giovedì 12 gennaio 2017

Jobs Act, la sentenza della Consulta e la destra (che non c’è)
E continuano a farsi del male…



Oggi c’è chi brinda, però con il calice semipieno, alla sentenza della Corte Costituzionale sui quesiti referendari accolti (voucher e  responsabilità in solido appaltante-appaltatore). Chi festeggia? I sindacati, che però sull’articolo 18 (quesito respinto dalla Consulta) vogliono ricorrere alla Corte Europea.  Ovviamente,  la sinistra anti-Renzi a digiuno dall'avvento di Gentiloni.  E a qualche metro di distanza i  pentastellati con i caschi da motociclista in testa.   
Fin qui, insomma,  nulla  di nuovo.  Stupisce  il silenzio della destra nostrana:  “Libero”, “ Giornale"  e  media televisivi di famiglia  quasi nascondono la notizia.  In fondo, l’inammissibilità del quesito sul Job Act  poteva  essere vista  come una cosa positiva.  Liberale.  E invece no, perché c’era di mezzo l’odiato Renzi.   Berlusconi, quindi, per ora, tace.  Meloni pure.  E Salvini  sembra invece più scontento della Camusso. Per lui il bicchiere è semivuoto: addirittura,  in vista della prossima sentenza sull'Italicum,  vuole i presidi per la democrazia (lui, il razzista) davanti alla Consulta. Una collocazione, quella del leghista,  più dura ancora, a dire il vero,  della posizione dei pentastellati: entusiasti, come i lavoratori delle solfatare ottocentesche, ma con il casco da motociclista in testa, di poter votare, mascherati così,  contro “la schiavitù dei voucher” (testuale, Di Maio).
Che tragedia.  La Spagna del liberale  Rajoy corre  con un   Pil al 3 per cento annuo,  mentre in Italia il dibattito sembra rimasto ai  tempi  di Togliatti, Di Vittorio e Scelba. Preistoria politica e sindacale. Di conseguenza,  il Pil, prossimo allo zero è  la riprova  di un autolesionismo a tutto campo tipicamente italiano­.    
Ma quel che rappresenta, per così dire, la tragedia nella tragedia è che la destra insegue la sinistra: non quella di Renzi, che cerca di fare del suo meglio,  ma quella anti-Renzi che coltiva il vittimismo degli italiani, celebra il posto fisso e la “Costituzione più bella del mondo”. Insomma, sul piano economico,   Renzi e Gentiloni ( a proposito, auguri Presidente!) cercano di fare, pur con tutti  i limiti della cultura costruttivista di sinistra,  ciò che dovrebbe fare una destra liberale alla Rajoy. Che cosa? Il meno possibile.  In fondo, in Spagna, liberalizzazioni a parte del mercato del lavoro ( e qualche problemino "deontologico" con le banche, che però riguarda anche i socialisti),  negli ultimi anni  si  è continuato, e giustamente,  a "lasciar fare, lasciar passare",  prescindendo - cosa sommamente importante -   dal fatto che ci fosse o meno un governo in carica.    Ecco la ricetta spagnola:  governare il meno possibile. Inciso: in fondo anche Franco - forse però la spariamo grossa -  a parte le fisse sul comunismo, la sicurezza  interna, il rosario e la massoneria  - governava  il meno possibile.    
Ma una destra così non esiste in Italia.  Dal momento che l’attuale schieramento liberale,  che a dire vero si autodefinisce tale solo al quarto-quinto bicchiere di quello buono,  insegue, a parte una piccola aliquota politica (Alfano & Co., più democristiani che liberali) e contraddicendo i valori del liberalismo,  la sinistra  statalista degli  anti-Renzi e  il populismo fascistoide dei  Cinque Stelle. 
Come concludere? Che Berlusconi, Salvini e Meloni, continuano a farsi del male. E che, a malincuore, gli elettori  di destra e  liberali  saranno costretti a votare Renzi.

Carlo Gambescia


          

Nessun commento:

Posta un commento