Roma, l'allarme meteo e il lato oscuro della “cultura dell’emergenza”
Tutti a casa
Non sappiamo
ancora cosa accadrà oggi a Roma. Sono
le sette e stiamo scrivendo velocemente questo breve post. Ai romani, in pratica, è stato
chiesto di chiudersi in
casa o di non circolare in automobile
(che più o meno è la stessa
cosa), perché secondo le autorità preposte (Protezione Civile,
Prefetto, Regione, Provincia, Comune)
le condizioni meteo sarebbero da codice rosso. Quindi scuole, chiuse, musei
chiusi, eccetera.
In realtà, quel
che inquieta, al di là del codice rosso romano, è l’uso che può essere fatto della cultura dell’emergenza. Perché - si tratta di una "regolarità" - le emergenze politiche, economiche, sociali, (una
rivoluzione, una grave depressione, un terremoto, un’ inondazione, ecc.) causano, da un lato, la diminuzione della libertà individuale
e, dall'altro, il rafforzamento dei poteri dell’autorità politica (qualunque essa sia). Un passo indietro che può essere accettato, quando
l’emergenza è in atto: è
scoppiata la rivoluzione, la disoccupazione di massa è incontrollabile, le città sono sepolte dall'acqua, e così via. Ma non quando, l’emergenza è una prospettiva culturale o se si vuole
un fatto previsionale, insomma non
un fatto concreto. Perché,
in quel caso l’emergenza può essere usata, artatamente, contro i cittadini, quale strumento di controllo sociale. Per dirla in soldoni: nel senso che l'emergenza passa, senza che sia accaduto nulla, ma le restrizioni restano...
Quindi, oggi, chi può, resti pure a casa, ma provi anche a riflettere sul lato oscuro della cultura dell’emergenza.
Carlo Gambescia
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