domenica 8 gennaio 2017

La riflessione
Al di là della destra e della sinistra?




Quando si studia la  politica,  l’attenzione  deve  sempre  concentrarsi sui fatti, non sulle retoriche (o narrazioni, come oggi è di moda  dire…).  Si prenda ad esempio, la retorica sulla fine della destra e della sinistra  tornata in voga, nonostante i danni provocati dai totalitarismi dei partiti unici, sorti nel burrascoso clima anti-parlamentare di fine Ottocento: temperie, per dirla all'antica, che, a guardare bene, risaliva, paradossalmente, al pensiero controrivoluzionario  post-1789.  Danni che oggi  tutti sembrano aver dimenticato. 


La lezione della storia
Certo, è vero che destra e sinistra (partitiche)  sono due razionalizzazioni di tipo politico-parlamentare, sorte durante la Rivoluzione Francese, ma è altrettanto vero, che le categorie della conservazione e del progresso (che vanno modernamente e identificarsi con i concetti di destra e sinistra),  attraversano tutte le epoche storiche. 
Roma, si divise, praticamente sino alla fine, tra i sostenitori delle antiche  virtù repubblicane  e quelli di un monarchia militare e orientalizzante più consona, si riteneva,  alle necessità di un Impero, che guardasse avanti. 
Nella lotta, tra Impero e Papato, l’Impero, guardava al passato, a Roma, il Papato al futuro, al mondo post-romano,  anche in senso oltremondano ("la Città di Dio").   All’interno delle monarchie nazionali, dei primi secoli dell’età moderna, i difensori dello stato assoluto, guardavano al futuro, in termini dii sviluppo, già moderno,  della   potenza economica e militare,  mentre i difensori del Parlamenti (isole politico-giudiziarie di antica inosservanza monarchica),  ai passati privilegi medievali.  Le borghesie  di toga e  roba, infatti si appoggiarono allo stato assoluto, perché forza modernizzante, e centralizzatrice dei mercati. Uno  stato assoluto  che i borghesi  prima cercarono di cambiare dall’interno, contro le aristocrazie feudalizzanti,  poi dall’esterno con le rivoluzioni costituzionali e dei diritti politici. Particolarmente rappresentativa di quest’ultimo processo  è la trasformazione degli Stati Generali,  di origine medievale,  in assemblea prima rivoluzionaria e poi costituzionale durante la Rivoluzione francese. Come lo sono del resto le trasformazioni, però dall’interno (benché dopo una fase rivoluzionaria),  della Monarchia britannica. Si tratta di un fenomeno, in chiave anche di confronto intellettuale tra democrazia degli antichi e dei moderni, che durante l’Ottocento, riguarderà tutte le monarchie post-assolutistiche.  

Le costanti psicologiche,  istituzionali e politiche
Pertanto parliamo di categorie -   destra, sinistra, conservazione, progresso -  esito  di costanti psicologiche, istituzionali e politiche.  Psicologiche, nel senso della divisione socio-mentale (pensiamo alla forma mentis), tra chi guardi  sempre avanti, e chi si aggrappi al presente rimpiangendo il passato; Istituzionali, dal momento che le  società, a prescindere dalle retoriche “staticistiche”, sono entità dinamiche (a partire, da quella che sembra la società più statica della storia: l’Egitto dei Faraoni),  nel senso della continua competizione  tra gli interessi  in gioco, esistenti e in gestazione. 
Insomma, siamo davanti a una realtà in continuo movimento,  dove valori psicologici e interessi, entrambi  istituzionalizzati, finiscono inevitabilmente, nella pratica, per mescolarsi, confliggere, cooperare.  Pertanto, per venire all’oggi,  anche all’interno di un movimento populista, dove si negano le appartenenze classiche a destra e sinistra, i dirigenti  tenderanno  sempre a dividersi,  proprio partendo da un programma comune anti-parlamentare,  in un' ala progressista, nel senso delle riforme radicali, e in una conservatrice, nel senso del  procedere per piccoli passi  o di venire a patti con  gruppi e istituzioni esistenti.
Quanto alle costanti Politiche , rappresentate dal  rapporto con il potere, esse  mostrano  come negli stessi partiti unici anti-destra e anti-sinistra (fascisti, nazionalsocialisti, comunisti), ci si divida, regolarmente, tra  una parte (quella  che detiene il potere), che punta sugli "antichi" ideali politici,  e un'altra parte (quella che non detiene il potere),  che propugna, per conquistarlo, gli stessi ideali, ma chiave "modernizzante".

Conclusioni
Riassumendo, l’esistenza di costanti psicologiche, istituzionali e politiche  insegna che la divisione tra destra e  sinistra (e tra conservatori e progressisti), ricorre storicamente  in ogni schieramento politico.  Che poi tale divisione venga negata è questione puramente retorica.  Dal momento, che nei fatti,  da un parte   essa riflette, la volontà "di non mollare",  di  una parte politica, quella di  coloro che sono al potere, e che per questo sono  liquidati come conservatori, proprio da coloro ( quando si dice il caso...) che non lo sono ancora. Tuttavia, la stessa sorte toccherà, ai “progressisti”, una volta agguantato il potere, perché  a loro volta verranno attaccati come "conservatori".  Si chiama legge di circolazione delle élites politiche. E si tratta di una regolarità metapolitica. 
Merito del liberalismo e del costituzionalismo è quello di aver depotenziato (se si vuole, "civilizzato") in chiave parlamentare il conflitto tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, passando dal conflitto  militare a quello dibattimentale.  E questo è stato un piccolo  progresso, reale, nei fatti. Non ci si scanna più o comunque di meno.  Ovviamente parliamo dell’esperienza dell’Occidente liberale.
Coloro che negano tutto ciò, desiderano solo abbattere le istituzioni liberali, per tornare al conflitto militare: ai rapporti di forza,  nudi e crudi.   Salvo,  poi dividersi, nuovamente, in destra e sinistra (magari con altri nomi, occasionali, legati all’interpretazione della dottrina “ufficiale”),  all’interno però  di un regime di tipo assolutista. Senza alcuna garanzia di tipo liberale e costituzionale.

Carlo Gambescia                      

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