giovedì 6 novembre 2014

Roma, l'allarme meteo  e  il lato oscuro della “cultura dell’emergenza”
Tutti a casa





Non  sappiamo ancora cosa accadrà oggi a Roma.  Sono le sette e stiamo scrivendo velocemente questo breve post.  Ai romani, in pratica,  è stato chiesto di chiudersi  in casa  o  di non circolare in automobile (che più o meno  è la stessa cosa), perché secondo le  autorità preposte (Protezione Civile, Prefetto, Regione, Provincia,  Comune) le condizioni meteo sarebbero da codice rosso. Quindi scuole, chiuse, musei chiusi, eccetera.
Si dirà che  è per il nostro bene. Per metterla sul dotto,  si tratta di un'applicazione del principio di precauzione: prevenire per curare meglio. Non per nulla il sindaco di Roma, Ignazio Marino,  è un medico. Perciò, come si può dar torto, a coloro che si preoccupano per la nostra incolumità?  
In realtà,  quel che inquieta, al di là del codice rosso romano,  è  l’uso  che  può essere fatto  della cultura dell’emergenza.  Perché  - si tratta di una "regolarità"  -  le emergenze politiche, economiche, sociali, (una rivoluzione, una grave depressione, un  terremoto, un’ inondazione, ecc.) causano, da un lato, la diminuzione della libertà  individuale e, dall'altro,  il  rafforzamento dei poteri dell’autorità politica (qualunque essa sia).  Un passo indietro  che può essere accettato, quando l’emergenza è in  atto: è scoppiata la rivoluzione, la disoccupazione di massa è incontrollabile,  le città sono sepolte dall'acqua, e così via.  Ma non quando, l’emergenza è una prospettiva culturale o se si vuole un fatto previsionale, insomma  non un fatto concreto. Perché, in quel caso l’emergenza  può  essere usata, artatamente,  contro i cittadini,  quale   strumento di  controllo sociale. Per dirla in soldoni:  nel senso che l'emergenza passa, senza che sia accaduto nulla, ma le restrizioni restano...
Quindi,  oggi,  chi può, resti pure a casa, ma provi anche a riflettere sul lato oscuro della cultura dell’emergenza.  



Carlo Gambescia           

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