martedì 18 novembre 2014

 Un libro sulla  richiesta di rinvio a giudizio del P.M. Michele Ruggiero nel processo contro Standard & Poors  
Leggi rating, ma traduci  golpe
di Teodoro Klitsche de la Grange



Questo breve libro Un golpe chiamato Rating a cura di A. Sallusti, pref .di  Renato Brunetta, intr. di Elio Lannutti  (Il Giornale – Free Fundation) è la richiesta di rinvio a giudizio del P.M. dr. Michele Ruggiero (nella foto) nel processo a Trani  contro l’agenzia di rating Standard & Poors (presunta) rea di aver manipolato i dati del “rating” italiano nel 2011 per realizzare – e/o far realizzare – enormi profitti finanziari, a carico, s’intende, dell’Italia (e non solo).
Non è  nostro  compito  esporre i fatti, per lo più noti, che il lettore può agevolmente conoscere leggendolo; il pamphlet – perché tale è il genere letterario cui è meglio riconducibile (questo) atto processuale, è di rapida ed agevole lettura: piuttosto appare utile enumerare, al di là di un pura e semplice recensione, gli idola imperversanti  nell’opinione pubblica, che impediscono di ricondurre i fatti a presupposti e categorie acquisite da secoli e millenni nel pensiero e nell’azione politico-sociale, e sono altrettanto utili a chi ha realizzato  il grande imbroglio del rating – costato centinaia di miliardi al nostro paese- nel predare il popolo italiano di quanto lo siano ai Dulcamara di regime per emascularlo.
Il Primo. I “mercati” giudicavano l’Italia “inaffidabile”. Dato però che, come qualsiasi studente di economia (e giurisprudenza) sa, la formazione dei prezzi è soggetta a componenti psicologiche, basate su notizie e l’ “autorità” di esperti, chi manipola quelle notizie e gode di quell’“autorità” può orientare l’opinione pubblica, influenzare i prezzi dei titoli – almeno nel breve periodo –, realizzare enormi plusvalenze (e scappare con la cassa). Questo è il nocciolo del libro; ed è un fatto così noto e ripetuto che meraviglia quanto poco la vicenda fosse valutata sotto questo profilo dalla stampa italiana nel 2011. Il che alimenta più che il sospetto la certezza che, in gran parte, fosse della “partita”.
Va da se che i “mercati” hanno il pregio di essere entità impersonale ed “astratta”, al riparo da responsabilità – e rappresaglie politiche e giudiziarie, Ma se dall’impersonale astratto si passa al personale concreto, cioè ai manipolatori, il pregio suddetto viene meno. Ragione ottima per incolpare i “mercati” delle manovre di società e uomini identificabili.
Il Secondo. La politica (e lo Stato) non deve intervenire nell’economia. E qui si può essere, in linea di massima, d’accordo. Ancor più in un paese come l’Italia dove una cattiva politica, ancor oggi, è una palla al piede dell’economia nazionale. Ma nel caso d’eccezione (come in una crisi economica grave) è proprio il contrario; è opportuno farlo. Nell’alternativa tra pagare interessi da usurai e deprimere l’economia (cioè l’essenza dell’azione di governo degli ultimi anni), è doveroso proteggere gli interessi della nazione a scapito di quelli dei creditori. Il che non significa neppure, nel caso di specie, non pagarli, ma piuttosto non servirli, agevolandone i sopraprofitti e, al limite di contrastarli. Invece è capitato il contrario: che i governi italiani (e non solo) hanno fatto le colf della finanza (interna ed) internazionale.
Il Terzo. Questa non è politica, è economia. Circostanza in parte (ma solo in parte) vera.
Il primo luogo perché la crisi ha prodotto la caduta di quattro governi dell’eurozona (Grecia, Italia, Spagna, Francia). E ciò che ha effetti politici così evidenti è di natura politica. In secondo luogo la politica può essere fatta da Stati, o, nel “crepuscolo della modernità” sempre più da soggetti non statali (movimenti, partiti, lobbies, sette, bande e così via): il fatto di non essere statale non è affatto criterio distintivo del “politico”. Piuttosto è decisivo il rapporto col potere, il contrasto di volontà, e con i mezzi dell’azione politica. E qui l’oggetto è il potere, rappresentato da centinaia di miliardi, il bottino della guerra dello spread (un tempo si chiamavano tributi, indennità, riparazioni e così via). C’è poi un conflitto di volontà, ch’è l’essenza della guerra, il cui scopo, da SUN-TZU a Giovanni Gentile, è proprio di costringere l’altro a fare la propria volontà (ed interessi): nella specie a pagare interessi più alti sul debito pubblico.
Ed i mezzi: non c’è violenza. Ma chi ha mai sostenuto che mezzo esclusivo della politica sia la forza?  Non Machiavelli nel famoso passo sulla volpe (l’astuzia) e il leone (la forza); non i classici del pensiero politico da Bodin a Naudè a Schmitt a Pareto. Qua manca la violenza umana ma di frode ce n’è a josa. E con ciò lo strumento, per lo più complementare, ma talvolta alternativo alla violenza.
Infine chi pensa che la guerra e le forme complementari e simili (rivoluzioni, colpi di Stato) richiedono necessariamente l’uso della forza, ha sbagliato secolo. Come qualche anno fa dimostrarono i due colonnelli cinesi Quiao Liang e Wang Xiangsui nel libro “Guerra senza limiti” proprio il carattere pacifista della nostra epoca comporta che il conflitto si sviluppi in forme “alternative” (non – violente) o a bassa intensità di violenza. E citavano, tra l’altro, proprio gli attacchi finanziari.
L’importante, in tal caso, è non dar ragione all’attaccante in omaggio ai “mercati” o al “diritto” – questo preso per immutabile.
Non sappiamo se l’eccellente lavoro del P.M. dr. Ruggiero darà un esito giudiziario positivo; ma averlo scritto è già un atto di anticonformismo e di coraggio. Resta il fatto che vicende come quelle della crisi del 2011 sono essenzialmente politiche, hanno conseguenze politiche, evidenziano responsabilità politiche e richiedono valutazioni politiche: e la giurisdizione per queste è una camicia troppo stretta. Vale il giudizio di Machiavelli che in questi casi non è utile il giudizio “dei pochi”. È necessario quello dei “tutti” cioè dei cittadini, per evitare che l’accaduto si ripeta, prendere le contromisure adeguate, ed evitare soprattutto l’ottundimento del discernimento popolare, ossia ciò su cui si basano trame del genere.

Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" ( http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).

1 commento:

  1. Condivido anche gli spazi vuoti tra una parola e l'altra.
    Coraggioso ed esemplare.

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