Appunti di un vecchio operaista sulle fantasime nicciane
di Stefano Borselli
Da Wikipedia:
Il filosofo si riferisce ipoteticamente all’antica società
greco-romana, prima dell’avvento dell’ebraismo e del cristianesimo, una società
originaria di uomini forti e fieri che «dicono sì alla vita»: il loro agire,
pienamente positivo e creativo, è in se stesso la morale dei signori. Questa
capacità umana di godere della vita e di attuare il «bene» in terra è però
visto, all’altro capo della scala sociale, come un male. I deboli infatti
interpretano l’agire dei signori come il male per eccellenza: la morale
del gregge, quindi, è una
morale di reazione guidata dal Ressentiment
verso i nobili e potenti. [...] Nell’identificare i valori appartenenti
ai signori, Nietzsche muove la sua teoria dalla constatazione che tutte le
società umane originarie fossero rigidamente suddivise in caste, e che
l’appartenenza a ciascuna di esse fosse indice di un differente modus
vivendi oltre che di differenti valutazioni morali.[1]
Premessa
naturalistico-matematica.
1) È un fatto misurabile
che la forza nativa, l’intelligenza, la bellezza ecc., non si trasmette tal
quale col sangue, né con l’educazione, ma solo come aumento delle
probabilità di averla. Negli animali sociali i figli dei maschi alfa non
divengono per quello automaticamente degli alfa.
2) Inoltre se
i figli dei forti hanno maggiori probabilità dei figli dei deboli, questi
ultimi sono molti di più.
3) Dunque un
sistema castale sarà sempre minacciato dalla presenza di una quantità di
signori più deboli nonché da quella di un numero ben maggiore di servi più
forti.
4) Condizione
necessaria alla trasmissione del rango per sangue è perciò che la società sia normativamente
castale: i tornei non devono essere open. In altre parole affinché una società castale o «aristocratica»
di sangue possa sussistere è necessario che il più forte (o il migliore, si
chiami come si voglia) non possa prevalere.
Una obiezione a
Nietzsche, con supporti letterari.
È trascurabile
e privo di conseguenze il nicciano ressentiment del servo debole
verso il signore forte perché in quel caso tutti abitano una società
ordinata, anzi, l’idea di trovarsi in situazioni di inferiorità per nascita e
non per colpa mitiga il disagio della condizione medesima. Nelle società non
castali invece, dove
esiste la mobilità sociale, è presente un ressentiment socialmente
importante. Tale sentimento è provato da questi due soggetti:
a) dal signore
stupido e inabile verso il servo più intelligente e più capace che prima o poi
lo sostituirà.[2]
b) dai «servi»
mediocri verso l’ex compagno più intelligente e più capace che è salito nella
scala sociale, lasciandoli indietro.
La letteratura
offre una sterminata documentazione di questo risentimento diffamatorio
verso la gente nova, i parvenues, gli arricchiti ecc., di chi
insomma si è fatto strada tra i ceti e le classi sostituendo nel rango chi in
genere non lo meritava.[3]
Conclusione.
La premessa
spiega perché già nella società di fine ottocento (quella di Nietzsche, con
tornei sempre più open) per i figli dei ceti alti fosse sempre più
difficile vincere e realizzare le aspirazioni dei padri.[4]
Quello del figlio che non ce la fa è tema quasi fisso del romanzo moderno, a
tutta prima cito La marcia di Radetzky e L’uomo senza qualità.
Questa situazione di debolezza, che come abbiamo detto si trasforma
in invidia sociale di fronte alla potenza visibile della classe operaia in
ascesa (potenza ben colta dallo Jünger di Der Arbeiter), trova il suo
ideologo in Nietzsche, del quale Chesterton menziona la fuga di fronte a una
mucca.[5]
Il fiacco Nietzsche con una dotta operazione proietta il proprio
ressentiment reale in un passato storico-mitico per attribuirlo a quelle
stesse classi emergenti che ne sono l’oggetto e delle quali sente e teme la
forza. E da allora diventa un mito per ogni genere di frustrati[6]
e perdenti, come ognuno può tuttora constatare.
Precisazione
finale.
In questi
appunti non si fa cenno alla questione, rilevantissima, del carisma di stato.
È vero che la carica fa l’uomo: se tu prendi un cretino qualsiasi e lo vesti
da re, lo fai re, quel tizio muta e in qualche modo assume reali caratteristiche
di re. E quindi c’è chi dice funzioni ancor meglio per lo scopo un figlio di
re. Ma resta il fatto che il risultato è merito della forma sociale,
non dell’individuo. Ed è precario. La contraddizione resta, anzi contribuisce
alla dissoluzione della forma sociale stessa, che pure l’aveva temperata.
Per evitare ciò la peculiare monarchia scelta dalla Chiesa cattolica, che doveva
essere la migliore possibile, è elettiva, non ereditaria. Con buona
pace di Monaldo.
***
Paradiso Canto VIII. Il discorso di Carlo Martello d’Angiò
Sì venne deducendo
infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:
convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce
Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse.
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura,
ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien
ch’Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte.
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il
suo cammino
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino.
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era
dietro t’è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ammanti.
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ammanti.
Sempre natura, se
fortuna trova
discorde a sé, com’ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.
discorde a sé, com’ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se ’l mondo là
giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la
religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
onde la traccia
vostra è fuor di strada».
***
Stefano
Borselli, classe 1950, sposato, con un figlio e una nipotina; ha lavorato, con
piacere, fino all’età della pensione come insegnante e come informatico
(software per medici di famiglia). Dal 2000 è tornato praticante cattolico, ma
ci tiene ad aggiungere un aggettivo: non quello, ovviamente di «adulto», bensì
«pessimo». In gioventù ha
partecipato all'intera vicenda di Lotta continua, della quale ha cercato di
dare sommariamente conto nel volumetto Ex comunisti. Addio a Lotta Continua,
(Rubbettino 2008) per passare poi ad un più lungo e felice impegno col
particolare gruppo dei verdi fiorentini, ormai disciolto amichevolmente da
anni. È direttore della rivista online Il Covile e in quella veste cura
una piccola collana per le edizioni Settecolori.
[1] Voce «Friedrich Nietzsche». Consultata il 7
novembre 2014. Grassetti e corsivi modificati.
[2] Si pensi a quello, letterario, del Bertie
Wooster di Wodehouse verso Jeeves. O a quello, visto recentemente in politica,
esploso incontrollabile nel fine cavallo di scuderia Enrico Letta di fronte
all’ex ronzino Renzi. Ma è facile individuarlo anche nello Zibaldone,
dove nella prosa intima del gracile contino Giacomo Leopardi traspare l’invidia
per la balda gioventù recanatese. Del resto il padre Monaldo, grande intellettuale
al pari del figlio tuttavia imbelle e governato dalla moglie, non fu messo
all’indice per aver vagheggiato un papato non elettivo?
[3] Ma i risentimenti di fonte a) e b) si
uniscono, per niccianamente «soffrire meno», nel rovesciare la realtà: sarà la
nuova ricchezza ad essere dichiarata immeritata. Sempre frutto di raggiro,
mai di genio o capacità. Il verso della Palinodia «Sempre il buono in
tristezza, il vile in festa» echeggia sicuramente gli usuali commenti gelosi
di casa Leopardi verso le fortune dei meno inetti di loro.
[4] E, nei ceti alti, succede spesso che i
genitori abbiano pretese ingiustificate, non rendendosi conto che i figli,
magari più bravi di loro, si trovano in un ambiente dove la concorrenza non è
nemmeno paragonabile a quella da loro conosciuta.
[5] Piero Vassallo, che ringrazio anche per il
suggerimento del passo di Dante sulla «circular natura», ha così commentato una
prima versione di questo breve testo: «Nietzsche è un personaggio patetico.
Alla corte di Wagner era oggetto di scherno. Cosima lo chiamava l’onanista. Nel
romanzo Doctor Faustus, Thomas Mann racconta la sua avventura con
Esmeralda (forse un uomo travestito?) che lo contagiò».
[6] Anche geniali. Viene subito alla mente la
figura di H. P. Lovecraft.
molto interessante. Elaboro…
RispondiEliminaGrazie. Perfetto.
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