venerdì 13 gennaio 2017

Fca nel mirino in Usa, violate le norme  su emissioni diesel
A brigante, brigante e mezzo


Non sappiamo chi dica la verità.  Se Marchionne o l’Epa. E se Marchionne, faccia bene,  in omaggio all’ipocrisia ambientalista e a quella di un mercato sopraffatto dalla politica,  a rivendicare il suo  rispetto delle regole.
Non è questo ciò che qui interessa,  né i giochi politici connessi al passaggio dall’Amministrazione Obama a quella Trump e le dietrologie varie. Purtroppo,  i tempi, e non da oggi,   sono quelli che sono: di veri politici, non diciamo difensori del mercato, ma sanamente neutrali, ce ne sono pochi. Per dirne una, l’Epa  venne istituita  da Nixon, un uomo di destra. E Reagan, l’ ”ultraliberista”,  gestì l’eredità, limitandosi a mettere a capo dell’Agenzia un suo uomo. Que  che si appresta a fare, il “protezionista” Trump.  Tradotto: cambiano i direttori d’orchestra, ma non cambia la musica. La fame statale  di tributi - e quindi di regole vessatorie per estorcerli -    resta uguale per tutti, a destra come a sinistra, negli Usa come altrove. Anzi soprattutto  nel “liberale” Occidente.  
Insomma  il vero punto della questione è un altro:  di quali regole parliamo?  Tutto il cosiddetto ambientalismo si regge -  anche perché la scienza funziona così  -   su ipotesi che dividono e uniscono al tempo stesso gli scienziati;  divisioni che  aumentano a mano a mano  che ci si allontana dalle scienze esatte per giungere  a quella umane e sociali.  
E allora?  Presto detto: le scienze ambientali sono un impasto di scienze esatte e umane, perché implicano, di fatto, sia nello studio degli aspetti teorici, sia dei casi concreti,  la  disamina della ricaduta degli effetti climatici sugli uomini e sulle società.  Di qui, una certa tendenza a sminuire o accentuare  la natura dei fenomeni climatici dal punto di vista politico, soprattutto in relazione al giudizio verso la società di mercato, giudizio  che perciò  - chiudendo il cerchio ideologico -  può essere positivo o negativo in base agli idola che vanno  storicamente per la maggiore. E il mercato,  fin dagli  inizi, non ha goduto di buona stampa.  Vai a capire l'irriconoscenza degli uomini...
Tuttavia, per tornare sul punto, dal momento che la teoria è una cosa, perché può baloccarsi all’infinito con le varie ipotesi, e  la politica un’altra, perché basata sul consenso e la decisione a breve termine, alcune tesi parziali in ambito climatico non potevano non  essere inevitabilmente recepite dalla politica,  il cui tempo non è infinito, ma ristretto, soprattutto in democrazia,  alla durata del governo e del consenso. Inciso: teorie parziali,  perché ad esempio il cosiddetto “largo consenso scientifico”  sul riscaldamento globale, ammesso e non concesso che sia tale, non significa totale consenso, basato su evidenze fattuali condivise da tutti,  che in scienza è determinante.  Potrebbe essere così, secondo la maggioranza degli scienziati, ma potrebbe anche non  non essere così secondo altre maggioranze. Democrazia e scienza non sempre procedono all'unisono, come prova la successione e rivalità tra paradigmi scientifici. Del resto,  la solitudine di Galileo (e pochi altri) docet.
Fatto è che, come detto,  le tesi “parziali” sul riscaldamento - sorvolando sulle questioni di merito -  non potevano non essere  subito  riprese in ambito politico,  vista la notevole  la pressione dei gruppi ambientalisti e di vario colore politico (gruppi unfriendly nei riguardi del capitalismo) esercitata sulla politica. Parliamo di attori  che puntano, a guadagnare consenso politico, agitando il fantasma del  catastrofismo  e veicolando   paure irrazionali.  Di qui l’introduzione  di quelle  regole, formalmente omaggiate da Marchionne,  che in realtà,  per dirla brutalmente, sono soltanto  atti di brigantaggio legalizzato da parte di uno stato fiscalmente affamato che vuole spremere, fin dove possibile, quella gallina dalle uova d’oro che si chiama capitalismo. Uno stato che ha saputo  cogliere al volo, in parte per condivisione ideologica ( come nei governi progressisti), in parte per puro calcolo di sopravvivenza ( come in tutti i governi), le  tesi ambientaliste, piegandole ai propri interessi pubblicamente costituiti.       
Ora, che alcuni imprenditori tentino di farla franca va compreso e giustificato. Perché siamo davanti a una autentica lotta per la sopravvivenza che vede da un  lato potenti istituzioni pubbliche, dietro l’Epa c’è il governo americano, dall’altro, imprese, come la Fca,  che detengono forza economica ma non politica,  ma  dalla cui  esistenza dipende il destino di milioni di lavoratori.  Posti di lavoro che lo stato, se non a costo di rendere tutti più poveri, come nella tristemente nota esperienza sovietica,  non potrebbe mai creare e gestire, secondo criteri economicamente efficienti. Ergo, si dovrebbe  "lasciar fare, lasciar passare"...
Si dirà, ma la violazione delle regole da parte di un’impresa, non si ritorce contro le altre che le rispettano? Insomma, non è  una forma di  concorrenza sleale?  No.  Potrebbe essere considerata sleale, solo a patto  di ritenere (erroneamente)  che  il vero mercato sia quello esistente, che invece di leale non ha proprio nulla, perché incorniciato dentro le regole di una politica brigantesca che vuole depredare le imprese private, grandi o piccole che siano.
E da che mondo è mondo, a brigante,  brigante e mezzo.  Se si vuole sopravvivere.  

Carlo Gambescia        
                          

                         

Nessun commento:

Posta un commento