martedì 31 gennaio 2017

Sondaggi. Riparte l’offensiva contro Renzi
L’Italia di don Ferrante


Si è riaperta la caccia a Renzi. Appena l' ex  premier ha  pronunciato la parola elezioni ( con qualche possibilità, insistiamo sul concetto, di superare il famoso  40 per cento) è partita l’offensiva.  Anzi due.  
Quella dei sondaggi, talvolta  diffusi ad arte per influenzare l’elettorato o comunque influire sul dibattito politico. E qui sembra evidente, proprio per la tempistica, l'uso del fucile a pallettoni algoritimici per dare il colpo di grazia all'ultimo dei Medici, ramo di Rignano sull'Arno.    
E quella degli opinionisti del ma-chi-te-lo-fa-fare. Uno per tutti: Galli della Loggia, editorialista sempre dentro le righe, che però questa volta consiglia a Renzi, senza tanti complimenti,  di ritirarsi in alta montagna a meditare.
Stupisce, ma fino a un certo punto, l’ atteggiamento autodistruttivo di una classe politica (e giornalistica) di post-nani e post-ballerine, che critica, critica, critica, senza  però  offrire  alcuna alternativa  reale alla proposta riformista di Renzi.  Il quale, mai dimenticarlo, unico nella storia della Prima e della Seconda Repubblica, era riuscito ( o quasi) a liberare gli italiani da un Senato perfetto doppione della Camera,  tirato su all'epoca per evitare nuove marce su Roma. E invece?  La Costituzione del 1948, quando non ti clonavano la carta di credito ma ti rubavamo la biclicletta,   è ancora lì,   però ci ritroviamo  con Grillo,  un cripto-fascista a un passo dal potere  e con il Senato  che fa chic ma non funziona.  Perfetto, per  la serie come farsi del male da soli.
Qual è la strategia degli anti-Renzi? Nessuna.  Vivere alla giornata, buttarla in caciara (pardon per il romanesco) sulla legge elettorale,  promettere tutto e il contrario di tutto  pur di arraffare il potere. Poi si vedrà.  Inciso: in Italia si critica Trump a reti unificate, per carità il personaggio non convince, però fa quello che in Italia non si usa fare: cerca di mantenere, piacciano o meno, le promesse elettorali.  
Tornando ai programmi, per quel che riguarda Cinque Stelle, l’esperimento di  Roma  ha valore politicamente dirimente, ma  in negativo. Quanto al  progetto,  che si  comincia a scorgere, di D’Alema, cosa si può dire?  Che rinvia a un centrosinistra stracotto,  guidato  in tandem con  Prodi: roba da rimpatriata tra amici. E il centrodestra di Berlusconi, Salvini e Meloni?  Roba da ridere. Non ha più alcuna credibilità. E poi perché votare per la copia populista, penserà l'elettore di destra (modello classico con  bava alla bocca),  quando è possibile eleggere l’originale? Ossia Grillo?
La tesi degli anti-renziani -   il che dovrebbe  far riflettere coloro che votavano  il Cavaliere -   è che Renzi sia l’erede di Berlusconi. Aggiudicato.   Ha quarant’anni di meno. E non va a mignotte (pardon). Due  ragioni in più per votarlo, no?  E invece i teocon italiani, che con i dignitosissimi cattolici liberali dell’Ottocento  non hanno nulla a che fare (tradotto: Alessandro Manzoni), sabato erano in piazza con la fascistella Meloni (tradotto: Gaetano Quagliariello).  Così va il mondo, qui in Italia (tradotto: da Manzoni a Quagliariello).  Evidentemente, non si perdona a Renzi, la legge sulle unioni civili.  Altro segno rivelatore di una destra illuminata…    
Del resto, il Silvio, quello  autentico, non vuole andare in pensione.  E sogna impossibili recuperi, a costo di sfasciare tutto  e consegnare l’Italia a Grillo (come Roma). In un’intervista al “Messaggero” Berlusconi rivendica il merito di aver fatto vincere il no. Complimenti! Chi scrive, spera fervidamente, che le “oggettine” (e i giudici)  gli tolgano pure le mutande.
Qualcuno si chiederà il perché dell’ anti-renzismo. Sarebbe come  chiedersi il perché dell’anti-degasperismo (contro lo statista democristiano, già anziano e malato, scese addirittura in campo Guareschi, pur di screditarlo), dell’anti-fanfanismo (finito in barzellette),  dell’anti-moroteismo  (finito nel sangue) dell’anti-craxismo (finito in tribunale), dell’anti-berlusconismo (idem con patate).  
Il punto è  che gli italiani ( se ci si perdona l’antropologia un poco frettolosa), come il  don Ferrante manzoniano,  non vogliono comandare né obbedire.  E  i leader politici che hanno  provato   a invertire la tendenza sono  finiti male.  Va però ricordato, che don Ferrante, morì di peste, proprio per non dar retta a nessuno, se non alle proprie bislacche teorie.  Sicché, come si legge,  “non prese nessuna precauzione contro la peste: gli si attaccò: andò a letto, a morire, come un eroe del Metastasio, prendendosela con le stelle”.  
Qui invece bisognerebbe prendersela con  i Cinque Stelle, la nuova peste populista.  Ma subito, prima, molto prima,  di mettersi a letto e morire.  Capito il messaggio?       

Carlo Gambescia               

                              

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