mercoledì 12 novembre 2014

Appunti di un vecchio operaista sulle fantasime nicciane

di Stefano Borselli



Da Wikipedia:

Il filosofo si riferisce ipoteticamente all’an­tica società greco-romana, prima del­l’av­ven­to dell’ebraismo e del cristianesimo, una so­cietà originaria di uomini forti e fieri che «di­cono sì alla vita»: il loro agire, pie­na­men­te positivo e creativo, è in se stesso la morale dei signori. Questa capacità umana di godere della vita e di attuare il «bene» in terra è però visto, al­l’altro capo della scala sociale, come un male. I deboli infatti inter­pretano l’agire dei signori come il male per eccellenza: la mo­rale del gregge, quindi, è una morale di reazione gui­data dal Ressen­timent verso i no­bili e potenti. [...] Nel­l’i­dentificare i va­lori appar­te­nenti ai signori, Nietzsche muove la sua teoria dalla con­sta­tazione che tutte le società umane originarie fossero rigidamente suddivise in caste, e che l’appartenenza a cia­scuna di esse fosse indice di un differente mo­dus vivendi oltre che di differenti valutazioni morali.[1]

Premessa naturalistico-matematica.

1) È un fatto misurabile che la forza nativa, l’in­telligenza, la bellezza ecc., non si tra­smette tal quale col san­gue, né con l’edu­ca­zione, ma solo come au­mento delle pro­babilità di averla. Negli animali sociali i figli dei maschi alfa non divengono per quello automaticamente degli alfa.
2) Inoltre se i figli dei forti hanno maggiori probabilità dei figli dei deboli, questi ultimi sono molti di più.
3) Dunque un sistema castale sarà sempre minacciato dalla presenza di una quantità di signori più deboli nonché da quella di un numero ben maggiore di servi più forti.
4) Condizione necessaria alla trasmissione del rango per sangue è perciò che la società sia normativamente castale: i tornei non de­vono essere open. In altre parole affinché una società castale o «aristo­cra­ti­ca» di san­gue possa sus­si­stere è necessario che il più forte (o il migliore, si chiami come si voglia) non possa prevalere.

Una obiezione a Nietzsche, con supporti letterari.

È trascurabile e privo di conseguenze il nic­ciano res­sen­timent del servo debole verso il si­gnore forte perché in quel caso tutti abitano una società ordinata, anzi, l’idea di trovarsi in si­tuazioni di inferiorità per na­scita e non per colpa mitiga il disagio della condizione me­desima. Nelle società non castali invece, dove esiste la mobilità sociale, è presente un res­sen­timent social­mente importante. Tale senti­men­to è provato da questi due soggetti:
a) dal signore stupido e inabile verso il servo più intelligente e più capace che prima o poi lo so­stituirà.[2]
b) dai «servi» mediocri verso l’ex compagno più in­tel­ligente e più capace che è salito nella scala so­ciale, lasciandoli indietro.
La letteratura offre una sterminata docu­men­ta­zione di questo risentimento diffama­torio verso la gente nova, i parvenues, gli arricchiti ecc., di chi insomma si è fatto strada tra i ceti e le classi sostituendo nel rango chi in genere non lo meritava.[3]

Conclusione.

La premessa spiega perché già nella società di fine ottocento (quella di Nietzsche, con tornei sem­pre più open) per i figli dei ceti alti fosse sem­pre più difficile vincere e realizzare le a­spi­razioni dei padri.[4] Quello del figlio che non ce la fa è tema quasi fisso del romanzo mo­derno, a tutta prima cito La marcia di Radetzky e L’uo­mo senza qualità. Questa situa­zione di debo­lez­za, che come abbiamo detto si trasforma in in­vidia sociale di fronte alla potenza visibile del­la classe operaia in ascesa (potenza ben colta dallo Jünger di Der Arbeiter), trova il suo ideo­logo in Nietzsche, del quale Chesterton men­zio­na la fuga di fronte a una mucca.[5] Il fiacco Nietzsche con una dotta operazione proietta il proprio ressentiment reale in un passato storico-mitico per attribuirlo a quelle stesse classi emergenti che ne sono l’oggetto e delle quali sente e teme la forza. E da allora diventa un mito per ogni genere di frustrati[6] e perdenti, come ognuno può tuttora constatare.

Precisazione finale.

In questi appunti non si fa cenno alla questione, rilevantissima, del carisma di stato. È vero che la carica fa l’uomo: se tu prendi un cretino qual­siasi e lo vesti da re, lo fai re, quel tizio muta e in qualche modo assume reali ca­rat­teristiche di re. E quindi c’è chi dice funzioni ancor meglio per lo scopo un figlio di re. Ma resta il fatto che il risultato è merito della forma sociale, non del­l’individuo. Ed è pre­cario. La contrad­di­zione resta, anzi contri­bui­sce alla dissolu­zio­ne della forma socia­le stessa, che pure l’aveva tem­perata. Per evitare ciò la pe­cu­liare monarchia scelta dalla Chiesa catto­lica, che doveva essere la migliore pos­sibile, è elettiva, non ereditaria. Con buona pace di Monaldo.


***

Paradiso Canto VIII. Il discorso di Carlo Martello d’Angiò

Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura, ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien ch’Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro t’è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com’ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se ’l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
onde la traccia vostra è fuor di strada».



***

Stefano Borselli, classe 1950, sposato, con un figlio e una nipotina; ha lavorato, con piacere, fino all’età della pensione come insegnante e come informatico (software per medici di famiglia). Dal 2000 è tornato praticante cattolico, ma ci tiene ad aggiungere un aggettivo: non quello, ovviamente di «adulto», bensì «pessimo». In gioventù ha partecipato all'intera vicenda di Lotta continua, della quale ha cercato di dare sommariamente conto nel volumetto Ex comunisti. Addio a Lotta Continua, (Rubbettino 2008) per passare poi ad un più lungo e felice impegno col particolare gruppo dei verdi fiorentini, ormai disciolto amichevolmente da anni.  È direttore della rivista online Il Covile e in quella veste cura una piccola collana per le edizioni Settecolori.






[1]   Voce «Friedrich Nietzsche». Consultata il 7 no­vem­bre 2014. Grassetti e corsivi modificati.
[2]   Si pensi a quello, letterario, del Bertie Wooster di Wo­dehouse verso Jeeves. O a quello, visto recentemente in politica, esploso incontrollabile nel fine cavallo di scu­deria Enrico Letta di fronte all’ex ronzino Renzi. Ma è facile individuarlo anche nello Zibaldone, dove nella prosa in­tima del gra­cile con­tino Giacomo Leopardi traspare l’in­vi­dia per la balda gioventù recanatese. Del resto il padre Monaldo, grande in­tellettuale al pari del figlio tuttavia imbelle e gover­nato dalla moglie, non fu messo all’indice per aver va­gheg­giato un papato non elettivo?
[3]   Ma i risentimenti di fonte a) e b) si uniscono, per nic­cia­namente «soffrire meno», nel ro­vesciare la realtà: sarà la nuova ricchezza ad essere di­chia­rata immeritata. Sempre frutto di raggiro, mai di genio o capacità. Il verso della Palinodia «Sempre il buo­no in tristezza, il vile in festa» echeggia sicura­mente gli usuali commenti gelosi di casa Leopardi verso le fortune dei meno inetti di loro.
[4]   E, nei ceti alti, succede spesso che i genitori abbiano pretese ingiustificate, non rendendosi conto che i figli, magari più bravi di loro, si trovano in un ambiente dove la concorrenza non è nemmeno paragonabile a quella da loro co­no­sciuta.
[5]   Piero Vassallo, che ringrazio anche per il suggerimento del passo di Dante sulla «circular natura», ha così commentato una prima versione di questo breve testo: «Nietzsche è un personaggio patetico. Alla corte di Wagner era oggetto di scherno. Cosima lo chiamava l’onanista. Nel romanzo Doctor Faustus, Thomas Mann racconta la sua avventura con Esmeralda (forse un uomo travestito?) che lo contagiò».
[6]   Anche geniali. Viene subito alla mente la figura di H. P. Lovecraft.

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