccetera), perché consisteva  nell’ipotesi conciliare,  come tratto permanente del potere,  l'esatto  contrario del bipartitismo, dove chi vince, non concilia e si  prende tutto. Ovviamente, fino alle elezioni successive.
Certo,  c’era la Guerra Fredda,  però, altro problemino di Moro: “il professore” era strabico, guardava solo a sinistra, puntando all’inglobamento,  prima dei socialisti, poi dei comunisti,  pur di conservare la Democrazia Cristiana al potere.
Probabilmente, se Moro  non fosse stato ucciso, per uno di quegli strani scherzi giocati  dalla storia,  i governi di compromesso storico, fallendo come il precedente centrosinistra organico,  avrebbero rafforzato  le forze laiche e socialiste, che però -  altro punto controverso  - avrebbero dovuto scegliere  l’opposizione alla Repubblica  Conciliare.
Purtroppo, la storia con i se, non si può fare. Moro è morto da quarant’anni. E la rivoluzione che dovevano fare le Brigate Rosse comuniste,  l’hanno fatta  i magistrati di Mani Pulite.  
Fino a un certo punto però.  Perché oggi   al  Colle risiede un democristiano di sinistra. 


Carlo Gambescia  


(1) E. Galli della Loggia, Credere, tradire, vivere. Un viaggio negli della Repubblica, il Mulino, Bologna  2016, p. 107, n. 11. Anche per il passo citato di Luciano  Cafagna.