venerdì 7 novembre 2014

I blocchi di cemento contro la “car Intifada”
Perché la pace tra israeliani e palestinesi (per ora) è impossibile 



L’europeo medio  non capisce come si possa vivere in Israele tra carri armati, muri, muretti,  attentati e missili. A sentire i commenti della gente comune, anche quelli degli abituali commentatori on line, la colpa sarebbe tutta degli estremisti  di qua e di là,  preoccupatissimi  di perdere  potere  se scoppiasse la pace.
Non ne siamo convinti, perché ogni dinamica di pace racchiude in sé semi di guerra. Ci spieghiamo meglio.
In realtà,  ogni processo di pacificazione implica   l’isolamento dei  radicali,  i quali però, di regola,  reagiscono puntando sul tanto peggio tanto meglio.  Sicché, alla progressiva emarginazione andrebbe affiancato da parte dei moderati, per dirla con  Machiavelli,  lo  "spegnimento" dei focolai di estremismo - ripetiamo, di qua e di là -   o in termini di eliminazione fisica o di compravendita degli elementi corruttibili. Certo, esiste anche la strada del libero convincimento intorno alla bontà e ai vantaggi  della pace.  Che però,  difficilmente  si concretizza, perché, quando sono in gioco gli estremismi,  il significato che viene attribuito alla parola è divergente,  dal momento che per il  radicalismo politico la pace  include sempre  la distruzione dell’avversario.
Concludendo,  Israele ha  la forza per distruggere i nemici esterni, che però non può impiegare contro i nemici interni.  Sicché,  gli israeliani  pensano di poter vincere la guerra o comunque di tirare avanti alla meno peggio. Mentre i  palestinesi, non hanno la forza per distruggere i nemici esterni e interni. Di conseguenza non hanno alcuna strategia precisa, né di pace né di guerra. Tirano avanti.  E in attesa, non si sa bene di che cosa,  tutti quanti,  israeliani e palestinesi,   nell’incertezza,  sparano.    


Carlo Gambescia                  

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