Riflessioni
Padri… figli… e…
di Giuliano Borghi
Raffaello, "Enea trasporta sulle spalle il padre
Anchise", (Musei Vaticani) |
Sono innumerevoli gli
studi sulle cause che hanno indotto quei vari processi di dissoluzione che
percorrono da tempo la società occidentale, e in particolare quella europea.
Processi che hanno finito per minare le fondamenta primarie della società, tra
le altre, proprio la famiglia e il matrimonio. Non è questa l’occasione per
richiamare tali studi, perché richiederebbe un tempo e uno spazio di non poco
conto. Si può forse delineare in tratti brevi come stanno le cose al riguardo,
per quello che esse risaltano con una tale evidenza da far correre il pericolo
dell’ovvietà al discorso che voglia dirle.
Nella stragrande
maggioranza dei casi la famiglia dei tempi attuali si presenta come una
istituzione determinata quasi esclusivamente da fattori conformistici, utilitari,
al massimo sentimentali, senza più la vigenza del suo fulcro fondamentale
costituito dalla auctoritas, in primo
luogo spirituale, del padre. Il pater,
cioè, non è più il “signore”, “sovrano”, come pretende l’originaria etimologia
del nome, per quello che è privo proprio di quella forza che fa crescere colui
che da essa è investito, potenza sulla quale si registra per definizione l’auctoritas. A questa stregua una delle principali finalità della famiglia, la
procreazione, si riduce ad una mera, opaca continuazione di un sangue, che non
ha più come controparte la continuità più essenziale di una influenza
spirituale.
D’altra parte come
potrebbe essere altrimenti e la famiglia come potrebbe continuare ad avere un
saldo centro che la tenga assieme, se il suo capo naturale, il padre, oggi è
spesso da essa estraneo, persino fisicamente, preso come è nel meccanicismo
pratico della vita materiale? Che autorità può rivestire, allora, il padre se
oggi egli si riduce ad una macchina per far denaro, al professionista tutto preso
dai suoi affari contingenti? Questo vale anche per la moglie, per la madre, quando dedica il suo tempo maggiore
al mondo delle professioni e del lavoro. Ancor meno può giovare al clima
interno della famiglia e ad una positiva influenza sui figli, l’altra
alternativa della donna moderna, la “signora”, cioè, che si dà ad una esistenza
frivola e mondana. Assenze e vuoti nella famiglia, un “mondo”, oramai, “senza
cuore” che, per quanto in casi minoritari, hanno finito per creare una paradossale
figura di figlio, quella di un orfano di genitori vivi.
Al decadere del
prestigio del padre ha fatto riscontro il distacco dei figli, lo iato sempre
più netto e crudo fra nuove e vecchie generazioni, la rottura della continuità
spirituale tra le generazioni, tra padri e figli. Il distacco, la estraneità
degli uni dagli altri è innegabile e di crescenti proporzioni, propiziati anche
dal ritmo sempre più rapido e disordinato dell’esistenza. I figli, maschi o
femmine che siano, desiderano che i genitori non si intromettano nella loro
vita, perché “non la capiscono”, anche quando spesso non c’è proprio niente da
capire, e pretendono che “pensino ai fatti loro”. In una tale situazione non è
più solo una battuta umoristica quella che per i figli “moderni”, i genitori
sono “un male inevitabile”.
***
Dato tale stato di
fatto, quale pur ne sia la causa principale, se questa si connetta soprattutto
ai figli o ai genitori, la stessa procreazione assume un carattere assurdo e
non può continuare a valere come una delle principali ragioni d’essere della
famiglia. Solo la forza di inerzia, le convenzioni, la convenienza pratica, in
un mediocre regime di accomodamenti è quello al quale in tantissimi casi oggi
la famiglia deve il suo sussistere.
In verità, l’unità
familiare può mantenersi salda, può sussistere, solo quando ha forza e vigenza un
modo di sentire sovra-personale, tanto da far passare in seconda linea i fatti
semplicemente individuali. Nella temperie individualistica della società
odierna, al contrario, è ben difficile trovare una giustificazione, una valenza
superiore che convinca a mantenere l’unità familiare quando l’uomo e la donna
“non vanno d’accordo” e il sentimento, oppure il sesso, li conducano a nuove
scelte. Da qui il fenomeno tutto contemporaneo del moltiplicarsi dei cosiddetti
matrimoni falliti e il correlato regime dei divorzi e delle separazioni dei
coniugi. L’indissolubilità del matrimonio-rito, che nell’area cattolica
dovrebbe tutelare la famiglia, non riguarda oramai che la facciata, e il senso morale
non si preoccupa affatto che il matrimonio sia effettivamente indissolubile, Ad
esso importa solo fare come se fosse tale. Che uomini e donne, una volta
ufficialmente sposati, facciano più o meno quello che vogliono, che fingano,
che si tradiscano o semplicemente si sopportino, che restino insieme per
convenienza tra le rovine della famiglia, poco importa. La morale è salva e si
sostiene che la famiglia resti il fondamento della società basta che si
condanni il divorzio e si accetti, nei fatti, quella sanzione sociale che
corrisponde al matrimonio. L’ipocrisia sussiste anche in quelle società laiche
dove il divorzio è ammesso senza opposizioni, perché si esige che egualmente si
sacrifichi all’altare del conformismo sociale, quando uomini e donne si
separino e si risposino in ricorrenza per i motivi più futili e ridicoli, al
punto tale che il matrimonio finisce per essere poco più di una vernice
puritana per un esercizio di libero amore, quando non anche di meretricio
legalizzato.
***
Già un grande scrittore
cattolico, ha parlato all’inizio del Novecento dell’essere padri come della grande avventura dell’uomo moderno, data
l’assoluta incertezza di quello che possono essere i figli, essendo improbabile
che il figlio riceva dal padre qualcosa di più della semplice “vita”. In via di
principio, a dire il vero, si dovrebbe assumere che la qualità non solo fisica,
ma anche spirituale, del padre continui ad essere presente nell’uomo, che in
potenza rimane sempre quello che per natura è, e continui a fluire seppure in
guisa carsica. E’ vero anche, però, che potrebbe trovarsi paralizzata per la
presenza di una materia refrattaria e dissociata nelle nuove generazioni.
A tale proposito appare problematico quello
che si può raccogliere dalle generazioni più recenti, in particolar modo da
quelle che con nomi fantasiosi da sociologi e storici sono state classificate
come generazione X, segnata dal
nichilismo e dal sentirsi una generazione perduta, oppure generazione Y, oppure
Generation Golf, quella che ha vissuto negli anni Ottanta con un certo
benessere, oppure Shampoo generation, dove sono le madri
contestatrici e i figli conformisti, o ancora, Fun generation, Generation me, Generation
nè-nè, quella che rifiuta tanto lo studio, quanto il lavoro. E così via…
Per continuare nel tempo
ogni cultura ha bisogno di trasmettere attraverso le generazioni lingua,
passioni, idee generali entro le quali dar senso alle esperienze, immagini di
comportamento per orientare con una minima sicurezza.
Può confortare il
richiamo di una veramente bella immagine di Omero, quando nell’Iliade scrive: Come è la stirpe delle foglie, così è anche
quella degli uomini. Le foglie, alcune il vento ne versa a terra, altre il
bosco rigoglioso ne genera, quando giunge la stagione della primavera: così una
stirpe di uomini nasce, un’altra si estingue.
Per quanto drammatiche
possano essere le condizione attuali, queste, tuttavia, non hanno carattere
alcuno di fatalità. Padri non si nasce, si diventa. Figli si nasce, ma questa
ragione, ovviamente necessaria, non è però sufficiente. Anche i figli devono
diventare tali. Non è certamente possibile pensare che si possa giungere ad un
cambiamento con misure esterne. Il “nemico è dentro di noi”e per vincerlo
occorre propiziare un mutamento di cuore
e sulle sue scansioni registrare un evocativo modello di relazione tra padri e
figli, per il quale l’identità e la storia degli uni si incontra, si scontra, si
costruisce, si decostruisce con l’identità e la storia degli altri, godendo
della densità spirituale che dona la triplice circolarità del dare-ricevere-restituire.
Giuliano Borghi
Giuliano Borghi, docente di filosofia
politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola,
Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi. Si
occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto
di vista dell'antropologia filosofica.
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