giovedì 27 novembre 2014

Il libro della settimana: Armando Ermini, La questione maschile oggi, Edizioni Settecolori, Lamezia Terme 2014, “I Libri del Covile”, collana diretta da Stefano Borselli,  pp. 208, Euro 14.00. 


http://www.settecolori.it/wordpress/prodotto/armando-ermini-questione-maschile-oggi/


A dire il vero,  il termine “questione”  ci inquieta. Soprattutto quando  accompagnato  da un qualificativo.  Si pensi solo alla questione ebraica… E ai suoi tremendi sviluppi.  Naturalmente,  esistono anche  questioni  innocue (fino a un certo punto): fiscale, giudiziaria, eccetera.  Comunque sia,  il termine possiede una indubitabile valenza controversistica: da una parte c’è chi la pone (la questione), dall’altra chi vi si oppone o nega. E giù botte. 
Perciò non è facile, una volta “posto” il problema, costruirvi un libro sopra e al tempo stesso mantenere la calma e soprattutto perseguire l’oggettività dello studioso serio. Sotto questo aspetto  il  denso libretto   ( a proposito  complimenti per l’elegante veste grafica) di Armando Ermini, La questione maschile oggi (Edizioni Settecolori) è veramente esemplare.   Infatti, in poco più  di duecento pagine si  fa il punto, senza fare sconti, neppure agli uomini (si vedano  le pagine  dedicate ai  progressisti), sulla  caduta e decadenza del maschio moderno. Inciso: maschi, femmine, coppie, siamo davanti a una  terminologia di  tipo zoologico  (per dirla con Augusto Del Noce). Un segno dei tempi. Modernità in discussione?  Forse, ma con giudizio. 
Veniamo al libro di Ermini. Innanzitutto,  si tratta di un lavoro ben costruito, organico  suddiviso  in tre parti ( più Prologo, Conclusioni e nutrita e utile Bibliografia). Procediamo con ordine. 
Si apre con una   “panoramica”.  Sono  passati in rassegna i movimenti maschili  pro e contro il femminismo: progressisti (come filone culturale  che giulivamente considera salutari  la crisi maschile e l’autocastrazione psicologica a puntate), antifemministi (il sito “Anti-feminist on line Journal”, una sorta di fortilizio lacustre costruito sui pali dell’ etologia umana profonda), liberali (“Pari diritti per gli uomini”, gruppo che rivendica  lo stato neutrale); radicali, nel senso di fondamentalisti,  ripartiti in relazione all’approccio: decostruttivista, con tutti i pregi e i difetti di una sociologia acefala del mondo ("Uomini 3000"); neomarxista rigoroso, talvolta pignolo,  ma con una sua particolare  ariosità storica (“Uomini Beta”); antropologico, eroico e un pizzico tardo romantico (“Maschi Selvatici”).
Nella seconda parte, quantitativamente più lunga rispetto alle altre (più di cento pagine), sono affrontati e confutati gli addebiti o  argomenti  specifici, di regola  impugnati come clave dal pensiero femminista. Citiamo senza seguire un ordine di esposizione preciso (e magari dimenticando qualcosa): la critica  alla sessualità maschile su base biologica, sorta di dolorosa castrazione postuma;  il programmatico rifiuto della famiglia patriarcale  presentata come l’ ultima Thule del macho zotico;  l’attacco alla  maschilità, sempre e comunque portatrice sana di violenza.  Spesso la  ricostruzione interferisce con  la critica ( e viceversa), rendendo la lettura meno agevole. Tuttavia, oggettivamente, non era (ed è) proprio facile sbrogliare la matassa. Quindi, assoluzione con formula piena.
La terza parte,  probabilmente la più ghiotta, si occupa della “rappresentazione del maschile”: di come  viene  “narrato” a sinistra ( tutta o quasi  dalla parte del determinismo culturale della Gender Theory),  a destra (confusa, fregnacciara, per dirla in romanesco,  e in ritirata strategica, non tattica) e dalla Chiesa (preoccupata, compunta ma di fatto cerchiobottista).
Quali le conclusioni di Ermini? Il moderno,  oltre certi limiti, come quello della giusta rivendicazione della parità formale, può diventare autodistruttivo. Può… Perché Ermini non è uno spengleriano di ritorno. Sembra, infatti, apprezzare, le conquiste di libertà dei moderni.  Indietro non si può tornare.  Come Tocqueville, Ermini  teme il giacobinismo centralista (delle femministe aiutate da uno stato schmittianamente motorizzato),  ma sa bene,  che  è con  il Minotauro Femminista (metà donna, metà stato) che noi moderni dobbiamo fare i conti, per riprendere, modificandola,  un'espressione di  Bertrand de Jouvenel sullo strapotere dello stato, vero dio mortale.  Insomma,  non esistono vie di fuga, se non quella di ridurne grandemente i poteri. Ma come? Sul punto Ermini non sembra  soffermarsi più di tanto.  Salvo mostrare un’intelligente moderazione cui però affianca un’importante consapevolezza.  Quale? Della necessità di  recuperare, sulla scia delle intuizioni di Risé (ma non solo),  l’ assertività maschile,  Cosa si intende con il termine? La  virile forza costruttrice, da “asserire” senza alcun timore in ogni situazione.  Per dirla con i nostri nonni: l’ ”uomo deve  essere uomo e deve portare i pantaloni”.  E le donne? Anche -  ci sembra di capire -  ma senza  esagerare.  
Va detto infine che Ermini, in qualche misura, sembra brillantemente  riproporre le tesi di  quella sociologia che studia gli aggregati umani nelle  forme  più elementari e periferiche: l’abitante della favela,  il senzatetto, il girovago  (per inciso, un pensiero “orecchiato”, ma in chiave movimentista, da Latouche a proposito delle sue elucubrazioni decresciste).  Nel senso, per tornare a Ermini,  che  in una società, dove il maschio sembra in ritirata, l’assertività,  in quanto forza sociale sotterranea, prima o poi, finisce per tornare alla luce,  manifestandosi  negli interstizi: tra i marginali e  dove meno ci si aspetta di trovarla. Ne parla nella chiusa, sociologicamente perfetta.  Si tratta di  un  passo molto bello che merita essere citato per esteso:

“Oltre alle parole alle teorizzazioni e le analisi più o meno raffinate sono convinto che basti, per rintracciare  i segni in positivo del maschile, guardarsi intorno con occhi attenti, anche oggi. Il barbone che salva le ragazze dallo stupro e si prende qualche coltellata, il bagnante che affoga per salvare due bambini, il passante che salva una donna dall’incendio della sua auto o dal morso micidiale dei due rottweiler, lo zingaro che  muore per salvare la giovane moglie. Piccoli episodi di cronaca, uomini, normali, magari emarginati ma maestri […] . Il dono maschile  non significa affatto  vocazione al sacrificio per il sacrificio […] . Non significa neanche , anzi sarebbe l’opposto, acconsentire, per piaggeria o malintesa cavalleria, a qualsiasi cosa dicano o facciano le donne. Abbiamo detto che l’assertività è maschile, e dunque si tratta di esercitarla, non contro ma per  . Per se stessi consci della propria insostituibilità, per i figli che hanno bisogno disperato di noi, per le donne che necessitano di una sponda forte e salda che sappia tracciare anche per loro il quadro entro  cui poter esercitare la propria femminilità e offrirla, anch’esse, a vantaggio di sé e degli altri, infine per la comunità tutta, che senza un maschile degno di questo nome è destinata a insterilirsi” (pp. 197-198, corsivi nel testo).

Rileggendoci, notiamo, che la lettura del  libro ha avuto su di noi anche una ricaduta emotiva. Un effetto "euforizzante". Probabilmente è la forza della ragione,  quando ben esercitata. E  la recensione ne ha risentito, perché sbilanciata, ci sembra, dalla parte degli uomini.  Che dire? Evidentemente, Ermini non sbaglia: le vie dell’assertività sono infinite.  Meglio così. 

Carlo Gambescia 

Nessun commento:

Posta un commento