Euro. Botta e risposta tra Teodoro Klitsche de la Grange e Carlo Gambescia
Meglio Sciaboletta...
di Teodoro Klitsche de la Grange
La
crisi istituzionale innescata dal rifiuto di Mattarella di firmare la nomina di
un euroscettico come Savona nel governo M5S-Lega, ricorda tante cose. Di una
voglio scrivere: che il tutto fa pensare a detti ed atti di Vittorio Emanuele
III. Il quale, partecipando al convegno delle potenze dell’Intesa dopo
Caporetto disse che “in guerra si va con un sacco per prenderle e con un
bastone per darle”. La massima, essendo la guerra la continuazione della
politica con altri mezzi, si può applicare anche a quest’ultima.
Onde
se si deve trattare una revisione della politica e/o dei trattati con l’Europa,
è chiaro che un governante italiano, il quale tuteli gli interessi dell’Italia
deve, non fosse per altra ragione che per rafforzare la propria posizione
negoziale, prevedere – e prospettare – che in caso di mancato accordo, l’Italia
sia disposta a decisioni più dure, fino
ad uscire dall’euro. Con riflessi - forse - negativi (per tutti).
Ma
se il suddetto negoziatore esclude, al momento di iniziare la trattativa di
giocare il proprio “tris d’assi”, state sicuri che, di fronte a tanta eurodevozione, i vari Juncker, Merkel (e
annessi e connessi) risponderanno con buffetti e parole commoventi di elogio,
apprezzamento ed eterna amicizia. Ma lo lasceranno con poco o nulla nel
carniere.
Se
la Thatcher
fosse andata a trattare in Europa, invece che ripetendo i celebri tre “No” alle
richieste di Delors, e prima avvertendo che voleva indietro i quattrini della
Gran Bretagna, l’avrebbero accontentata con le bazzecole. Oltretutto la “Dama
di ferro” avrebbe dato un pessimo esempio se, per così dire, fosse stata di
gomma. Un esempio fatto d’imperizia (nella cura dell’interesse nazionale),
pavidità e scarsa dignità.
Forse
è (anche) a quei tre “no” che si deve la decisione sulla Brexit: ma è comunque certo
che i negoziati condotti dalla Thatcher diedero un assetto al rapporto Europa/UK
stabile per oltre un trentennio: a conferma del fatto, spesso ripetuto nella
storia, che, gli accordi durevoli si fanno a) con i nemici o reali avversari; b) sulla base di
interessi (reali) e non su idee o
aspettative astratte e future. Per cui mandare in Europa un ministro già pronto
con il cappello in mano e la lingua pendula non è una furbizia ma un esempio di complice dipendenza.
A
seguire la regola – realistica – del sacco e del bastone, oltre a guadagnare in
dignità, spesso i risultati non sono deludenti. A Caporetto seguirono le
battaglie del solstizio e Vittorio Veneto: esito positivo di una anno iniziato
assai male.
L’altro
atto di Sciaboletta da tenere a mente in questa vicenda, è quando “dimissionò”
Mussolini per rovesciare le alleanze, al fine di evitare, o almeno limitare le
sofferenze di una guerra ormai perduta.
Se
il Re e Badoglio avessero preso come vincolo immodificabile il patto d’acciaio,
come oggi gli eurodipendenti quello
sull’euro (e non solo), l’Italia sarebbe uscita dalla guerra ancora più
distrutta della Germania: Torino, Genova e (forse) Roma come Amburgo e Dresda.
Con qualche milione di morti italiani in più.
Ciò
perché il criterio della politica non è il rispetto dei trattati, delle norme,
dei valori (ecc. ecc.) ma il perseguimento (e la tutela) dell’interesse
nazionale. Quando vincoli normativi, interni o esterni entrano in conflitto con
l’interesse nazionale è questo che deve prevalere e non quelli.
Cosa
che un noto neofita della politica
come Bismarck ripeteva dicendo che i trattati sono “pezzi di carta”; e uno dei
pensatori politici il quale, pare – l’abbia, almeno in parte, ispirato, come
Lassalle scriveva che anche le Costituzioni sono “pezzi di carta”. Quel che
conta sono gli interessi (e gli assetti) che determinano norme, trattati,
Costituzioni.
Perciò
preferisco Sciaboletta.
Teodoro Klitsche de la Grange
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
***
Interesse nazionale?
di Carlo Gambescia
Il pur interessante articolo dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange contiene un errore nella premessa: l’idea di interesse nazionale non rinvia alla scienza politica, a una scienza (per dirla con Pareto) tesa a studiare i residui (ciò che permane del comportamento collettivo), ma all'analisi delle derivazioni (ciò che gli uomini usano per coprire i moventi reali delle proprie azioni sociali).
Facciamo solo un esempio. A proposito del “Patto d’Acciaio”, Klitsche de la Grange, nota che in nome dell’interesse nazionale fu giusto uscire da quel Patto, “dimettere” Mussolini, eccetera, eccetera. Diciamo invece, che in nome dell’interesse nazionale quel Patto con la Germania nazista, non andava proprio firmato, come non andava intrapresa - prima - alcuna politica imperialista e bellicista.
Però, ci si può rispondere, che l’interesse nazionale italiano, allora, era quello “del posto al sole”. E non quello "panciafichista" dell’Italietta in pantofole di Giolitti e, prima ancora, di Visconti Venosta. Appunto. Quel che vogliamo sottolineare è che sull’idea di quale sia il vero interesse nazionale, dal momento che il concetto rinvia alle autogiustificazioni (frutto di visioni differenti della storia nazionale e delle sue prospettive), tutte più o meno "devozionali", non ci può essere, né ci sarà mai, alcun accordo. Quindi, il dato costante, eventualmente, non è l’interesse nazionale, ma la reinvenzione e opposizione tra le diverse idee di interesse nazionale, di volta in volta rilanciate, dalle diverse correnti politiche, sul piano degli "assetti e degli interessi" e dunque, inevitabilmente, in nome di una qualche "idea di futuro" .
Non esistono, insomma, interessi puri separati da valori puri. Persiste sempre, però, un mix di norme e interessi. Pareto, in questo caso, parlava di "istinto delle combinazioni", come innata capacità dell'uomo di manipolare interessi e valori. Il "pezzo di carta" bismarckiano-lassalliano non riflette un principio di scienze politica, ma la volontà, storicamente contestualizzata, del Bismarck Cancelliere di avere mani libere, prima per l'unità tedesca, poi per mantenersi al centro dello scacchiere continentale: un mix di interessi e valori, di presente e futuro. Sul quale, nella stessa Germania non c'era comune accordo. Come proverà la storia successiva, da Guglielmo II a Hitler.
Per venire all’oggi, per alcuni è interesse nazionale restare nella UE, per altri non condividere l’Euro, per altri ancora, uscire dall’UE e dall’Euro. Chi ha ragione? Per quel che ci riguarda, siamo tra coloro che ritengono sia interesse nazionale dell’Italia restare nella UE e nella sfera dell’Euro. Ma, ecco il punto, non ci sogniamo assolutamente di difendere la nostra opinione evocando la "scientificità" di principi pseudoscientifici, come quello dell’interesse nazionale. Magari, ricorreremo, anche noi, ad altri idola tribus, però, in mondo consapevole, evitando di mescolare ragione e sentimento, scienza e romanticismo politico.
Quanto a “Sciaboletta”, Vittorio Emanuele III, diciamo che la sua visione dell’interesse nazionale collimava con quella dinastica. Prima consegnò l’Italia a Mussolini, poi gliela strappò, solo per salvare il Trono ai Savoia. Quindi non sembra un buon esempio. Cioè, eventualmente lo è, ma come indicatore delle varie e numerose declinazioni dell’interesse nazionale.
Quanto alla tesi che bisogna andare sempre a trattare a muso duro, diciamo che, solo per fare altro esempio, la politica di Visconti Venosta e di Giolitti-Antonino di San Giuliano, definita, ad esempio negli anni del Fascismo, fin troppo arrendevole, nel primo caso, consolidò la politica estera italiana, nei difficilissimi anni della Destra Storica, nel secondo caso, ci fece guadagnare la Libia, senza inimicarsi nessuno. Per contro su Crispi e Mussolini, sempre pronti a picchiare per primi, crediamo sia meglio stendere un velo pietoso.
Infine, la grandissima "The Iron Lady" rappresenta piuttosto l’eccezione che la regola. Eccezione costituita, in primo luogo, dall’insularità imperiale della Gran Bretagna e, in secondo luogo, da una tradizione di grandi leader conservatori, tutta gente di carattere, da Disraeli a Churchill. Insomma, siamo su un altro piano, anche psicologico. Diciamo stratosferico.
Come dire? Caro Teodoro, scherza coi fanti, ma lascia stare i santi…
Carlo Gambescia