Jobs Act, la sentenza della Consulta e
la destra (che non c’è)
E continuano a farsi del male…
Oggi
c’è chi brinda, però con il calice semipieno, alla sentenza della Corte
Costituzionale sui quesiti referendari accolti (voucher e responsabilità in solido
appaltante-appaltatore). Chi festeggia? I sindacati, che però sull’articolo 18 (quesito respinto dalla Consulta) vogliono
ricorrere alla Corte Europea. Ovviamente, la sinistra anti-Renzi a digiuno dall'avvento di Gentiloni. E a qualche metro di distanza i pentastellati con i caschi da motociclista in testa.
Fin qui, insomma, nulla di nuovo. Stupisce il silenzio della destra nostrana: “Libero”, “ Giornale" e media televisivi di famiglia quasi nascondono la notizia. In fondo, l’inammissibilità del quesito sul Job
Act poteva essere vista come una cosa positiva. Liberale. E
invece no, perché c’era di mezzo l’odiato Renzi. Berlusconi,
quindi, per ora, tace. Meloni pure. E Salvini sembra invece più scontento della Camusso. Per lui il bicchiere è semivuoto: addirittura, in vista della prossima sentenza sull'Italicum, vuole i presidi per la democrazia (lui, il razzista) davanti alla Consulta. Una collocazione, quella del leghista, più dura ancora, a dire il vero, della posizione dei pentastellati: entusiasti, come i lavoratori
delle solfatare ottocentesche, ma con il casco da motociclista in testa, di poter votare, mascherati così, contro “la schiavitù dei voucher”
(testuale, Di Maio).
Che
tragedia. La Spagna del liberale Rajoy corre con un Pil al
3 per cento annuo, mentre in Italia il
dibattito sembra rimasto ai tempi di Togliatti, Di Vittorio e Scelba. Preistoria
politica e sindacale. Di conseguenza, il Pil, prossimo allo zero è la riprova di un autolesionismo a tutto campo tipicamente
italiano.
Ma
quel che rappresenta, per così dire, la tragedia nella tragedia è che la destra
insegue la sinistra: non quella di Renzi, che cerca di fare del suo meglio, ma quella
anti-Renzi che coltiva il vittimismo degli italiani, celebra il posto fisso e
la “Costituzione più bella del mondo”. Insomma,
sul piano economico, Renzi e Gentiloni ( a proposito, auguri Presidente!)
cercano di fare, pur con tutti i limiti della cultura costruttivista di sinistra, ciò che dovrebbe
fare una destra liberale alla Rajoy. Che cosa? Il meno possibile. In fondo, in Spagna, liberalizzazioni a parte del mercato del lavoro ( e qualche problemino "deontologico" con le banche, che però riguarda anche i socialisti), negli ultimi anni si è continuato, e giustamente, a "lasciar fare, lasciar passare", prescindendo - cosa sommamente importante - dal fatto che ci fosse o meno un governo in carica. Ecco la ricetta spagnola: governare il meno possibile. Inciso: in fondo anche Franco - forse però la spariamo grossa - a parte le fisse sul comunismo, la sicurezza interna, il rosario e la massoneria - governava il meno possibile.
Ma una destra così non esiste in Italia. Dal momento che l’attuale
schieramento liberale, che a dire vero si autodefinisce tale solo al quarto-quinto bicchiere di quello buono, insegue, a parte una piccola aliquota politica (Alfano & Co., più democristiani che liberali) e contraddicendo i valori del liberalismo, la sinistra statalista degli anti-Renzi e il populismo fascistoide dei Cinque Stelle.
Come
concludere? Che Berlusconi, Salvini e Meloni, continuano a farsi del male. E
che, a malincuore, gli elettori di destra e liberali saranno costretti a
votare Renzi.
Carlo Gambescia
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