Quarant’anni fa, la tragica morte di
Aldo Moro
Docente buono,
politico meno...
Per
quale ragione le Brigate Rosse hanno ucciso Aldo Moro? Perché i brigatisti erano contrari al
compromesso storico. Così
questa mattina il Tg1 delle ore sette. Ergo: Kerenskij fu abbattuto dai
bolscevichi, perché era un socialista riformista.
Messa così, che dire? Siamo davanti a una logica impeccabile per riscrivere la storia del XX secolo: quella del
terrorismo come avversario del riformismo, o meglio “della stabilità politica” come la
definiva Aldo Moro, di cui oggi si celebrano i quarant’anni della sua eliminazione da parte di un gruppo comunista armato, che sperava di indebolire lo stato, guadagnare consensi, e conquistare,
mobilitando le piazze, il Palazzo
d’Inverno della Repubblica.
Si chiama leninismo. Altro che lotta al compromesso
storico… O comunque sia, utopismo armato,
nemico della democrazia liberale. A prescindere dalla formula politica. Il Dna
delle brigate rosse era comunista-rivoluzionario. Avrebbero comunque avversato
qualsiasi governo riformista, come qualsiasi sindacato. Chiedere ai figli del povero Guido Rossa, eroe del lavoro. Qualcuno avvisi i redattori del Tg1…
Quanto
a Moro, non si capisce la febbre
commemorativa di questi giorni. Ciò che però risulta del tutto incomprensibile è la santificazione politica. Moro - e lo affermano gli storici - affossò il centrosinistra. Da Presidente del Consiglio
( 5 dicembre 1963- 5 giugno 1968)
polverizzò qualsiasi proposta riformatrice. In cinque anni i suoi
governi “organici” (con ministri socialisti) vararono una nuova legge sulle
pensioni e introdussero la clausola delle giusta causa nei licenziamenti.Tutto qui.
Secondo Ernesto Galli della Loggia le
maggiori realizzazioni di solito attribuite al
centrosinistra (nazionalizzazione dell’energia elettrica,
introduzione della scuola media unica, della cedolare d’acconto sui titoli
azionari, progettata attuazione delle riforme e di una riforma urbanistica)
furono tutte compiute prima, cioè nel
biennio 1961-62, dal governo Fanfani, il quale godeva solo dell'appoggio esterno
dei socialisti (1).
Che
poi Moro sia stato un professore di diritto penale, molto umano, amato dagli studenti, ottimo didatta, come
ieri sera ci ha spiegato Castellitto, protagonista ingessato di un dolciastro docufilm
trasmesso sempre dalle vedove politiche inconsolabili di Rai Uno, non vuol dire nulla.
Un
politico si giudica dai risultati, non dalle dosi industriali di utopismo
politico inoculate agli studenti. Che, da che mondo e mondo, non cercavano e non cercano altro...
Un
politico si giudica politicamente. Ed è
proprio su questo piano, nonostante i
giudizi alla melassa mediatica, Aldo Moro, secondo un altro storico, Luciano Cafagna, provò di essere “probabilmente
il politico più conservatore che abbia
avuto la Repubblica ,
se conservazione e progresso ( o innovazione) si misurano, non sulla alchimie
politiche, e sugli intrugli per ottenerle, ma sulle realizzazioni di respiro,
che possono produrre fiducia e consenso”.
La
stabilità, di cui tanto si parla, così amata da Moro, era quella della pax democristiana.
Dunque, una centralità, intorno alla
quale dovevano ruotare gli altri partiti, dai laici, ai socialisti e
comunisti. Di qui, accordi, tesi a spartire e diluire. La
tesi politica di Moro, di fatto, ruotava intorno a due assiomi: 1) centralità democristiana; 2) accordi per conservarla.
Il che, per carità, aveva (ed ha) una sua logica in termini di teoria pura del potere. Tuttavia, la
democrazia teorizzata da Moro, era l’esatto contrario del modello Westminster
(due partiti che si alternano eccetera, eccetera), perché consisteva nell’ipotesi conciliare, come tratto permanente del potere, l'esatto contrario del bipartitismo, dove chi vince, non concilia e si prende tutto. Ovviamente, fino alle elezioni successive.
Certo, c’era la Guerra Fredda , però, altro problemino di Moro: “il professore” era strabico, guardava solo a
sinistra, puntando all’inglobamento,
prima dei socialisti, poi dei comunisti, pur di conservare la
Democrazia Cristiana al potere.
Probabilmente,
se Moro non fosse stato ucciso, per uno di quegli strani scherzi giocati dalla storia, i governi di compromesso storico, fallendo come il
precedente centrosinistra organico, avrebbero rafforzato le forze
laiche e socialiste, che però - altro
punto controverso - avrebbero dovuto scegliere l’opposizione alla Repubblica Conciliare.
Purtroppo,
la storia con i se, non si può fare. Moro è morto da quarant’anni. E la
rivoluzione che dovevano fare le Brigate Rosse comuniste, l’hanno fatta
i magistrati di Mani Pulite.
Fino
a un certo punto però. Perché oggi
al Colle risiede un democristiano
di sinistra.
Carlo Gambescia
(1)
E. Galli della Loggia, Credere, tradire,
vivere. Un viaggio negli della Repubblica, il Mulino, Bologna 2016, p. 107, n. 11. Anche per il passo
citato di Luciano Cafagna.