L’intervista al “Corriere della Sera”
Il mea culpa di Paolo Di Canio
Oggi
sul “Corriere della Sera” Paolo Di
Canio, intervistato da Marco Imarisio, cerca
in qualche in modo di mettere una toppa alla storia del tatuaggio mussoliniano. In particolare, crediamo, per essere reintegrato come opinionista televisivo (*).
La
nostra interpretazione, a prima vista, sembrerebbe collimare con quella (prossima ventura) dei duri e
puri (Di Canio-Badoglio, eccetera, eccetera). In realtà, comprendiamo le ragioni
economiche che probabilmente sono dietro la "ritrattazione" del ex
giocatore laziale. Economiche e sociologiche però: perché dietro il mea
culpa si nasconde anche quell' ansia di
approvazione sociale, che appartiene agli uomini e donne dello spettacolo, quasi sempre egoisti a metà, dal momento che il loro è un egoismo spurio, quale perenne apprensione prima di
arrivare, poi di rimanere sulla cresta dell’onda; un egoismo dimezzato, che ha bisogno del consenso degli altri, a
differenza dell’egoismo puro, che basta a se stesso, perché vive dell’amore per il lavoro creativo in quanto tale, un amore "privato", sconfinato, diremmo intimo, che prescinde dagli applausi come dai fischi.
Di
Canio, nell’intervista, giustamente condanna il fascismo, il delitto Matteotti, l’alleanza con Hitler, le leggi razziali. Sull'onda - ovviamente senza saperlo - di certa storiografia, portata a sottovalutare, non sempre
correttamente, la deriva nazista del
fascismo. Infatti, anche per Di Canio, il fascismo finisce nel 1938. Per lui, “Mussolini
rappresentava un’idea di società con regole, vere, che tutti rispettano.
L’amore e l’orgoglio patrio". Cose, aggiunge "che vorrei per il mio Paese e non vedo
neppure oggi”. Anche perché, continua, “ho creduto in una destra sociale, ho seguito le
varie svolte da Fiuggi in poi”. Ma, conclude, “non ho mai preso una tessera. Sono 17 anni
che non voto”.
L'impressione è che l’ex calciatore della Lazio, continui a credere, piuttosto
ingenuamente, in un fascismo
denazificato e, soprattutto, nell’opera demiurgica (come si diceva allora) e simbolicamente rappresentativa di Mussolini: il che spiega il tatuaggio. Certo,
nell’intervista, Di Canio liquida le sue scelte passate come sbagli. Rinnega anche i saluti
romani, derubricati a errori di gioventù: figli e nipoti degli "Irriducibili", i fascio-laziali, lo scomunicheranno, magari in lacrime, ma lo scomunicheranno... Però, ecco il punto, attribuire
a Mussolini - dittatore che, cinicamente,
introdusse le leggi antisemite, per dare un contentino a Hitler - il rispetto delle regole sociali, significa avere un’idea
alquanto approssimativa del concetto di regola…
Cosa
dire? Di Canio, ripetiamo, almeno mentalmente, è rimasto fascista, probabilmente fascista
mussoliniano, magari confuso. Il che rischia di penalizzarlo professionalmente, purtroppo per lui. Forse l'intervista andava evitata (come insegnano i buoni avvocati, nei processi mai produrre troppi atti, figurarsi perciò in quelli alle idee...). Però, chi scrive, ricorda che, nel
momento in cui Alleanza Nazionale del dopo Fiuggi era politicamente al top, molti imprenditori privati - quindi persone con ottimi studi e non figli di muratori del Quarticciolo come Di
Canio - facevano a gara, pur di essere favoriti al tavolo dei giochini di sottogoverno, nel vantarsi, con il ministro aennino di turno, di aver conservato la tessera del
nonno e del padre, tutti ri-go-ro-sa-men-te fascisti…
Lasciatelo lavorare Di Canio, signori di Sky… Siate liberali. Non sarà, per dirla con Manzoni, un povero untorello fascista... Il ragazzo (cinquant’anni…) non è
sicuramente peggiore degli imprenditori di cui sopra che continuano a macinare miliardi. E poi, lui, di calcio ne capisce.
Carlo Gambescia
Carlo, presta la tua abile penna al servizio di cause migliori. Vero che siamo nella società dell'immagine, ma questo opinionista tatuato che risponde al nome di Di Canio quale peso può mai avere nel mondo della cultura?
RispondiEliminaSono laziale... :-) Scherzi a parte: e infatti, consiglio che si occupi solo di calcio... Mi piacerebbe vederlo in coppia, con quel tale che "non è nato a Nazareth", ma a Piombino, Aldone Agroppi... Tipo Guareschi vs Pasolini. La "rabbia", però calcistica :-)
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