Le dichiarazioni “populiste” di Theresa May al Forum di Davos
Povera Margaret Thatcher...
Sembra
che Theresa May, la premier britannica, aspiri a trasformarsi nelle fotocopia made England di Donald Trump (*). Anche il premier britannico vuole che al “centro della politica tornino le
preoccupazioni del popolo”.
Che
dire? Intanto, povera Margaret Thatcher. Un poco di pazienza e il lettore
capirà perché. Dopo di che, va subito evidenziato che le “preoccupazioni del popolo” sono già al centro della politica”. E da un pezzo. In tutto il mondo occidentale, esistono istituzioni,
che si chiamano Parlamenti, liberamente eletti dal popolo. Più al centro di così.
Purtroppo
il discorso è un altro. Oggi, la parola popolo
- un popolo che non ha mai goduto di un tenore di vita e di tanta libertà come ora - viene usata, e artatamente, o da politici inquietanti, come Trump ad
esempio, o da forze politiche che odiano, e da sempre, il sistema politico, sociale ed economico
esistente, come ad esempio i lepenisti in Francia, Podemos in Spagna, il
Movimento Cinque Stelle in Italia, i neonazisti in Austria e Germania, e altre
forze politiche di stampo razzista in
Europa. Quindi la Signora May, prima di parlare dovrebbe imparare a contare fino a tre.
L’etichetta
politica del populismo - definizione, tra l’altro, apprezzata dalle forze
politiche di cui sopra - al momento
serve a a identificare personaggi che si riempiono la bocca della
parola popolo, come Trump, pronti però a
circondarsi di miliardari, o che
sposano la causa razzista del popolo monocolore come Salvini in Italia.
Purtroppo
la tendenza politica, oggi prevalente, è di
vezzeggiare un popolo che invece è stato fin
troppo viziato, che finora, a differenza
di quel che si tenta di far credere, non ha perso
nulla dei propri beni, ma proprio nulla, e che per contro ha solo
paura di perdere ciò che ha conseguito (in termini di beni addizionali o posizionali) grazie ai successi, incomparabili,
di un sistema economico: quello capitalistico. Che invece, stupidamente, viene messo sul banco degli imputati dai nuovi amici del popolo per guadagnare il
consenso di invidiosi, scontenti,
falliti, duri e puri (dalle nostalgie totalitarie), agitatori e “ribelli” di professione ( quelli dell’andiamo a
comandare, per dirla con Fabio Rovazzi). Dunque, un mezzo non un fine. E, come di regola, per conquistare il potere. Il che potrebbe essere comprensibile, dal punto di vista della dinamica del politico, se non fosse che l'onda populista, come uno tsunami, rischia di distruggere tutto.
Si pensi ai topos, o luoghi comuni populisti: pochi e confusi. E pericolosi probabilmente proprio
perché promettono tutto e il contrario
di tutto, eccitando i riflessi carnivori
dei creduloni e dei potenziali e crudeli re per una notte.
Si
evoca, “promettendo regole” (da implementare non si sa bene come), un capitalismo privo di rischi (che non è mai esistito: il rischio è il sale di un economia
basata sulla libera circolazione dei capitali, degli uomini e dei beni); si
inneggia alla bontà del protezionismo (che ha sempre condotto a guerre, povertà e parassitismo economico); si indicano come nemiche del popolo le aristocrazie economiche
private (fingendo di dimenticare i clamorosi fallimenti delle
aristocrazie pubbliche); si celebra la redistribuzione (sorvolando
sul fatto che per redistribuire bisogna prima produrre, e che in ambito
produttivo l’economia di mercato rimane, fino a prova contraria, il sistema più efficiente).
Insomma,
il populista semplifica. Tutto e subito: faremo, ordineremo, chiuderemo,
obbligheremo, imporremo. Ecco i verbi più usati dagli amici del popolo. Che ignorano
o fanno finta di ignorare la complessità dei rapporti politici, economici e sociali. E le conseguenze potrebbero essere devastanti.
La
cosa più preoccupante, infine, è l’atteggiamento assunto dai politici liberali e riformisti. Si pensi, ad esempio, ai cedimenti populisti di Renzi in occasione
del referendum costituzionale, o ancora peggio a Theresa May, come dicevamo all’inizio,
che lusinga quel popolo che Margaret
Thatcher, pur non favorevole all’Europa, aveva sfidato, puntando non sul fantasma della paura collettiva oggi agitato dai nuovi tribuni della plebe, ma
sulla la libertà economica. Senza la
quale, mai dimenticarlo, non esiste libertà politica. Ma solo la sottomissione dello schiavo verso la mano visibile, di regola dello stato, che lo nutre.
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