Tito Boeri, le pensioni e il “debito
implicito”
La voce del padrone
Ci
mancava pure il concetto di pensione legata
al calcolo “debito implicito”. Di che cosa si parla? Lasciamo la parola a Tito Boeri, presidente dell’Inps, economista e
tecnocrate di sinistra: “Il debito implicito
(…) è l'insieme delle impegni presi dallo Stato nei confronti degli attuali
contribuenti, pensionati e contribuenti futuri. E se si dice che il debito
implicito è qualcosa che non ha valore si sta implicitamente dicendo che in
futuro si taglieranno le pensioni" (*).
“Impegni” e sulla base di che cosa? Di previsioni macroeconomiche:
una specie di lotteria, dove basta un
più o un meno accanto al Pil, magari lo scostamento dello 0,01%, per scombinare tutto. Perciò di quali previsioni parliamo? Resta già difficile prevedere il debito esplicito, figurarsi quello implicito... Giochini da costruttivisti. Il che, ovviamente, può solo accadere in un contesto, come quello italiano - ecco il lato più grave
della cosa - dove lo stato, culturalmente, se non
addirittura filosoficamente (lo “stato etico” che piaceva tanto a fascisti,
comunisti, democristiani e socialisti), viene ritenuto il pagatore in ultima istanza delle pensioni, provocando, secondo alcuni osservatori, danni cerebrali collettivi irreversibili: la pericolosa sindrome da individualismo protetto.
Pensioni che,
evidentemente, - per quale ragione non dire la verità ? - sono uno strumento di consenso sociale e
politico, come dire, di natura
interpartitica. Pertanto
sorvolando, sulla diatriba pseudostorica tra “contributivisti” e “retributivisti”, che impone comunque un potere centrale
redistributivo ( tradotto: Inps), va chiarito che fino a quando lo stato
continuerà a occuparsi di pensioni, e non importa se all’Inps comanderà un sindacalista o un tecnocrate, si
continuerà discutere di nulla, praticamente. Inciso, per Boeri: noi non
paghiamo le colpe delle “baby pensioni” democristiane. Ma di un sistema semi-collettivista che ha permesso tutto questo. Uno statalismo inveterato, di cui oggi, il professor Boeri, è la longa manus. O se si preferisce: la voce del padrone. Parla, parla, parla, ma resta sempre dalla parte dello stato.
Il vero nodo è che le pensioni, se ci si passa l’espressione, andrebbero strappate dalle grinfie dei governi per restituirle al libero arbitrio dei singoli cittadini. Insomma,
dovrebbero uscire dall’agenda politica,
lasciando alla periferia, al cittadino insomma, il potere
individuale di scelta, al limite anche di non cautelarsi direttamente
attraverso polizze private assicurative, puntando su fonti indirette di
reddito, alternative alla classica
pensione welfarista. Che, mai dimenticarlo, si basa invece su un centro che gestisce male (e spesso tirannicamente) i risparmi dei cittadini, tramutati - se e quando - in pensioni, trasformate a loro volta, in strumenti di elemosina politica, da accrescere o diminuire ( i tagli di Boeri) in base alle esigenze del centro e non della periferia.
E che ne sarà di quelli che non ce la fanno? Peggio per loro. O comunque, potrà provvedere la carità privata.La Chiesa
di Papa Francesco, ad esempio, così attenta ai poveri. Del resto gli stessi privati che oggi finanziano a fondo perduto "Medici senza Frontiere", potrebbero finanziare "Pensioni senza Frontiere". L'importante è che lo stato, ridotto alle sue funzioni fondamentali (quelle smithiane) ne resti fuori. Inoltre,
il rischio di non farcela può essere un
incentivo per porsi scopi nella vita, anche nei semplici termini di riuscire a
garantirsi orgogliosamente, con le proprie forze, una vecchiaia serena. Pensiamo a una vigorosa mentalità individualistica, frutto di un
individualismo vero, non protetto e vittimistico, che se moltiplicata
collettivamente, può costituire,
attraverso la mano invisibile del sociale, un fattore di crescita e di eliminazione o riduzione di ogni forma di
parassitismo economico e politico. E di questo cambio di marcia beneficerebbero le generazione presenti e future, soprattutto queste ultime, così al centro delle preoccupazioni di Boeri.
E che ne sarà di quelli che non ce la fanno? Peggio per loro. O comunque, potrà provvedere la carità privata.
Il principio da sconfiggere è quello dello "Stato Padrone" che eroga pensioni e che di conseguenza può stabilirne l’ammontare
decidendo delle fortune o sfortune fiscali dei contribuenti, millantando un potere
previsionale che non esiste: pari a quello dell’Oracolo di Delfi. Ecco un esempio - sia detto per inciso - di quella biopolitica (come
potere di vita e di morte sul singolo cittadino) che piace tanto alla cultura di
sinistra, quella delle parole magiche, che però continua a credere,
anche la più radicale, nel ruolo
redistributivo dello stato. E quindi dell’Oracolo di Delfi.
Si dirà, ma le pensioni attuali, sono frutto di una concertazione tra stato, sindacati, imprenditori, gruppi di pressione. Peggio che mai: il conflitto sociale (la "concertazione"...), come ogni conflitto determina vinti e vincitori, quindi finché prevarrà la logica delle coalizioni redistributive (tra l'altro più interessate alla spartizione che alla produzione del bottino), esisteranno gruppi rappresentati e sotto-rappresentati. Logica dell'assalto alla diligenza che non può non incidere sulla spesa pubblica. Infatti, dal momento che lo stato viene considerato, “da
tutti” i contendenti ( i diversi gruppi), il pagatore in
ultima istanza delle pensioni, i poteri pubblici, da chiunque rappresentati, non possono non sostenere, per ragioni di consenso ( di pace sociale, come si dice), anche i gruppi perdenti. Con costi contributivi e
fiscali, prodotti dalle "guerre" redistributive tra i gruppi, che però vengono "spalmati" su tutti i singoli cittadini: meritevoli e immeritevoli. E la chiamano "equità"...
Si dirà, che quanto fin qui sostenuto, è pura utopia. Forse. Ma non è altrettanto utopico, continuare
a credere nel potere previsionale dell’
Inps e dello "Stato Padrone"?
Carlo Gambescia
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