“Buy American, hire American”
Il mistero di Trump
Quel buy
American, hire American, confermato da Trump nel discorso
presidenziale, non promette nulla di buono.
Lungi da noi il considerare la
storia umana come una marcia vittoriosa del libero mercato, che di ostacoli
e nemici invece ne ha sempre
avuti parecchi. E tuttora non ha
vita facile.
Naturalmente, non esistono sistemi economici perfetti, ma solo meccanismi delicatissimi che di volta in volta si adattano meglio, seguendo percorsi invisibili, alle situazioni istituzionali. Di qui, l’imperdonabile stupidità
di coloro che continuano a parlare di “liberismo selvaggio”. Il
liberismo, di compromessi ne ha dovuti fare, e
tanti. Basterebbe studiare, con sguardo onesto, le effettive politiche dei cosiddetti
campioni del liberismo integrale, da Reagan alla Thatcher, sicuramente da ammirare, che però hanno dovuto mordere il freno, il primo sulla
spesa pubblica, la seconda sul sistema sanitario
Per
quale ragione, allora, lo slogan (per
ora) trumpiano, non promette nulla
di buono? Perché qualora
il neopresidente riuscisse a piegare il mondo delle imprese americane al
suo progetto di forsennato protezionismo, tanto per cominciare, visto che nel Vecchio Mondo c'è chi inneggia a Trump, danneggerebbe
tutte le imprese europee, le piccole in particolare che
esportano negli Stati Uniti, e che occupano in Europa 30 milioni di persone (*). Non osiamo
immaginare ciò che accadrebbe nel resto del mondo in termini di una riconversione
produttiva di centinaia di milioni posti di lavoro.
Per
non parlare dei contraccolpi politici: il protezionismo, in età moderna, come ben sanno gli storici dell’economia, ha sempre rappresentato l’anticamera delle guerre esterne e interne,
anche quando la protezione economica, nelle nazioni di secondo
capitalismo, risultava propizia ai processi di unificazione interna del
mercato e di protezione esterna delle industrie nascenti, come ben
teorizzato dal tedesco Friedrich List
nell’Ottocento (con seguaci anche negli Usa). E come del resto mostra la durezza dei processi politico-militari di unificazione o riunificazione italiana,
germanica e in particolare statunitense. Dove il Sud degli Stati, Uniti, i Confederati, in quando esportatori, erano per la più ampia libertà di commercio,
seppure fondata su una manodopera di tipo schiavistico. Mentre il Nord,
l’Unione, protezionista, si preoccupava delle industrie nascenti.
Questo
ovviamente, fin quando, l’economia americana, tra l’Ottocento e il
Novecento, grazie alla rivoluzione dei trasporti e dei costi (il costo della manodopera americana, beneficiando dei flussi migratori, rimase per decenni altamente competitivo rispetto al resto del mondo), dette il via al “Secolo Americano”.
Ora
però, con Trump, siamo davanti a una scelta reazionaria che non ha alcuna giustificazione economica (forse politica, ma è un'altra storia...), dal momento che oggi gli Stati Uniti sono un’economia sviluppata, diversificata e aperta al mondo. Trump sembra
voler tornare all’Ottocento: al mito
di una frontiera interna da conquistare e difendere, che però non
esiste più da un pezzo, nonché a un
protezionismo del lavoro americano che non ha precedenti, se non le
presidenze (novecentesche) dei due Roosevelt: età, in particolare quella di Franklin Delano, avvicinata
da alcuni storici, agli esperimenti sociali dei totalitarismi. Il che è tutto un programma...
Pertanto,
l’opposizione a Trump, quella reale, non verrà tanto dal folcloristico mondo femminista e
del radicalismo politico, che in fondo ( si pensi alle tesi di Bernie Sanders) condivide il progetto
protezionista del neopresidente. Ma verrà dal mondo dell’economia, delle grandi
imprese, quelle che esportano e che hanno bisogno di un costo del lavoro competitivo, di mobilità lavorativa e
di mercati aperti. Ecco i fattori che hanno
fatto grande l’America. Non il protezionismo evocato, fuori tempo massimo, da Trump.
Pertanto se il neopresidente metterà in atto il suo buy
American, hire American, non potrà
assolutamente favorire alcuna vera ripartenza. Anzi, il rischio
è di paralizzare l’economia
americana, improvvisamente costretta a ripiegarsi su una domanda interna, da far
crescere artificialmente, come un prodotto di serra, puntando sullo sviluppo della spesa pubblica (per sostegni alle assunzioni all american e alla costruzione di opere infrastrutturali).
Come
tutto questo possa conciliarsi con i vistosi tagli fiscali promessi da Trump e con un'economia provinciale ripiegata su se stessa, resta un mistero. Il mistero di Trump.
Carlo Gambescia
(*) Si veda qui: https://ec.europa.eu/italy/news/20161216_esportazioni_usa_it
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