Il
libro della settimana: Florence Faucher, Patrick le Galès, L’esperienza del New Labour. Un’analisi critica della politica e delle politiche, pref. di Roberto Biorcio e Tommaso Vitale, Postfazione di
Fabrizio Barca, Franco Angeli, Milano
2014, pp. 192, Euro 25,00.
Tre
sono gli eventi politici che hanno influito sul destino della sinistra europea
negli ultimi trenta/trentacinque anni: il ciclone Thatcher, la rovinosa
caduta del Muro, la svolta di
Blair. Ovviamente sullo sfondo, di un altro gigantesco inglobante
politico-economico: l’internazionalizzazione dei mercati.
A
queste sfide, in Italia si è risposto con la furba retorica del cambiamento: del nuovo che avanza, senza arrivare mai davvero. In perfetto
stile gattopardo, a dire il vero anche a destra. Pertanto bisogna fare attenzione nel fare paragoni tra l’esperimento Renzi, per ora solo
agli inizi, con il "pezzetto" di storia britannica scritto da Blair e Gordon, "fratelli coltelli"(1997-2010). Però, detto questo, la domanda incombe più di prima: Renzi è il Blair italiano?
Per
rispondere, innanzitutto, ci deve
documentare meglio sul blairismo. E un
buon libro in argomento è quello, ancora fresco di stampa, scritto da Florence Faucher, Patrick le Galès, L’esperienza del New Labour. Un’analisi
critica delle politiche pubbliche, politologi francesi; testo opportunamente uscito per i tipi di Franco
Angeli.
Ben
scritto, ottimamente tradotto, L’esperienza del New Labour si suddivide in cinque densi capitoli: sul
modello politico-economico britannico, ancora stregato, dopo la Thatcher , dalle
politiche dell’offerta (Blair e Gordon inclusi); sulla rivoluzione economico-antropologica realizzata dal thatcherismo e recepita dal New Labour ( dalla macroeconomia alla microeconomia); sull’eterogenesi dei fini
istituzionali “newlabouristi” in chiave - crediamo -
più tocquevilliana che weberiana (il centralismo come esito della
decentralizzazione); sulla trasformazione del partito laburista in impresa comunicativa (distante dai sindacati e neppure vicina al celebrato cittadino consumatore); sulla sfida
perduta nella democratizzazione della Gran Bretagna post-thatcheriana ( confermatasi, nonostante le promesse di Blair e Gordon, società molto dura verso i meno abbienti).
Si
avverte che il cuore degli autori (come
di prefatori e postprefatori),
nonostante gli sforzi, batte a sinistra, diciamo, se ci si passa la battuta, sinistra non decaffeinata. Come qui: «Il
New Labour è andato al governo come partito di centrosinistra. Con gli anni si
è spostato in modo decisivo verso il centrodestra. Non è più un partito
socialdemocratico. Il linguaggio dell’uguaglianza è scomparso nella ricerca di un ideale di società “ in
cui non tutti finiscono con l’avere successo… ma tutti hanno la stessa
opportunità di farcela » (p. 178).
E che tipo di uguaglianza la sinistra dovrebbe propugnare? Trasformare tutti in persone di successo?
O tramutare tutti in persone di non successo? In realtà, l’uguaglianza è sempre e solo uguaglianza davanti alla legge. Pari opportunità per tutti, dopo di che ognuno per sé.
L'accento sulla rivoluzione (dell'eguaglianza) tradita, ricorda quello tutto ottocentesco dell’ ”eguaglianza delle
fortune”: proclama urlato nel 1830 e nel
1870 sulle barricate parigine, tra colpi di fucile e cannonate. Roba
vecchia, da "Quarto Stato" di Pelizza da Volpedo... Che ha un suo fascino, ma solo al cinema. Una visione arcaica, superata nei fatti dall’integrazione - piaccia
o meno - della famigerata
“classe operaia” nella società dei consumi. Un grido battaglia piuttosto che una issue politologica, pericoloso per ogni società libera. Mai dimenticarlo.
In
realtà, il blairismo, come giustamente
notano Faucher e Le Galès, continua a vedere
nello stato un «“fornitore” di servizi pubblici attraverso
le regole del gioco che esso stesso inventa e modifica, ovvero
uno Stato al tempo stesso attivista e regolatore» (p. 175). Il che è decisamente di sinistra. Certo,
parliamo di una sinistra moderna, non marxista, in grado di puntare sullo stimolo più che
sull’intervento diretto; sul principio di affermazione individuale piuttosto che
sulla lotta di classe; sull’idea, più volte sottolineata da Blair, di sostegno ai mercati aperti, quale principale fonte di ricchezza e progresso per tutti, belli e brutti.
In
Italia, per tornare al quesito iniziale, Renzi sembra credere, più o meno, nelle stesse idee. Tuttavia lo Stivale non
mai avuto una signora Thatcher, bensì Berlusconi, né un
partito laburista dalle tradizioni democratiche, ma il Pci del "centralismo democratico". Perciò l’ex Sindaco di Firenze ha davanti a sé liberali immaginari e ferrivecchi del partito comunista. La vediamo dura.
Carlo Gambescia
Non trascurerei fra gli eventi che hanno influito sulla crisi delle sinistre la cosiddetta rivoluzione digitale che, sommata alla stagnazione economica, non permette politiche distributive (niente crescita, niente redistribuzione). Anche per questi motivi, Renzi mi sembra un Blair fuori tempo massimo. Saluti
RispondiEliminaPerfetto. Saluti a lei.
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