Il
libro della settimana: Armando Ermini, La
questione maschile oggi, Edizioni Settecolori, Lamezia Terme 2014, “I Libri
del Covile”, collana diretta da Stefano Borselli, pp. 208, Euro 14.00.
http://www.settecolori.it/wordpress/prodotto/armando-ermini-questione-maschile-oggi/ |
A dire il vero, il termine “questione” ci
inquieta. Soprattutto quando accompagnato da un
qualificativo. Si pensi solo alla questione ebraica… E ai suoi tremendi sviluppi.
Naturalmente, esistono anche
questioni innocue (fino a un
certo punto): fiscale, giudiziaria, eccetera. Comunque sia, il termine possiede una
indubitabile valenza controversistica: da una parte c’è chi la pone (la questione),
dall’altra chi vi si oppone o nega. E giù botte.
Perciò non è facile, una volta “posto” il problema,
costruirvi un libro sopra e al tempo stesso mantenere la calma e soprattutto
perseguire l’oggettività dello studioso serio. Sotto questo aspetto il
denso libretto ( a proposito complimenti per
l’elegante veste grafica) di Armando Ermini, La questione maschile oggi (Edizioni Settecolori) è veramente
esemplare. Infatti, in poco più di duecento pagine si
fa il punto, senza fare sconti, neppure agli uomini (si vedano le pagine dedicate ai progressisti), sulla caduta e decadenza
del maschio moderno. Inciso: maschi, femmine, coppie, siamo davanti a una
terminologia di tipo zoologico
(per dirla con Augusto Del Noce). Un segno dei tempi. Modernità in discussione?
Forse, ma con giudizio.
Veniamo al libro di Ermini. Innanzitutto, si tratta
di un lavoro ben costruito, organico suddiviso in tre parti ( più
Prologo, Conclusioni e nutrita e utile Bibliografia). Procediamo con
ordine.
Si apre con una “panoramica”.
Sono passati in rassegna i
movimenti maschili pro e contro il femminismo: progressisti (come
filone culturale che giulivamente considera salutari la crisi maschile e l’autocastrazione
psicologica a puntate), antifemministi (il sito “Anti-feminist on line Journal”, una
sorta di fortilizio lacustre costruito sui pali dell’ etologia umana profonda),
liberali (“Pari diritti per gli uomini”, gruppo che rivendica lo stato
neutrale); radicali, nel senso di fondamentalisti, ripartiti in relazione
all’approccio: decostruttivista, con tutti i pregi e i difetti di una sociologia acefala del mondo ("Uomini 3000"); neomarxista rigoroso, talvolta pignolo, ma con una sua particolare ariosità storica (“Uomini
Beta”); antropologico, eroico e un pizzico tardo romantico (“Maschi
Selvatici”).
Nella seconda parte, quantitativamente più lunga rispetto
alle altre (più di cento pagine), sono affrontati e confutati gli addebiti o argomenti specifici, di regola impugnati come clave dal pensiero femminista. Citiamo senza seguire un ordine di esposizione preciso (e magari dimenticando qualcosa): la critica alla
sessualità maschile su base biologica, sorta di dolorosa castrazione postuma;
il programmatico rifiuto della famiglia patriarcale presentata come
l’ ultima Thule del macho zotico; l’attacco alla maschilità, sempre e
comunque portatrice sana di violenza. Spesso la ricostruzione
interferisce con la critica ( e
viceversa), rendendo la lettura meno agevole. Tuttavia, oggettivamente, non era
(ed è) proprio facile sbrogliare la matassa. Quindi, assoluzione con formula piena.
La terza parte, probabilmente la più ghiotta, si
occupa della “rappresentazione del maschile”: di come viene
“narrato” a sinistra ( tutta o quasi dalla parte del determinismo
culturale della Gender Theory), a destra (confusa, fregnacciara, per
dirla in romanesco, e in ritirata
strategica, non tattica) e dalla Chiesa (preoccupata, compunta ma di fatto
cerchiobottista).
Quali le conclusioni di Ermini? Il moderno, oltre certi limiti, come quello della giusta
rivendicazione della parità formale, può diventare autodistruttivo. Può… Perché
Ermini non è uno spengleriano di ritorno. Sembra, infatti, apprezzare, le conquiste di
libertà dei moderni. Indietro non si può
tornare. Come Tocqueville, Ermini teme il giacobinismo centralista (delle femministe aiutate da uno stato schmittianamente motorizzato), ma sa bene, che è con il Minotauro Femminista (metà donna, metà stato) che noi moderni dobbiamo
fare i conti, per riprendere, modificandola, un'espressione di Bertrand de Jouvenel sullo strapotere dello stato, vero dio mortale. Insomma, non esistono vie di fuga, se non quella di ridurne grandemente i poteri. Ma come? Sul punto Ermini non sembra soffermarsi più di tanto. Salvo mostrare un’intelligente moderazione cui però affianca un’importante consapevolezza. Quale? Della necessità di recuperare, sulla scia delle intuizioni di
Risé (ma non solo), l’ assertività maschile, Cosa si intende
con il termine? La virile forza costruttrice, da “asserire” senza alcun
timore in ogni situazione. Per dirla con i nostri nonni: l’ ”uomo
deve essere uomo e deve portare i pantaloni”. E le donne? Anche - ci sembra di capire - ma senza esagerare.
Va detto infine che Ermini, in qualche misura, sembra brillantemente
riproporre le tesi di quella
sociologia che studia gli aggregati umani nelle forme più
elementari e periferiche: l’abitante della favela, il senzatetto, il girovago (per inciso, un pensiero “orecchiato”, ma in
chiave movimentista, da Latouche a proposito delle sue
elucubrazioni decresciste). Nel senso, per tornare a Ermini,
che in una società, dove il maschio sembra in ritirata,
l’assertività, in quanto forza sociale
sotterranea, prima o poi, finisce per tornare alla luce, manifestandosi negli interstizi: tra i marginali e dove meno
ci si aspetta di trovarla. Ne parla nella chiusa, sociologicamente perfetta. Si tratta di un passo molto bello che merita essere
citato per esteso:
“Oltre alle parole alle teorizzazioni e le
analisi più o meno raffinate sono convinto che basti, per rintracciare i
segni in positivo del maschile, guardarsi intorno con occhi attenti, anche
oggi. Il barbone che salva le ragazze dallo stupro e si prende qualche
coltellata, il bagnante che affoga per salvare due bambini, il passante che
salva una donna dall’incendio della sua auto o dal morso micidiale dei due
rottweiler, lo zingaro che muore per salvare la giovane moglie. Piccoli
episodi di cronaca, uomini, normali, magari emarginati ma maestri […] . Il dono
maschile non significa affatto vocazione al sacrificio per il
sacrificio […] . Non significa neanche , anzi sarebbe l’opposto, acconsentire,
per piaggeria o malintesa cavalleria, a qualsiasi cosa dicano o facciano le
donne. Abbiamo detto che l’assertività è maschile, e dunque si tratta di
esercitarla, non contro ma per . Per se stessi consci della
propria insostituibilità, per i figli che hanno bisogno disperato di noi, per
le donne che necessitano di una sponda forte e salda che sappia tracciare anche
per loro il quadro entro cui poter esercitare la propria femminilità e
offrirla, anch’esse, a vantaggio di sé e degli altri, infine per la comunità
tutta, che senza un maschile degno di questo nome è destinata a insterilirsi”
(pp. 197-198, corsivi nel testo).
Rileggendoci, notiamo, che la lettura del
libro ha avuto su di noi anche una ricaduta emotiva. Un effetto
"euforizzante". Probabilmente è la forza della ragione, quando ben esercitata. E la recensione
ne ha risentito, perché sbilanciata, ci sembra, dalla parte degli uomini. Che dire? Evidentemente, Ermini non sbaglia: le
vie dell’assertività sono infinite. Meglio così.
Carlo Gambescia
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