I blocchi di cemento contro la “car Intifada”
Perché la pace tra israeliani e
palestinesi (per ora) è impossibile
L’europeo medio non capisce come si possa vivere in Israele
tra carri armati, muri, muretti,
attentati e missili. A sentire i commenti della gente comune, anche
quelli degli abituali commentatori on line, la colpa sarebbe tutta degli
estremisti di qua e di là, preoccupatissimi di perdere potere se scoppiasse la pace.
Non ne siamo convinti, perché
ogni dinamica di pace racchiude in sé semi di guerra. Ci spieghiamo meglio.
In realtà, ogni processo di
pacificazione implica l’isolamento dei
radicali, i quali però, di regola,
reagiscono puntando sul tanto peggio tanto meglio. Sicché, alla progressiva emarginazione andrebbe affiancato da parte dei moderati, per dirla con Machiavelli, lo "spegnimento" dei focolai di estremismo -
ripetiamo, di qua e di là - o in
termini di eliminazione fisica o di compravendita degli elementi corruttibili. Certo, esiste anche la strada del libero convincimento intorno
alla bontà e ai vantaggi della pace. Che però,
difficilmente si concretizza, perché, quando sono in gioco gli
estremismi, il significato che viene attribuito alla parola è divergente, dal momento che per il radicalismo politico la pace include sempre la distruzione dell’avversario.
Concludendo, Israele ha la forza per distruggere i nemici esterni, che
però non può impiegare contro i nemici interni. Sicché, gli israeliani pensano di poter vincere la guerra o comunque
di tirare avanti alla meno peggio. Mentre i palestinesi, non hanno la forza per distruggere
i nemici esterni e interni. Di conseguenza non hanno alcuna strategia precisa, né
di pace né di guerra. Tirano avanti. E in attesa, non si sa bene di che cosa, tutti quanti, israeliani e palestinesi, nell’incertezza, sparano.
Carlo Gambescia
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