Fca nel mirino in Usa, violate le
norme su emissioni diesel
A brigante, brigante e mezzo
Non
sappiamo chi dica la verità. Se Marchionne
o l’Epa. E se Marchionne, faccia bene, in omaggio all’ipocrisia ambientalista e a
quella di un mercato sopraffatto dalla politica, a rivendicare il suo rispetto delle
regole.
Non
è questo ciò che qui interessa, né i giochi politici connessi al passaggio dall’Amministrazione
Obama a quella Trump e le dietrologie varie. Purtroppo, i tempi, e non da oggi, sono
quelli che sono: di veri politici, non diciamo difensori del mercato, ma
sanamente neutrali, ce ne sono pochi. Per dirne una, l’Epa venne istituita da Nixon, un uomo di destra. E Reagan, l’ ”ultraliberista”,
gestì l’eredità, limitandosi a mettere a
capo dell’Agenzia un suo uomo. Que che si appresta a fare, il “protezionista”
Trump. Tradotto: cambiano i direttori d’orchestra,
ma non cambia la musica. La fame statale di tributi - e quindi di regole vessatorie per estorcerli - resta uguale per tutti, a destra come a
sinistra, negli Usa come altrove. Anzi soprattutto nel “liberale” Occidente.
Insomma
il vero punto della questione è un altro:
di quali regole parliamo? Tutto il cosiddetto ambientalismo si regge - anche perché la scienza funziona così - su ipotesi che dividono e uniscono al tempo stesso gli
scienziati; divisioni che aumentano a mano a mano che ci si allontana
dalle scienze esatte per giungere a quella umane e sociali.
E
allora? Presto detto: le scienze
ambientali sono un impasto di scienze esatte e umane, perché implicano, di
fatto, sia nello studio degli aspetti teorici, sia dei casi concreti, la disamina della ricaduta degli effetti
climatici sugli uomini e sulle società. Di qui, una certa tendenza a sminuire o
accentuare la natura dei fenomeni
climatici dal punto di vista politico, soprattutto in relazione al giudizio verso la società di mercato, giudizio che perciò - chiudendo il cerchio ideologico - può essere positivo o negativo in base agli idola che vanno storicamente per la maggiore. E il mercato, fin dagli inizi, non ha goduto di buona stampa. Vai a capire l'irriconoscenza degli uomini...
Tuttavia, per tornare sul punto, dal momento che la teoria è una cosa, perché può baloccarsi all’infinito con le
varie ipotesi, e la politica un’altra,
perché basata sul consenso e la decisione a breve termine, alcune tesi parziali in ambito climatico non potevano non essere inevitabilmente recepite dalla politica, il cui tempo non è infinito, ma ristretto, soprattutto in democrazia, alla durata del governo e del consenso. Inciso: teorie parziali, perché ad esempio il cosiddetto “largo
consenso scientifico” sul riscaldamento globale, ammesso e non concesso che sia tale, non significa totale consenso, basato su evidenze fattuali condivise da tutti, che in scienza
è determinante. Potrebbe essere così, secondo la maggioranza degli scienziati, ma potrebbe anche non non essere così secondo altre maggioranze. Democrazia e scienza non sempre procedono all'unisono, come prova la successione e rivalità tra paradigmi scientifici. Del resto, la solitudine di Galileo (e pochi altri) docet.
Fatto
è che, come detto, le tesi “parziali” sul riscaldamento - sorvolando sulle questioni di merito - non potevano non essere subito riprese in ambito politico, vista la notevole la pressione dei gruppi ambientalisti e di vario colore politico (gruppi unfriendly nei riguardi del capitalismo) esercitata sulla politica. Parliamo di attori che puntano, a guadagnare consenso politico, agitando il fantasma del catastrofismo e veicolando paure irrazionali. Di
qui l’introduzione di quelle regole, formalmente omaggiate da Marchionne, che in realtà, per dirla brutalmente, sono soltanto atti di brigantaggio legalizzato da parte di
uno stato fiscalmente affamato che vuole spremere, fin dove possibile, quella
gallina dalle uova d’oro che si chiama capitalismo. Uno stato che ha saputo cogliere al volo, in parte per condivisione ideologica ( come nei governi progressisti), in parte per puro calcolo di sopravvivenza ( come in tutti i governi), le tesi ambientaliste, piegandole ai propri interessi pubblicamente costituiti.
Ora,
che alcuni imprenditori tentino di farla franca va compreso e giustificato. Perché
siamo davanti a una autentica lotta per la sopravvivenza che vede da un lato potenti istituzioni pubbliche, dietro l’Epa
c’è il governo americano, dall’altro, imprese, come la Fca , che detengono forza economica ma non politica, ma dalla cui esistenza dipende il destino
di milioni di lavoratori. Posti di lavoro che lo stato, se non a costo di rendere tutti
più poveri, come nella tristemente nota esperienza sovietica, non potrebbe mai creare e gestire, secondo criteri
economicamente efficienti. Ergo, si dovrebbe "lasciar fare, lasciar passare"...
Si
dirà, ma la violazione delle regole da parte di un’impresa, non si ritorce contro
le altre che le rispettano? Insomma, non è una forma di concorrenza sleale? No. Potrebbe essere considerata sleale, solo a patto di ritenere (erroneamente) che il vero mercato sia quello esistente, che invece di leale non ha proprio nulla, perché incorniciato dentro le
regole di una politica brigantesca che vuole depredare le imprese private,
grandi o piccole che siano.
E da che mondo è mondo, a brigante, brigante e mezzo. Se si vuole sopravvivere.
E da che mondo è mondo, a brigante, brigante e mezzo. Se si vuole sopravvivere.
Carlo Gambescia
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